Le bambole come trappole della bellezza. Arte, immaginario, linguaggi nella costruzione del Sé e le simbologie del dono (tra i miti della rinascita, consumismo e metamorfosi digitale)
Ho curato e sto inaugurando all’Associazione Culturale “Lavatoio Contumaciale” (Piazza Perin del Vaga 4 – Roma) il 2 dicembre 2023 ore 17,30 – storica Associazione fondata da Filiberto Menna e Bianca Pucciarelli, più nota come l’artista Tomaso Binga – una ricerca visuo-spaziale dal titolo IL CORPO/GIOCO che ha una sua origine, un suo progetto ed una sua finalità. Queste riguardano il “corpo” in senso fisico ma anche psichico, come ormai abbiamo imparato (dopo il classico dualismo detto cartesiano) e la sua rappresentazione nelle arti visive, in particolare riguardanti la nascita del Sé nel bambino/a in relazione alle simbologie del dono e dei giocattoli che trovano il momento tradizionalmente più evocativo all’interno dei miti della rinascita della Natura dopo la stasi invernale. Questo primo appuntamento è finalizzato ad aprire un ampio dibattito sul contemporaneo e ambiguo culto dell’infanzia, rappresentato simbolicamente dagli artisti/e come “esperienza del corpo proprio e di quello sociale”, immagine doppiamente concreta ed immaginaria nella sua raffigurazione sotto forma di giocattolo.
La mostra sarà visibile dal 2 al 16 dicembre 2023 con la partecipazione e le opere degli artisti: Antonella Cappuccio, Maupal, Grazia Menna, Mauro Molinari e Valter Sambucini. Servizio TV e stampa a cura di MONOLITE Notizie – https://www.monolitenotizie.it/ – INGRESSO LIBERO
INFO per prenotare le visite nei giorni seguenti all’inaugurazione – carlaguidi@libero.it – info@archiviotomasobinga.it
Ho scritto un già un primo articolo sull’argomento al quale rimandiamo, con il desiderio di approfondire in questa sede l’argomento Bambole come trappola della bellezza – da arricchire con i contributi delle lettrici e dei lettori.
Una parte centrale di queste argomentazioni occupa infatti la differenziazione tra giocattoli distinti in base al sesso; un libro, di grande successo negli anni ’70, aveva sfatato esplicitamente il mito che il gioco, nei rapporti di genere, esplicitasse tendenze “innate”, invece che dovute a “condizionamenti culturali”. Mi riferisco a – Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita – di Elena Gianini Belotti (Feltrinelli 1973).
Oggi che l’aggressività diffusa e la violenza si sono riprese la scena, dovremmo tutti riflettere infine sull’educazione alla tolleranza ed alla conoscenza di sé come valore. Promuoviamo quindi un appuntamento che diventerà annuale, idoneo a viaggiare in una dimensione diversa dall’entusiasmo consumistico, facendo tornare la ricorrenza del Natale a contatto con il contesto ed il significato di una festa della ri-nascita ad opera delle figure archetipiche che sempre hanno sostenuto l’immaginario magico del bambino/a, prima ma anche durante la grande invasione degli oggetti-merce. Il titolo “il corpo-gioco” invece potrebbe collocarsi come ipotesi di un percorso educativo-preventivo di psicomotricità, nei suoi vari aspetti interdisciplinari, con la finalità che tutti i bambini e le bambine abbiano pari opportunità per costruire il proprio schema corporeo e relazioni sociali equilibrate e soddisfacenti, anche attraverso i primi oggetti elettivi.
