Patriote e apolidi nel Risorgimento italiano
L’interrogativo sulla presenza femminile nel Risorgimento (comprese quelle che osteggiarono il processo, le reazionarie, le aristocratiche, e perfino le brigantesse) non è certo relativo all’ attivismo, ma alle lacune storiografiche in tal senso. Manca ancora una ricerca sistematica che riunisca, analizzi e metta complessivamente in evidenza il ruolo femminile nel Risorgimento, benché ci sia stato un crescendo di ricerche dalla nascita degli studi di genere in poi.
Tra {{le fonti di cui disponiamo}} non vi rientra la manualistica storica che dal tempo dell’unificazione in poi certo non ha ammodernato i suoi modelli; per l’Ottocento vinceva su tutte i{{l mito della madre oblativa}}, erede della virtuosa matrona romana. Le fonti sono piuttosto rare autobiografie, carteggi, storie familiari, in qualche caso articoli specifici su periodici talvolta fondati dalle stesse patriote, ma soprattutto quelle particolari raccolte femminili italiane dell’Ottocento, sorta di “{{cataloghi muliebri}}”, spesso divisi per secolo; quelli del XIX secolo sono pressoché tutti ispirati, come è facile supporre, all’esaltazione degli eroismi che produsse il connubio donna-patria .
Spesso caratterizzate da un marcato tono apologetico, queste {{antologie patriottiche}} decantano gli sforzi di quante si erano rese benemerite nella causa del risorgimento nazionale; il risalto maggiore viene dato alle “{{madri eroiche}}”, quelle che avevano offerto i figli alla Patria, esortandoli a difenderla e a combattere. {{La maternità nel modo di descrivere, elogiare, o condannare le patriote, è dirimente}}:{{ Anita Garibaldi}} viene condannata perché lascia i figli per seguire Garibaldi e per di più muore incinta, altre sono punite con l’allontanamento dai figli per aver seguito da innamorate i patrioti, altre invece sono esaltate come la madre di Giuseppe Mazzini, {{Maria Drago}}, o come la madre per eccellenza del Risorgimento, {{Adelaide Cairoli}}, ritratta in nero a simboleggiare i numerosi lutti. Sono eroiche nell’atto di {{offrire i figli alla patria}}, e confermano quel concetto di maternità che l’Ottocento renderà popolare:{{acquisire la cittadinanza attraverso i figli che si procreano e si educano per la nazione.}}
Il catalogo, più di altri tipi di pubblicazioni, risente direttamente dell’epoca in cui è concepito, in una parola ne riflette le esigenze ed è funzionale,o volutamente disfunzionale all’epoca stessa; in un secolo quindi in cui bisognava, oltre all’Italia, “fare gl’italiani”, {{i cataloghi sono affollati da una vera pletora di donne-mogli e donne-madri}}, tutte fermamente nutrite di alti ideali. Non si mirava più, come nei cataloghi settecenteschi a scovare donne d’eccezione nella storia affinché, dimostrando come fossero numericamente non trascurabili, si capovolgesse l’eccezione stessa in regola, ma ad additare alle future generazioni {{donne-prototipo già costituenti una regola}}, abbellite da {{qualità morali “di sostegno”, all’uomo, al padre, al fratello, al patriota}}.
Nelle guerre risorgimentali, il tipo d’azione a cui le donne erano essenzialmente chiamate si può definire “{{a latere}}”, occorrendo nella guerra, come recitava un’espressione dell’epoca, “sia il generale che la sentinella”. Ed effettivamente la gamma dei suoi interventi è svariatissima: {{“giardiniera”}}, cioè seguace femminile della Carboneria, apostola mazziniana, procacciatrice di danaro per le cartelle del prestito sempre mazziniano, conversatrice apparentemente disimpegnata nei salotti, ma in realtà vere fucine di idee e progetti insurrezionali, nonché luoghi di reperimento e aggiornamento -notizie, realizzatrice di coccarde e divise tricolori, per le quali rischiava il carcere e la tortura, improvvisatrice di pubbliche proteste e manifestazioni contro “l’asservimento allo straniero”, staffetta nei momenti cruciali, infermiera sempre presente dopo i fallimenti dei primi moti insurrezionali e le guerre d’indipendenza, sobillatrice attraverso scritti, opuscoli e pamphlets, portatrice di messaggi e materiale cospirativo, tanto più efficiente in quanto donna e quindi meno sorvegliata, perché essere a metà strada fra un fanciullo ed un ornamento, ma l’elenco delle attività potrebbe continuare.
{{La cultura contemporanea è decisamente in ritardo }} nell’affrontare un simile argomento se nei loro confronti già {{Vittorio Cian,}} nel 1930, epoca sensibile alle virtù guerriere, aveva coniato il termine {{“femminismo patriottico}}”: “Bisogna che noi signori uomini abbiamo coraggio di confessare che, senza volerlo, solo spinti dal nostro istinto e dalle nostre abitudini di maschi sopraffattori, nello scrivere la storia abbiamo fatto e continuiamo a fare un po’ troppo la parte del leone; abbiamo finito cioè con lo scriverlo un po’ ad usum non delphini, ma viri, dell’uomo cioè quasi del solo ed unico attore di essa. Bisogna che abbiamo pure il coraggio di rivederla questa storia scritta da noi e di riconoscere col fatto che, quanto più si estendono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento, più vediamo balzar fuori numerose figure di donne…perciò è tutta {{un’opera di giustizia storica distributiva}}”.
