Il compito prioritario di chi vuol sostenere la nonviolenza
Il rispetto per il vivente umano e non umano dovrebbe caratterizzare i pensieri e i comportamenti di una specie che ha scommesso tutto sulla Ragione, se non fosse che la supremazia di uno dei due generi, imposta con la violenza, ha portato al drastico privilegiamento di forme di intelligenza settoriale che hanno fatto smarrire alla ragione il suo reale significato.
Sviluppata dalle donne per assicurare alla specie la sopravvivenza ed una buona qualità della vita, essa presuppone {{sicure conoscenze dell’organismo, dei suoi bisogni e dei suoi limit}}i, così come delle sue innumerevoli, magnifiche possibilità. Il riconoscimento dell’intrinseco valore del vivente permette di attribuirgli la produzione di pensiero che gli uomini assegnano, invece, ad un fantasmatico soggetto universale, protagonista incontrastato del loro sistema cognitivo.
Ora, se non siamo previsti dalla mente che governa il mondo come organismi integri, concreti, singoli e diversi, possiamo pretendere che ci siano riconosciuti quei diritti accordati viceversa ad un inesistente essere astratto? Se{{ il corpo biologico è ridotto a cosa tra le cos}}e, possiamo ragionevolmente pretendere che venga rispettato? Se per giunta è considerato reo di ostacolare l’autonomia di una ragione di cui non si conosce la provenienza né tampoco la consistenza, come pensiamo di impedire che il disprezzo si scarichi su di lui sottoforma di violenza distruttiva?
{{La teoria e la prassi non possono essere separate}}, ormai lo sappiamo, perciò senza una totale modifica dell’approccio cognitivo al reale è impossibile reindirizzare il cammino della specie verso il rispetto della vita nelle sue concrete manifestazioni. Secondo me una onesta quanto radicale revisione critica dell’apparato concettuale dominante e del suo persistente idealismo è il compito prioritario dei sostenitori della nonviolenza.
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