Che cosa dice la Convenzione di Istanbul per la violenza sulle donne
La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica ha compiuto 12 anni l’11 maggio 2023. É entrata in vigore il 1° agosto 2014, ratificata solo da dieci Stati.
La Convenzione del Consiglio d’Europa è stata approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e aperta alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul. Firmata dall’Unione europea il 13 giugno 2017 è poi rimasta in sospeso fino alla scorsa primavera per l’opposizione dei sei Stati. Poi nel 2023 l’Unione europea ha concluso il percorso di adesione alla Convenzione e l’ha ratificata senza l’unanimità, cosa che non impedisce al trattato di vincolare tutti i Paesi membri. L’Unione europea ha aderito alla convenzione di Istanbul il 1º ottobre 2023. La Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante a tutela delle donne contro la violenza, di qualsiasi forma. L’applicabilità della Convenzione è prevista sia in tempo di pace, sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza che da sempre rappresenta un momento di feroci violenze sulle donne.
Secondo Amnesty International è «il trattato internazionale di più vasta portata creato per affrontare la violenza contro le donne e la violenza domestica. Stabilisce gli standard minimi per i governi in Europa nella prevenzione, protezione e condanna della violenza contro le donne e della violenza domestica. Include obblighi per gli Stati di introdurre servizi di protezione e supporto per contrastare la violenza contro le donne, come per esempio un adeguato numero di rifugi, centri antiviolenza, linee telefoniche gratuite 24 ore su 24, consulenza psicologica e assistenza medica per vittime di violenza. Invita inoltre le autorità a garantire l’educazione all’uguaglianza di genere, alla sessualità e alle relazioni sane.
Il Parlamento europeo il 10 maggio 2023 ha votato due risoluzioni per invitare l’Unione europea ad adottare la Convenzione.
Nel 2011 i firmatari originali del trattato erano Austria, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Montenegro, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Turchia. Poi la ratifica è andata lentamente, tanto che solo il 1° ottobre 2023 è entrata in vigore. L’accordo è stato firmato da 45 paesi, ma ratificato (e dunque realmente entrato in vigore) solo da 20 di questi, tra cui l’Italia nel 2013. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono giuridicamente vincolati dalle sue disposizioni.
La Turchia il primo Paese a ratificarla, per poi revocarla. Il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione. Nove anni dopo la ratifica, però, il 20 marzo 2021, la Turchia ha revocato la propria partecipazione alla convenzione. Alcuni Paesi firmatari hanno tardato a ratificare la Convenzione.
In Italia dopo l’approvazione unanime del testo di ratifica alla Camera il 28 maggio 2013, il Senato il 19 giugno 2013 ha votato sì al documento. Contestualmente alla firma, l’Italia ha depositato presso il Consiglio d’Europa una nota a verbale nella quale ha dichiarato che «applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali».
L’obiettivo della Convenzione è quello di «promuovere i cambiamenti nei comportamenti socioculturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini».
Il testo indica le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime. La vittima deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione. La Convenzione impone agli Stati aderenti di punire, con conseguente risarcimento dei danni, una serie di comportamenti di violenza nei confronti delle donne, dallo stalking alla violenza fisica, dallo stupro al matrimonio forzato, dalle mutilazioni genitali all’aborto o alla sterilizzazione forzati, fino alle molestie sessuali. Per uscire dal silenzio fondamentale anche il ruolo di scuole e università per veicolare messaggi volti a educare e sensibilizzare al tema.