Un personaggio, nato come giocattolo, ha avuto subito un grandissimo successo mondiale, anche merito di una strategia di marketing che ha intuito e concretizzato in una forma, le molteplici variazioni sul tema e le metamorfosi culturali (assorbite e adattate anche alle varie etnie) dell’entrata sulla scena sociale della Nuova donna. Si tratta di Barbie, nata come una linea di fashion doll commercializzata da Mattel a partire dal 9 marzo 1959. Ruth Handler non fece mistero di essere stata ispirata guardando la figlia giocare con bambole di carta, ritagliate dai giornali, e poi dare loro ruoli da adulti. Jean Piaget, psicologo, biologo, pedagogista svizzero all’epoca aveva ormai sancito che il bambino già a due anni, era in grado di usare i simboli, cioè usare un’entità che ne rappresentava un’altra, nell’imitazione differita e questa bambolina soprattutto intendeva agire all’interno di quel cambio di prospettiva sancito storicamente per la vita futura delle bambine, essere quindi non più solo mamme ma donne desiderose di fare proprie scelte e decidere il loro ruolo futuro. Peccato che le donne, soprattutto americane, stavano diventando in quel momento, un esempio di come si può fare carriera imitando lo stile degli uomini (in una società dominata dal maschile) andando però anche ad incarnare fantasmi adolescenziali femminili ego sintonici, di principesse dai capelli fluenti e gambe lunghissime, calzate in microscopiche scarpette col tacco vertiginoso che le staccasse il più possibile da terra, anche per poter presto volare in braccio al “principe salvatore” in fiabe trasformate in musical e telefilm … Questo giocattolo però, con i suoi accessori, macchine, amici, pet, casetta e vestitini, poteva stare in una scatola ed essere utilizzato, in un qualsiasi disagiato miniappartamento cittadino, da parte di un proletariato femminile malleabile e sognatore. Erano quelli gli anni nei quali Betty Friedan pubblicava La mistica della femminilità (1963) e Roy Lichtenstein dipingeva Donna che piange, un viso femminile in lacrime, circondato dall’acqua in cui sembrava star affogando, parte di tutta una serie di opere simili dedicate alla donna, all’epoca manipolata e rappresentata nel cinema, nel teatro e nei fumetti come personaggio frustrato, disperato, tutte denuncianti la tensione verso quella liberazione profonda che le donne ancora non riuscivano a raggiungere. Era l’epoca anche in cui la stilista britannica Mary Quant tentava di liberare le donne dall’imballaggio nel quale erano ancora ingabbiate, ma non riuscì poi a liberarla dalla trappola della bellezza e dall’industria dell’estetismo.
Una seconda geniale intuizione ha concretizzato invece recentemente il progetto di realizzare un film su Barbie (Paese di produzione Stati Uniti d’America, Regno Unito e regia di Greta Gerwig anno 2023) che ha conseguito un grandissimo successo di critica e di pubblico, (non solo infantile). Questo film, con intelligenza ed ironia, riassume un po’ la storia della celebre bambola e ne presenta una possibile evoluzione o vera e propria metamorfosi, addirittura da bambola a donna vera (un po’ come Pinocchio – etero-diretto ma dalle sue pulsioni primordiali e perciò vittima indifesa di strani inquietanti personaggi, ma infine trasformato in ragazzo adulto e responsabile). Nel film si rappresentano i primi sintomi di tale metamorfosi, prettamente femminile, e riguardano proprio i punti deboli della celebre bambola degli anni ’60. Il primo sintomo è il crollo dei muscoli cronicamente contratti dell’arco plantare dei piedi (che finalmente possono toccare terra, invece di essere costretti al famigerato tacco 12. Il secondo è un sentimento di tristezza (depressivo) indizio di una crisi esistenziale in atto, che contrasta l’eterno sorriso di compiacenza. Terzo sintomo è la comparsa della cellulite che umanizza e rende realistica quella che è considerata l’eterna rincorsa delle donne alla bellezza perfetta, ancora unica moneta considerata spendibile dalla donna odierna “se” vuole fare carriera in un mondo “reale” dominato dagli uomini. Attraverso un percorso antieroico al femminile, ben integrato, che si avvale con eleganza dell’esperienza di film come – 2001 Odissea nello spazio, Matrix, Toy Story, L’uomo bicentenario – il messaggio coinvolge anche il narcisismo maschile ed i suoi stereotipi sessuali, rilanciati dal moderno culto del corpo e dall’antica e bellicosa suscettibilità autoreferenziale, lanciando infine un messaggio di pacificazione tra i sessi per una nuova collaborazione. Colpisce l’uso di un linguaggio sempre corretto, ironico e poetico al tempo stesso, ma comprensibile anche da bambini e preadolescenti che si preparano alla vita con nuove e vecchie difficoltà. L’opera, quindi, non è solo celebrativa, ma è anche un mix di critica e satira sociale che ci racconta ipotesi di emancipazione direttamente dalle voci sensibili di Margot Robbie e Greta Gerwig.