“L’Aborto. Una storia”: rileggere l’Italia repubblicana da una prospettiva di genere
Nella settimana in cui Donald Trump è tornato ad essere presidente degli Stati Uniti d’America a seguito di una campagna elettorale nella quale il tema dell’aborto è stato così fortemente presente nel dibattito pubblico, mai discussione fu più opportuna di quella che si è svolta a Napoli, lo scorso 6 novembre, quando Alessandra Gissi e Paola Stelliferi hanno presentato il loro libro L’aborto. Una storia, edito da Carocci nel 2022 e alla prima ristampa nel 2024, menzione speciale al premio Napoli 2024.
Un libro importante, necessario, come hanno spiegato i discussant intervenuti presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II – Laura Di Fiore, Emmanuel Betta, Bruno Buonomo ed Elisabetta Bini – che offre una serie di spunti di riflessione per rileggere il percorso che portò alla profonda cesura col passato provocata dall’approvazione della legge 194 del 1978. Una legge che, come molti sanno, depenalizzava entro determinate regole l’interruzione volontaria di gravidanza e che, come molti non sanno, abrogava il titolo X del codice penale italiano, il codice Rocco, che di fatto aveva portato dagli anni Trenta fino alla soglia degli anni Ottanta del Novecento l’impostazione fascista sul tema, che ascriveva l’aborto tra i delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe.
È già questo un primo elemento di grande interesse che getta una nuova luce sulle periodizzazioni e sulla necessità di guardare oltre il solo arco cronologico dell’Italia repubblicana, per dire che la condanna dell’aborto volontario ha una storia che risale almeno alla metà del XVIII° secolo, con lo sviluppo dell’embriologia e del processo di riproduzione visuale che porta sempre di più alla personificazione del feto.
Proprio sulla ‘scabrosità’ del tema dell’aborto nel lungo periodo è intervenuto Emmanuel Betta, docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma, che ha ricordato come nel dibattito politico e culturale ottocentesco si delineasse una costante tensione tra le norme che in maniera esplicita tentavano di definire e controllare il fenomeno – obbedendo al progetto di costruzione degli stati nazionali e di disciplina del corpo materno in funzione riproduttiva – e le pratiche che invece vedevano relegata ‘altrove’ questa esperienza, in un contesto ‘altro’, che invece era estremamente difficile da definire, controllare e quantificare.
E qui arriva un altro nodo importante che le autrici affrontano: con quali fonti raccontare un’esperienza così complessa e per definizione inafferrabile? Da questo punto di vista il volume è ricchissimo e offre un mosaico di interpretazioni che non fanno che confermare quella tensione tra norme, pratiche istituzionali, convinzioni religiose e le ricchissime voci delle donne che raccontano le loro scelte, sui loro corpi.
Nel volume viene anche fatta un’interessante analisi dei contesti urbani e sociali e della mobilità nell’Italia repubblicana, lo ha ricordato Bruno Buonomo, anche lui docente di storia contemporanea alla Sapienza, che ha evidenziato inoltre l’importanza della rete transnazionale nella quale si è inserito il dibattito italiano.
Risulta quindi evidente per quanto detto fin qui che leggere questo libro non significa solo ripercorrere la storia di questa ‘categoria mobile’ – come la definiscono le autrici – attraverso la mera ricostruzione del dibattito che portò alla legge del 1978 ma, come ha anche evidenziato Elisabetta Bini, docente di storia contemporanea alla Federico II di Napoli, si riempie finalmente un vuoto storiografico, consentendoci di rileggere da una prospettiva di genere l’intera storia politica repubblicana italiana, le modalità con le quali questo si è tradotto nel percorso delle donne verso la piena cittadinanza e il ruolo dei principali partiti politici di massa, non solo la Democrazia Cristiana ma anche il Partito Comunista Italiano, in questo processo. Da questo punto di vista, hanno spiegato le autrici, la scelta di pubblicare il testo integrale della legge alla fine del volume risponde a un’esigenza precisa, leggerlo per intero alla fine del percorso di lungo periodo che viene tracciato – il volume si chiude con i dati post-pandemia del 2022 – aiuta non solo a cogliere la portata della cesura rispetto alle norme fasciste, ma anche a cogliere a pieno la portata di una stagione di riforme che per essere interpretata a pieno impone agli storici nuove prospettive di ricerca, e tra queste i temi della sessualità e della politicità del corpo hanno mostrato di avere piena efficacia.