L’Italia a caccia di cosa?
Dal sito Aprile on line riprendiamo questo intervento di Silvana Pisa * (senatrice Ds) Perché la nostra maggioranza di centro-sinistra – l’Unione che ha come simbolo l’arcobaleno – continua a disattendere l’impegno, preso con gli elettori nel suo programma, di diminuire le spese in armamenti. Perché non si prevede un fondo per la riconversione?In aperta {{contraddizione col programma dell’Unione continua l’escalation nelle spese militari}} di questo Governo. Il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri ha firmato, ieri l’altro negli USA, il {memorandum of understanding per} la fase di produzione, supporto e {{sviluppo del caccia Joint Strike Fighter.}} Lo ha annunciato il Ministro Bersani in visita al Pentagono.
Questo è il secondo atto di una vicenda iniziata nel ’98 e che aveva portato il nostro paese ad aderire, fin da allora, alla fase di progettazione e ricerca che per il nostro paese aveva presentato notevoli criticità persino sotto il profilo del ritorno industriale nel passaggio del Know-how.
Lo stesso Ministero delle Attività Produttive nella relazione sulla legge 185 del 2005 notava che permanevano difficoltà e restrizioni da parte degli USA per concedere la “disclosure” delle informazioni agli operatori italiani; questi venivano sottoposti a “controlli vessatori” rendendo estremamente limitata la possibilità del coinvolgimento dell’industria italiana nelle aree ad alta tecnologia necessarie per l’operatività del J.F.S.
Nonostante questa prima fase non brillante, che tuttavia risultava già di per sé onerosissima, fin dai mesi scorsi era stata individuata come sede l’aeroporto di Cameri per l’assemblaggio del veicolo, dando quindi per scontato il passaggio alla fase due. Siccome questo passaggio successivo non era obbligatorio, molti parlamentari pacifisti hanno presentato da tempo – al Senato ed alla Camera – interrogazioni ed interpellanze per sapere le ragioni di questa decisione.
Ci è stato risposto, in modo “tecnico”, che il J.S.F. doveva sostituire gli Harrier ed i Tornado senza nessuna spiegazione del perché privilegiare una co-produzione americana piuttosto che europea. La necessità di{{ un aereo di attacco (e non di difesa)}} è già di per sé discutibile: implica l’adesione a quelle strategie di proiezione militare all’estero che accentuano il modello offensivo delle nostre Forze armate e che poco hanno a che vedere con le nostre missioni di peace-keeping svolte dal nostro paese. Persino l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa gen. Fraticelli lo ebbe a criticare, fin dal 2005: “A chi dobbiamo andare a fare la guerra? Quali minacce dobbiamo fronteggiare? Quale è la giustificazione politica?”
A tutto ciò il sottosegretario Forcieri, press-agent del programma, ha risposto la scorsa settimana in commissione arrampicandosi sugli specchi: “il fatto che lo produciamo non significa che l’acquisteremo; il fatto che possa portare ordigni nucleari non vuol dire che li porti…” Non ha risposto affatto invece ad un tema non indifferente: perché non sottoporre a voto, come previsto dalla legge 436 dell’88 questo passaggio parlamentare limitandosi a mere “comunicazioni”?
Ma il punto politico, di vera sofferenza, è {{perché la nostra maggioranza di centro-sinistra}} – l’Unione che ha come simbolo l’arcobaleno – {{continua a disattendere l’impegno, preso con gli elettori nel suo programma, di diminuire le spese in armamenti}}. Perché non si prevede un fondo per la riconversione? Questi fatti riguardano anche noi: perché al posto di tante singole proteste (individuali o di associazioni) non siamo riusciti a creare un forte movimento d’opinione che imponesse una discussione aperta e trasparente?
Il mondo cattolico – soprattutto in Piemonte – si sta mobilitando e questo è un bene. Ma per fermare questo programma temo che non basti la corte dei conti e occorre che il movimento per la pace ritrovi l’unità e faccia capire che le spese per gli armamenti non sono neutrali.
{*senatrice gruppo DS-Ulivo, membro Commissione Difesa}
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