Anche {{Atto Vanucci}}, memorialista del Risorgimento, annotava che non soltanto gli uomini affrontarono “le ire feroci dei despoti e che anche il sesso che chiamiamo debole sfidò prigioni e torture; anche le donne salirono impavide sul patibolo del tiranno e caddero olocausti della causa del vero…Numerose già alla fine del 1833{{ le nuove Ginevre d’Italia,}} a partire dalla fine del XVIII secolo, cioè agli albori del Risorgimento diventano legione quando ci si spinga alla fase ultima e conclusiva di esso che comprende la guerra. E dacché la statistica non deve essere un’opinione, riconosco che le centinaia di nomi femminili più o meno illustri che finora sono venuti alla luce sono {{una piccola minoranza in confronto alle migliaia di martiri e combattenti}}. E sarà atto non di generosità, ma di giustizia da parte dell’uomo il riconoscere che alla inferiorità numerica o quantitativa è grande compenso la qualità dell’azione femminile” . La distinzione tra un “martirologio” maschile ed uno femminile è semmai da rintracciare unicamente nel fatto che quest’ultimo è fatto di “riserbo, di soavità fuggitive, di silenzi, di rinunzie, ma non per questo è una passività trascurabile” .
Oggi {{il termine stesso di “partecipazione” appare insufficiente a connotare l’esperienza femminile}} e rischia di essere ancora una volta una “formula che presenta le donne come ospiti occasionali in una storia non loro dove la normalità e la norma è l’azione degli uomini: partecipare non equivale a far parte, anzi marca il divario fra appartenenza e convergenza momentanea” .
La {{presenza fattiva delle donne}} non fu solo quantitativamente rilevante in questa fase che fu un momento cardine del processo di unificazione, ma produsse significati ben oltre il 1848 e il compimento stesso dell’unità. Le donne, lungi dal restare escluse, sono chiamate in causa principalmente attraverso il legame familiare e affettivo, in quanto madri, figli, consorti di patrioti, ma anche come sorelle in quanto figlie della stessa madre Italia, e dunque {{come patriote esse stesse secondo una interpretazione estensiva e di genere dell’idea di fratellanza.}}
E tuttavia la natura del patriottismo femminile contemplava precisi ruoli nei quali le donne erano chiamate a dare il loro contributo alla causa italiana: se un legame fraterno univa le loro sorti a quelle dei loro uomini non per questo erano uguali. Inoltre, agivano all’interno di una contraddizione che negli eventi bellici successivi, prima e seconda guerra mondiale diventerà sempre più evidente: lottavano e si sacrificavano per una patria che non era la loro e non riconosceva alle donne una cittadinanza sociale e politica.
Ritengo che a partire dal Risorgimento s’innescherà proprio una tipologia partecipativa legata ad un rifiuto della categoria di apolidi, semmai ad una richiesta di cittadinanza politica come ricompensa per il lavoro offerto.
Le donne del Risorgimento, che nei loro scritti non si richiamano ad {{una storia comune di genere}}, fondano invece a loro volta{{ una genealogia femminile }} cui si richiameranno le donne degli anni a venire.
Le maestre post-unitarie, così come le emancipazioniste avranno a disposizione modelli per le giovani altamente positivi. Inoltre, l’aver partecipato ad una storia fondativa, quella della nazione italiana, contribuirà anche al risveglio per l’interesse di una storia passata in cui la presenza femminile s’infittisce.
Personalmente considero {{la partecipazione femminile al Risorgimento legata per molti aspetti a due eventi bellici successivi, prima e seconda guerra mondiale}}, per più di un motivo.
{{
Il primo }} è che per le donne, oltre alle sempre presenti motivazioni affettive e familiari, si riscontra {{una motivazione ideale}}: {{nel Risorgimento}}, legata all’amore per una Patria, anche se avara e matrigna nei loro confronti;{{ nella prima guerra mondiale}}, soprattutto per le interventiste democratiche, la convinzione che si dovesse portare a termine il processo di unificazione risorgimentale; {{nell’ultima guerra}}, la liberazione della patria stessa dal nemico con la Resistenza, per una società politica nuova, in cui finalmente cessare di essere apolidi. Naturalmente il dato quantitativo della partecipazione diretta e consapevole in tutti i casi è numericamente ridotto, ma la ricaduta sull’intero genere femminile, in termini emancipatori, economici, e nell’immaginario collettivo, è stata per molti versi imponente.
Un {{secondo motivo}} sta nel carattere anonimo attribuito alla partecipazione femminile in tutti e tre gli eventi. Di moltissime risorgimentali non sappiamo neanche il nome, delle partigiane{{ Ada Gobetti }} metterà in rilievo proprio {{il valore dell’anonimato collettivo come dato positivo.}}
Un {{terzo motivo}} è rappresentato dalla {{condanna di ruoli }} che, da sempre tradizionali, diventavano disdicevoli quando sconfinavano nella politica. Ne sono esempi fra i tanti gli ospedali organizzati nella Repubblica Romana del ‘49 essenzialmente da {{Cristina di Belgiojoso }} e {{Margaret Fuller}}, criticati in quanto avevano impiegato prostitute o comunque donne che mostravano le braccia nude. Oppure le partigiane che vivevano con i compagni nei boschi espletando mansioni tradizionali e che, una volta tornate alla vita civile, furono accusate di immoralità.
Un {{quarto motivo}} è nella fusione continua per le donne, agli occhi dei contemporanei, di {{sentimenti e politica}}, più che di ideali e politica. I sentimenti, materni, amorosi,filiali,sono attribuiti solo alle donne, mentre la politica virile se ne distacca, attribuendo agli ideali quasi la sola razionalità. {{L’unilateralità di una politica senza sentimenti ha in realtà danneggiato negli anni a venire l’essenza stessa della politica.}}
{ Immagine}: “La famiglia Cairoli” da liberalsocialisti.org
[Convegno->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article7280]: L’esperienza e l’eredità delle Patriote dal primo Risorgimento all’Italia post- unitaria, Roma 19 novembre 2010
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