Riceviamo con richiesta di pubblicazione la lettera aperta di Claudia Corso Marcucci sul tema della maternità e del controllo patriarcale sul corpo delle donne. L’autrice del contributo è presidente della FGS, federazione dei giovani socialisti.

Isaac Asimov in “Passato e Futuro”, una raccolta di saggi scientifici, si occupa della questione delle pari opportunità e propone una sua riflessione singolare sul problema dell’oppressione femminile. A suo dire è un peccato che le donne non abbiano le stesse possibilità degli uomini, di questo ne risente anche il progresso dal momento che, invece di usare il 100% delle nostre risorse, ne usiamo solo la metà, cioè solo i cervelli maschili.
Il problema individuato delle donne è presto detto: la maternità. Se le donne smettessero di avere figli e figlie potrebbero essere al pari degli uomini, niente più nove mesi di gravidanza con tutte le conseguenze del caso, niente più allattamento, cura del pargolo, insomma una libertà di agire completa, tutto questo grazie all’invenzione futura di uteri artificiali.
Forse solo una mente maschile poteva giungere a questa conclusione: sebbene alcune possano sperare di procreare senza dover passare attraverso una gravidanza, è anche vero che La Donna non esiste e per questo non possono esistere soluzioni tranchant su una questione squisitamente femminile come la gravidanza e la sua eventuale soppressione. Sono sicura che per molte, scevra da tutti i connotati che la società gli addossa, non sarebbe da abolire, ma potrebbe essere un’esperienza gratificante e gioiosa.
Sappiamo bene però che la tecnologia, ancora non così avanzata, in mano ad una società maschilista non fa altro che produrre storture ed ulteriori oppressioni per le donne, come sottolinea bene Donna Haraway. Sappiamo anche che la gestazione da tempo immemore è bramata dagli uomini come strumento di linearità di sangue o di patri-monio genetico. Si aggiunge a questi due elementi la società capitalistica e la mercificazione dei corpi di donne e bambini/e.
Ma facciamo un passo indietro: se nelle epoche pre-capitalistiche la riproduzione era, appunto, ri-produzione della famiglia, con lo sviluppo del primo capitalismo le donne diventano strumenti di produzione. Di forza lavoro per esempio, come accadeva ai tempi dello schiavismo statunitense, dove le schiave erano sfruttate per produrre nuovi schiavi, oppure di razze pure, come succedeva con il progetto Lebensborn nella Germania nazista.
Nella nuova società neoliberista, dove il desiderio comanda, dove l’io diventa la malattia della natura di per sé efficiente nella sua autoregolazione, il corpo delle donne attraverso le nuove tecnologie, diventa per l’ennesima volta strumento di produzione di prole.
Questa volta però è il desiderio di uomini e donne che sfrutta altre donne, in larga maggioranza in condizioni economiche e sociali precarie, per il presunto diritto di avere figli/e. La gestazione per altri non è altro che la reiterazione della produzione di persone nella cultura del narcisismo. È l’ennesima volontà patriarcale, patrilineare, della dittatura del diritto di sangue, di voler controllare i corpi delle donne, mascherato da libertà di scelta e/o di necessità, dove la necessità primaria in questo caso è dover sopravvivere nella società neoliberista odierna. Se questa è una scelta. Se questo è un lavoro come un altro.
La normalizzazione del lavoro riproduttivo infatti vuole dire che ogni donna, poiché questi come tutti sono lavori sessuati, può, in caso di necessità, essere ricollocata in una di queste mansioni.
Non possiamo però lasciare questi temi agli integralisti dell’ipermaterno. È pericoloso e controproducente pensare che la maternità sia la realizzazione della donna, è pericoloso e controproducente pensare anche che oltre la gravidanza l’unico legame che rimane e sempre rimarrà è quello dell’eterno figlio/a e dell’eterna madre.
Sebbene sia ideologicamente fondata questa visione del mondo, come del resto lo è quella opposta, essa in un certo tipo di femminismo è quasi una reazione alla secolare s-oppressione della maternità da parte del patriarcato. Ma come femministe non dobbiamo cadere nel determinismo.
La maternità dovrebbe essere un fatto neutrale, naturale, della specie donna.
Solo scardinando la nostra oppressione potremmo viverla con autenticità.