Sulla direttiva UE contro la violenza: siamo alle solite (tecniche gattopardesche )….
La recente proposta di Direttiva contro la violenza sulle donne concordata tra i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo, “esce dall’ultimo giro di negoziati con una versione ridimensionata e indebolita»: così la vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno, già relatrice in Parlamento europeo della precedente proposta, ora emendata in vari punti.
Molti i limiti dell’attuale redazione: intanto, la nuova formulazione non tutela le donne lavoratrici, non contiene più il riferimento alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. E questo, accade in una fase storica in cui i casi di violenza carnale e le molestie sessuali sui posti di lavoro sono diventati fin troppo frequenti. Accade, a esempio, che le donne medico impegnate nei servizi di guardia notturna si trovino addirittura a doversi fare accompagnare al lavoro da congiunti, per difendersi da eventuali malintenzionati.
Ma, purtroppo non sempre è possibile poter contare su tale tutela, peraltro inaudita.
L’ultimo caso di aggressione notturna è accaduto proprio pochi giorni fa, in una postazione di guardia medica della Calabria: una donna medico, recatasi al domicilio di un uomo che al telefono si era dimostrato sofferente, è stata immobilizzata dallo stesso e trascinata in una stanza buia mentre stava per andare via dopo la visita. Per fortuna la professionista non si è fatta prendere dal terrore, e ha reagito prontamente colpendo il farabutto con la borsa professionale riuscendo a scappare; purtroppo, durante la fuga precipitosa è caduta dalle scale e si è procurata un trauma cranico. Ovviamente la donna ha denunciato l’accaduto alla forza pubblica. E qui, il caso assume un aspetto ancor più inquietante: da quanto denunciato dalla donna sui giornali, l’aggressore risulta essere a piede libero, e circola in città impunemente.
Adesso, la professionista ha paura di rientrare al lavoro, perché, dopo la denuncia, teme per la propria incolumità.
E’ evidente che, se la legge consente tutto ciò, qualcosa va modificata, e subito.
Accade, però, che la recente riformulazione della Direttiva – l’originaria era stata presentata al Parlamento europeo nei mesi scorsi e lì approvata anche col sostegno dei socialisti – si è allontanata non poco dai principi della Convenzione di Istanbul che erano parte costitutiva della precedente redazione. Per questo, in vista della votazione di aprile, le donne delle associazioni, del mondo universitario e dei movimenti, sono in mobilitazione e annunciano battaglia soprattutto in riferimento all’art.5 della precedente proposta (su cui la Presidente Meloni aveva espresso il suo assenso), per il quale la violenza si deve configurare come stupro laddove manchi l’esplicito consenso da parte della donna. Su questo articolo, assolutamente fondamentale ma ora tranciato dagli emendamenti, c’è stato il parere negativo di vari stati dell’Est e addirittura di Francia e Germania, che hanno ritenuto – infondatamente – che il reato di stupro non sia di competenza dell’Unione.
Adesso, di fronte al palese tradimento della Convenzione di Istanbul – di cui la Direttiva dovrebbe essere traduzione normativa! – da più parti si chiede di non votare la proposta ad aprile e di rivedere tutto nella prossima legislatura.
Insomma, snaturata la proposta, ora si profila una situazione analoga a quella verificatasi in Italia diversi decenni fa, quando l’iter della legge sulla violenza contro le donne è stato reso tortuoso da lungaggini che hanno messo in crisi le lucide considerazioni della relatrice Angela Bottari: la parlamentare, constatando la dinamica dei processi (era il 1976, erano accaduti i noti fatti del Circeo, testimoniati in “Processo per stupro”) e analizzando puntigliosamente il Codice Rocco, aveva capito che era assolutamente necessario ridefinire il concetto di violenza sessuale tramite l’unificazione dei reati di congiunzione carnale (art. 519) e di atti di libidine violenta (art. 521): questo, per superare la distinzione artificiosa (tra i due reati) che consentiva al violentatore di sfuggire alle maglie della legge (che, così, gli poteva infliggere pene lievi) mentre la vittima subiva un’ulteriore violenza, psicologica, a causa delle domande che le venivano rivolte dai giudici per definire la tipologia della violenza sessuale. Bottari considerava lo stupro come reato contro la persona, ma non tutte le forze parlamentari erano dello stesso intendimento: l’approvazione da parte del Parlamento dell’emendamento presentato dal deputato Carlo Casini, che, invece, considerava lo stupro come delitto contro la morale, stravolse l’impianto della proposta. Di fronte a ciò la parlamentare si dimise immediatamente, così dichiarando: ”Ritengo di non dover continuare ad essere relatore di una proposta di legge che rischia di non essere una riforma innovativa e di non dare risposta alle richieste che vengono dal paese”.
Come si sa, tanti anni passarono per l’approvazione della legge, che avvenne nel 1996 dopo quasi un ventennio di lotte parlamentari, vista una “ragion di Stato” che manifestava l’esigenza di mediare tra gli opposti (fra)intendimenti delle diverse forze politiche. A qualunque costo. Sulla pelle delle donne.
Adesso, la storia si ripete, forse anche in peggio, vista la fase oscurantista che grava sull’Europa. E vengono in mente le parole di Bottari (v. “Donne, Politica, Istituzioni”, 2009, Aracne ed.) per la quale, alla base di tutto l’ostruzionismo parlamentare c’era la volontà di voler “combattere le donne in quanto portatrici di un messaggio di trasformazione e crescita dell’intera società, per aggredire ed offendere il principio stesso di eguaglianza e parità che riconosce come diritto irrinunciabile della persona la libertà sessuale delle donne.”