La tutela giuridica delle donne dalle discriminazioni nel mondo del lavoro è particolarmente rafforzata. Almeno sulla carta. Le norme che disciplinano la situazione della lavoratrice e la difesa dei suoi diritti sono numerose. Dall’{{articolo 37 della costituzione}}, che sancisce la parità lavorativa tra uomo e donna, al recente “[Codice delle pari opportunità tra uomo e donna->http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/pari_opportunita_codice/index.html]”, approvato nell’aprile del 2006, sono numerose le disposizioni di legge che assicurano tutela giuridica alle donne, alle madri, alle lavoratrici.
Non tutte le donne che lavorano conoscono però i diritti e gli strumenti di tutela che l’ordinamento ha previsto.
Di grande importanza nella lotta contro le discriminazioni e nel raggiungimento delle pari opportunità nel mondo del lavoro è la Consigliera di Parità.

Prevista già dalla legge 125 del 1991, la figura della Consigliera di Parità è ora disciplinata dal Decreto legislativo 198 del 2006, il codice delle Pari Opportunità, che ne ha riaffermato il ruolo istituzionale e gli importanti compiti di promozione e tutela.
_ La {{Consigliera di Parità è un pubblico ufficiale nominato dal Ministero del lavoro}} di concerto col Ministro delle Pari Opportunità. Presente a livello nazionale, regionale e provinciale, la Consigliera è chiamata a svolgere {{funzioni di promozione e nel controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazioni}} per donne e uomini nel lavoro. Vigila e interviene in tutti i casi nei quali si riscontri la discriminazione di genere nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati. Ha un {{ruolo fondamentale anche nella promozione dell’occupazione femminile}}. Svolge, infatti, attività di informazione e sensibilizzazione nel sostegno delle politiche di pari opportunità, contro le discriminazioni legate al genere, nell’accesso ai luoghi di lavoro.

{{Federica Vedova}} è la Consigliera di Parità della Provincia di Venezia. È lei a spiegarci come si svolge il lavoro di questo pubblico ufficiale, chiamato a promuovere il ruolo delle donne nei luoghi di lavoro, tutelandole dalle discriminazioni.

{{Com’è la realtà con la quale si confronta ogni giorno?}}

In apparenza il territorio nel quale mi trovo a operare, quello della provincia veneziana, è attento e sensibile alle tematiche delle pari opportunità tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Molte iniziative di sensibilizzazioni sono state realizzate in quest’area, dalla creazione dei Centri Risorse Donne, col progetto “Ri.Do.”, a quello “Lavorattive”.
Oltre che alle lavoratrici, gli interventi sono stati rivolti anche alle giovani generazioni: percorsi di educazione sugli stereotipi di genere nelle scelte di studio e professionali sono stati realizzati nelle scuole superiori. Molte le iniziative che hanno reso ancora più attento un territorio già sensibile.

{{Una realtà lavorativa ideale allora?}}

No. Assolutamente. È nell’ambito del mercato del lavoro che anche il Nord Italia sconta tutte le difficoltà.
La percentuale di occupazione delle donne in questo territorio è buona. Non si arriva al 60 per cento previsto come obiettivo della “Strategia di Lisbona”, il piano varato nel 2000 dal Consiglio europeo, ma ci si attesta sul 53 per cento. È necessario però leggere questo dato insieme a quello della precarietà e della fortissima instabilità che caratterizzano i rapporti di lavoro, in particolare quelli delle donne.

{{Cosa comporta questa situazione?}}

Le conseguenze di questa realtà lavorativa si scontano nella vita personale e familiare. C’è un forte ritardo nel mettere al mondo dei figli dovuto proprio alla mancanza di sicurezza economica e professionale. Quando poi le donne decidono di avere dei figli, allora la loro situazione lavorativa si aggrava ulteriormente. Una donna su cinque è costretta a uscire dal mercato del lavoro già alla prima gravidanza.
Le donne hanno coscienza delle discriminazioni che spesso subiscono?
Nei quattro anni del mio mandato come Consigliera di Parità, ho avuto modo di rendermi conto che qui, in provincia di Venezia, c’è da parte delle donne una buona percezione, una consapevolezza, di quella che è la discriminazione di genere diretta. Si tratta dei casi più evidenti, ad esempio i casi nei quali alle donne viene precluso di accedere ad una data attività lavorativa proprio per il loro essere donne.
Viceversa, manca da parte delle lavoratrici la capacità di riconoscere le ipotesi nelle quali sono sottoposte ad una discriminazione indiretta.

{{Cosa si intende per discriminazione indiretta?}}

È il caso in cui un comportamento, una prassi, un atto in apparenza “neutro” mettono o anche semplicemente possono mettere i lavoratori in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso. Pur essendo collegate al genere, vengono determinate da un altro fattore. Da quanto ho potuto riscontrare, nella maggioranza dei casi l’elemento che scatena le discriminazioni indirette è la maternità.

{{Eppure la maternità è tutelata dalla legge.}}

Si, ma nei fatti la situazione delle donne è ancora assai critica quando mettono al mondo dei figli. Quando una donna rientra dopo l’assenza dovuta ad una gravidanza, si determinano dei meccanismi e delle dinamiche perverse. La donna-lavoratrice-mamma è in un momento davvero speciale ed è oltremodo fragile. Si sente doppiamente in colpa: nei confronti del bimbo, affidato a un nonno o ad un asilo, e anche nei confronti del lavoro. Per mesi, infatti, si è assentata dal lavoro ed è facile che al rientro si senta venga fatta sentire in colpa dai colleghi o dal datore di lavoro proprio per avere “abbandonato” il lavoro.
Se dopo i mesi di assenza per maternità, previsti come assenza obbligatoria, “osa” prendere una delle agevolazioni che, seppur previste dalla legge, sono facoltative, spesso allora finisce col venire allontanata dal posto di lavoro.

