Diritti delle donne e democrazia. Un connubio insolubile
Un articolo pubblicato ieri sul quotidiano inglese “The Guardian” propone una interesante analisi sulla stretta connessione tra le battaglie per i diritti delle donne e quelle per la democrazia in Iran e spiega perché l’attacco alle attiviste stia diventando sempre più feroce.[Iran: women on the frontline of the fight for rights->http://www.guardian.co.uk/world/2010/sep/12/iran-women-fight-for-rights], è il titolo di un lungo articolo pubblicato sul quotidiano inglese “The guardian” lo scorso 12 settembre, a firma Peter Beaumont e Saeed Kamali Dehghan.
_ Tesi centrale dell’articolo è che, se negli ultimi 15 mesi in tutto il mondo l’opposizione al regime di Ahmadinejad viene identificata con volti di donna, è perché sono le donne quelle che hanno pagato di più.
L’articolo collega con un filo rosso le persecuzioni delle attiviste alla condanna di Sakineh, le cui storie incarnano differenti aspetti della situazione delle donne in quel paese e dimostrano come le iraniane che cadono nelle grinfie del regime possono essere accusate e imputate senza prove e senza garanzie di un processo giusto”.
Ziba Mir-Hosseini, un attivista che vive a Cambridge, citata nell’articolo, sostiene che la attuale visibilità delle donne nella lotta tra “dispotismo e democrazia”, è una conseguenza diretta della storia dei diritti delle donne in Iran.
_ Si tratta di una tensione, sostiene l’attivista, che è stata aggravata dall’atteggiamento contraddittorio della rivoluzione islamica del 1979 verso i diritti politici delle donne.
_ Infatti, dopo la caduta dello scià, il diritto di voto delle donne ha assunto un valore ironicamente più forte man mano che i loro diritti venivano erosi di nuovo sotto il pretesto rivoluzionario della “tutela dell’onore delle donne” rispetto al lassismo dei costumi voluto dalle leggi introdotte dallo scià che promuovevano una parità apparente.
I riformisti, continua Mir-Hosseini nell’articolo, hanno aperto uno spazio di operatività politica per le donne: “Mohammad Khatami, durante gli otto anni della sua presidenza riformista, ha infatti creato un Centro per la partecipazione della donna che ha visto il numero di ONG fwmminili in Iran aumentare da circa 45 a oltre 500.”
La conseguenza, continua Mir-Hosseini, è stata che il femminismo – una parola che non poteva nemmeno essere pronunciate nei primi anni 1980 – ha potuto trovare nuovi spazi pubblici, legandosi fortemente alle nozioni di più ampi diritti umani, radicandosi nella nuova generazione di donne iraniane.
L’avvio della campagna [One Million Signature->http://www.we-change.org/english/], lanciata dalle veterane dei diritti delle donne nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ahmadinejad ha aperto per la prima volta, una reale scena di confronto tra diritti e regime autocratico.
Nell’articolo Mir-Hosseini sostiene che “mentre la campagna è riuscita a forzare la struttura delle leggi volute da Ahmadinejad, che avrebbero reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, la potenza delle attiviste, leader nelle proteste di piazza contro i risultati elettorali del 2009, ha finito per rendere più evidente la rotta di collisione tra le richieste delle donne e il regime sempre più intransigente.
Secondo Maryam Namazie, nota attivista per i diritti umani e delle donne in particolare, anch’essa citata nell’articolo pubblicato da The Guardian, il fatto che le iraniane “siano state in prima linea nelle azioni di protesta del 2009, spiega perché i loro diritti sono tra gli obiettivi principali che il governo di Ahmadinejad tenta di colpire”.
Prima di allora, sotiene Namazie nell’articolo, il risalto che i media internazionali avevano dato alle attiviste iraniane si limitava a Shirin Ebadi, ma con il 2009 è stato evidente ed innegabile il ruolo preminente delle donne che spesso sono state alla testa delle proteste anti regime.
_Ciò è in parte dovuto all’effetto Neda, il cui video della morte è rimbalzato sugli schermi di tutto il mondo, ma se questo evento ha creato un clima di forte interesse per i manifestanti (spesso giovani donne), il giro di vite imposto da Ahmadinejad su tutte le attiviste ha finito per ritorcerglisi contro.
_ Allo stesso modo il caso di Sakineh Ashtiani Mohammadi, e la mobilitazione internazionale che ne è seguita, è servita a sottolineare ciò che le attiviste denunciavano da tempo: ovvero il tentativo sempre più aspro di smantellare i diritti delle donne.
I casi di Shadi Sadr, Shiva Nazar Ahari e Mahboubeh Abbasgholizadeh, come denuncia l'[Iran Human Rights Documentation Centre->http://www.iranhrdc.org] (IHRDC), sono stati usati per tentare di smantellare il movimento per i diritti delle donne, sotto la copertura di presunte ragioni di sicurezza nazionale.
Non ci sono indicazioni che la campagna contro le donne attiviste si stia attenunado, ma quel che è certo, conclude l’articolo, è che questa sovrapposizione socialmente molto potente dei diritti delle donne con la riforma democratica è qualcosa che Ahmadinejad ed i suoi sostenitori sono determinati ad interrompere.
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