La fine del maschio?
Due gambe di donna, ben salde sui tacchi alti, incombono minacciose su un lillipuziano omino (un collega, si direbbe) che alza bandiera bianca prima di essere stritolato. E’ la copertina di «{{Internazionale}}» (16-22 luglio 2010). Il titolo è {{La fine del maschio}}. “Più brave, più determinate, più brillanti. Nella società postindustriale le donne sono il vero sesso forte”. All’interno servizi sull’ascesa planetaria delle donne nel mondo della cultura, dell’imprenditoria, della politica e persino sul piano demografico. Gli articoli sull’argomento sono ripresi dalla stampa americana. «Internazionale» è un ottimo settimanale di politica e cultura che seleziona “il meglio dei giornali di tutto il mondo”. Colpisce, tuttavia, il contrasto drammatico fra questa copertina e le notizie, pressoché quotidiane, di uccisioni di donne: in Italia 10 in meno di un mese, 181 in un anno, la maggior parte compiute in seno alla coppia o alla ex coppia. Gli esperti convocati da radio e televisioni parlano di crisi del maschio, di incapacità di reggere l’abbandono da parte di donne ormai autonome dal punto di vista economico e decise ad autodeterminarsi.
Scrive la giurista {{Barbara Spinelli }}sul suo blog (http://femminicidio.blogspot.com): «E’ interessante notare che i delitti commessi da uomini italiani su donne italiane vengono identificati dalla stampa come “delitti passionali”, mentre ai delitti commessi da stranieri sulle loro mogli o sulle loro figlie ci si riferisce individuandoli come “delitti d’onore”. Tale classificazione è indubbiamente discriminatoria in quanto sottende l’idea che commettere atti criminali per motivi di onore sia una peculiarità delle comunità straniere, con tradizioni diverse, dimenticando che identiche tradizioni “d’onore” (giuridicamente configurate come attenuanti o discriminanti per i reati) hanno caratterizzato la società italiana fino a pochi decenni or sono, come detto poc’anzi. Anche i dati statistici confermano che è sempre il sentimento di orgoglio ferito, di gelosia, di rabbia, di volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale a spingere l’uomo ad uccidere».
E discriminatoria e paradossale, di fronte alle cifre del femminicidio nazionale, è l’incalzante insistenza della stampa locale, specchio e artefice delle derive della politica, sulla condizione di sottomissione e arretratezza a cui sono costrette le donne musulmane (tout court). 11 tra articoli e lettere in poco più di un mese sulla {{Voce di Mantova}}, tutti centrati, ad esempio, sul burqa. Per non parlare di articoli ({Violenta la moglie, denunciato}, Gazzetta di Mantova, 17/7) chiaramente sensazionalistici e razzisti. Il dispositivo razzista sta nell’attribuire all’altro ciò affligge trasversalmente parti delle comunità autoctone e di quelle migranti: il bisogno di un’affermazione maschile garantita dal possesso e dalla sopraffazione del corpo femminile.
E’ enfatica e ambigua {{la copertina di «Internazionale», }}ironica e minacciosa insieme. Solleva, senza approfondire, qualcosa che riguarda il profondo senso di insicurezza che nuovi modelli di libertà femminile suscitano in molti uomini. Tanto più che la crisi globale colpisce l’identità maschile in ciò che storicamente più l’ha strutturata: il potere economico all’interno della famiglia. Che ha garantito nei secoli potere sul corpo e sulla vita delle donne . Ogni situazione di sgretolamento del legame sociale, dalle guerre, ai totalitarismi, alle congiunture economiche gravi, ha reso le donne bersaglio di un’aggressività maschile senza freni e il loro corpo luogo di contesa.
Del resto è necessario ricordare che la catena della violenza non si ferma alle donne. Aumenta il numero delle madri che uccidono i propri figli: nell’ultimo decennio questi crimini sono cresciuti del 41% rispetto al decennio precedente.
Qualcosa accade nella coppia e nella famiglia, le antiche (ma non antichissime) ragioni del legame familiare vengono meno senza che la società sia stata in grado di strutturarne altre o di dare spazio ad altre forme di sostegno reciproco, di nuova rappresentazione del rapporto d’amore.
Affidiamo a un saggio della studiosa femminista {{Lea Melandri}} l’analisi del retroterra profondo del conflitto tra i sessi. Ne pubblichiamo la prima parte, invitandovi a scaricare[ la versione integrale->http://moked.it/mantovaebraica/files/2010/07/se-lidea-di-comando-nasce-dal-sentimento-della-debolezza-lea-melandri1.pdf] dal nostro archivio, come impegnativa lettura estiva, antidoto al sensazionalismo scandalistico. Ci auguriamo che finalmente sul tema della violenza di genere riprenda un dibattito autentico al quale partecipino anche le donne che appartengono alle minoranze e che, spesso, guardano con preoccupata solidarietà alla nostra libertà presunta.
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