{{È, quindi, la maternità il motivo che porta alle discriminazioni sul lavoro?}}

Si, senza dubbio, e lo dimostra un dato statistico davvero particolare.
Il quattro per cento dei casi di discriminazioni dei quali mi sono occupata sono stati segnalati al mio ufficio da parte di uomini. Si tratta della stessa percentuale di lavoratori che scelgono di fruire delle agevolazioni previste per assistere i figli che, in base alla legge, possono essere godute indipendentemente dal padre o dalla madre del bimbo. Che si tratti quindi di un uomo o di una donna, la scelta di occuparsi, oltre che del lavoro, anche della famiglia e dei figli porta spesso a comportamenti discriminatori nei luoghi di lavoro.

{{Quali altri fattori portano alle discriminazioni?}}

Il part-time è una delle cause che causa comportamenti ostili e discriminatori nei confronti del lavoratore o della lavoratrice che chiede di poterne fruire. Spesso sono proprio le aziende a imporre alla lavoratrice un orario part-time. Quando però sono le donne a farne richiesta per contemperare le esigenze lavorative con quelle familiari, allora diventa un problema. Non c’è alcun obbligo previsto per legge per la concessione del part-time nel settore privato, quindi il datore di lavoro ha buon gioco nel negarlo.
Richieste di part- time e flessibilità nell’orario di lavoro si rivelano spesso molto pericolose per la donna che finisce col venire discriminata proprio in conseguenza delle stesse.
_ Il mio ufficio sta seguendo proprio il caso di una donna che al rientro dalla maternità ha chiesto 15 minuti di flessibilità nell’orario per poter accompagnare il bimbo all’asilo. Si tratta di una grande multinazionale e l’attività che la signora svolte è d’ufficio: quindici minuti di flessibilità nell’orario di lavoro non cambiano assolutamente nulla nello svolgimento delle mansioni. L’Azienda, a fronte della richiesta, si è chiusa a riccio negando il part time in maniera categorica.
_ In un altro caso che mi è stato segnalato a sette operaie è stato concesso il part-time. Alle due impiegate che pure ne hanno fatto richiesta è stato invece rifiutato anche se nel loro caso, non essendo inserite in una catena di montaggio, non ci sarebbero problemi reali nel gestire il lavoro.

{{Quali sono gli strumenti di difesa che la Consigliera di Parità può mettere in atto in questi casi?}}

In quanto Pubblico Ufficiale, la Consigliera di Parità fornisce consulenza e assistenza legale gratuita alle lavoratrici e ai lavoratori in tutti i casi in cui riscontri la discriminazione di genere. In un primo tempo l’azione della consigliera è “soft”: si tenta la via della conciliazione col datore di lavoro. Se non si raggiungono i risultati sperati, potrà agire in giudizio su delega del lavoratore discriminato oppure intervenendo nei giudizi già promossi dallo stesso.
Ipotesi particolare prevista dalla legge è quella che permette alle consigliere di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera nazionale possono agire in giudizio quando rilevino l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti e indiretti di carattere collettivo. In questi casi è possibile agire anche se non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici e i lavoratori lesi dalla discriminazione.
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Le donne discriminate sono favorevoli all’azione in giudizio?}}

Non sempre. Spesso le lavoratrici temono ulteriori e peggiori ripercussioni da parte dell’attuale datore di lavoro o di altri possibili datori. Questo limita fortemente l’azione della consigliera di parità provinciale che non può promuovere un giudizio legale se non è delegato dal lavoratore.

{{Quali altri limiti ravvisa nel suo incarico?}}

Quello delle ore previste dalla legge per svolgere un compito tanto delicato e tanto impegnativo. Sono davvero poche 30 ore al mese per le consigliere di parità provinciali e 50 per quelle regionali e quella nazionale. Per ottenere buoni risultati molte di noi finiscono col dedicare a questo incarico il proprio tempo libero. Senza nessun rammarico.

{{“Oggi si” è l’ultimo dei progetti, in ordine di tempo, promossi dalla Consigliera di Parità della Provincia di Venezia a favore delle donne lavoratrici. In cosa consiste?}}

Il progetto è stato realizzato d’intesa con lo Sportello Donne al Lavoro nell’ambito delle attività del Servizio Azioni Positive e Progetti Speciali che vede coinvolta anche la Rete Eures. “Oggi si” mira a fornire strumenti di riqualificazione delle donne finalizzata al loro reinserimento nel mondo del lavoro. Spesso, le donne che si rivolgono allo “Sportello Donne al lavoro” presentano storie di discriminazione e le lavoratrici che chiedono aiuto alla Consigliera di Parità hanno necessità di un supporto nella ricollocazione lavorativa. Il progetto è rivolto a donne socialmente svantaggiate per età (over 45 anni), o per altre ragioni attestate dai servizi sociali, donne che vogliono rientrare nel mercato del lavoro dopo almeno 12 mesi di inattività, donne in cerca di occupazione con forte rischio di esclusione e di difficile inserimento. Le donne vengono inserite in percorsi di tirocinio. I costi della formazione sono in parte sostenuti dalla Provincia. Alle aziende coinvolte è infatti garantito un contributo economico.