“Immagini amiche”: lo smascheramento degli stereotipi femminili
Le tre Campagne degli ultimi anni – il 50 E 50 OVUNQUE SI DECIDE, la Staffetta contro la violenza sulle donne ed Immagini amiche – hanno avuto un unico filo conduttore: contrastare l’esclusione delle donne dalla possibilità di esprimere una piena cittadinanza.
Per cambiare rotta è stato e continua ad essere indispensabile riconoscere e decostruire, giorno per giorno, la cultura sessista che genera e rimette in opera questa esclusione, rendendola possibile e normale agli occhi di molti e molte: così, se la Campagna “50E50” ha reso manifesta la gravissima assenza delle donne nei luoghi decisionali, “Immagini amiche” ha avuto il merito di smascherare gli stereotipi femminili che, screditando le donne, tolgono loro quella credibilità necessaria di {dire e fare autorevolmente}, tanto sulla scena privata quanto su quella pubblica, e che sono – per questo – responsabili di tutte le forme possibili di violenza, di cui ci siamo fatte {testimoni} durante la “Staffetta”. Sapere che queste tre Campagne sono intimamente legate l’una all’altra ci dà la misura di come la vita delle donne non possa essere trattata frammentando i suoi vari aspetti perché uno contribuisce alla determinazione dell’altro e viceversa. L’Udi questo ce l’ha ben chiaro perché è costituita da donne che vivono sulla propria pelle l’elaborazione e l’azione politica delle quali si fanno carico.
L’attuale {{rappresentazione delle donne nei media}} è sconfortante e pericolosa: assume tratti fortemente degradanti, diffondendo in modo amplificato – data l’ ingombranza e la dipendenza da questi mezzi – un immaginario violento nei confronti delle donne. Ciò costituisce un vero e proprio ostacolo alla parità. Persino le versioni on-line delle maggiori testate italiane mostrano ogni giorno immagini offensive della dignità femminile. Impossibile evitarle in quanto sono spesso più centrali delle notizie del giorno. Com’è potuto succedere? Eppure le donne dedicano alla lettura più tempo rispetto agli uomini: secondo i sondaggi più recenti, le lettrici costituiscono il 60 per cento del totale e almeno quanto gli uomini usano Internet. Durante la Campagna Immagini amiche abbiamo focalizzato la nostra attenzione su pubblicità, programmi TV e il linguaggio usato per riferirsi a noi e abbiamo rilevato quanto le donne che vivono in Italia siano spesso frustrate ma rassegnate, quando non indifferenti, dallo svilimento quotidiano della loro identità, incalzato dall’azione persuasiva di una televisione sempre più retrograda che continua a propinarci donne {svestite e zitte} al fianco di uomini vestiti e parlanti. E’ deprimente assistere, poi, alla dissociazione schizofrenica di cui soffrono i giornali quando criticano un certo modo di fare comunicazione e, al contempo, non promuovono messaggi diversi da quelli che stanno alle radici del mal costume che denunciano. Proprio le autorevoli pagine di Repubblica, nella sua edizione genovese dell’estate del 2010, pubblicavano la pubblicità di un mobilificio che, volendo catturare l’attenzione sui propri divani e poltrone, aveva per slogan “{questa si che è fortuna}”, associando maliziosamente a queste parole un sinuoso “lato B”, ovviamente femminile. Solo le lettere di protesta e le mail-bombing di molte hanno costretto a cambiare rotta, costringendo il mobilificio ad affidare il richiamo alla{ fortuna} di poter acquistare a prezzi convenienti ad un innocuo{ quadrifoglio}. Registrare successi come questi, ci fanno dire che questa Campagna ha reso possibile e visibile una reazione. Non che prima mancasse, ma faticava a trovare le parole per esprimersi, la disponibilità nel lasciarsi ascoltare e lo spazio nel quale irrompere. Del resto, il web aiuta a dare voce a disagi e fastidi, e il web noi donne lo usiamo a pieno ritmo.
Un’indagine condotta nel 2010 da ASTRA-ricerche, su un campione rappresentativo di 1000 donne, riguardo il loro gradimento dell’immagine femminile nei media e in pubblicità, ha riportato i seguenti dati: il 94% rifiuta un’immagine di donna insicura; il 93% rifiuta un’immagine di donna aggressiva e dominatrice; l’85% rifiuta un’immagine di donna erotica; il 74% rifiuta quella tradizionalista acqua e sapone, il 66% rifiuta una rappresentazione da seduttrice. Sono chiare anche le richieste in positivo: le donne vorrebbero vedersi rappresentate come intelligenti, capaci, autonome, sicure di sé, allegre e vitali, piene di risorse e ricche di esperienza. A fronte delle aspettative femminili disattese, dovremmo quindi dedurre che la comunicazione sia fatta solo da uomini. Però come mai i risultati sono questi se le donne sono anche consumatrici e leader nel consumo familiare? Appare evidente {{lo scollamento tra le aziende e la realtà delle donne italiane}}. Il caso {Ristora} lo esemplifica molto bene. Lo spot sessista, andato in onda durante il programma {Ciao Darwin}, è stato prontamente fatto ritirare dallo Iap con molte scuse da parte dell’azienda e con i migliori propositi di fare più attenzione in futuro: nella risposta data da Ristora, però, il dato che colpisce sta nella precisazione che l’80% dei suoi dipendenti, sia donna. Ci chiediamo quindi: è in questo paradosso, l’effetto dell’assuefazione delle donne ad una cultura maschilista? Come spiegare che siano le stesse donne a permettere il loro quotidiano vilipendio? Crediamo che questa dipenda da due fattori: il primo è che ancora le donne rimangono delle rarità nei luoghi decisionali; il secondo è che, dove anche ci sono, per rimanere dove stanno, sono portate ad adeguarsi alla cultura imperante, rendendosi complici di un sistema che non hanno scelto per sé.
In più, politicamente, si pone un’altra importante questione che non potrà essere elusa in un prossimo futuro perché c’è, esiste, indipendentemente dalla nostra volontà di affrontarla: {{la responsabilità delle donne nel prestarsi ad una certa rappresentazione di sé.}} Per tante immagini lesive che inquinano i nostri immaginari, è innegabile che vi siano altrettante donne che accettano di farsi ritrarre in questo modo. E’ un fatto che non può essere ignorato. Siamo consapevoli che perseguire nel nostro paese percorsi di emancipazione negativa paghi molto di più che contare sul proprio merito: {prestarsi} assicura soldi e successo e tutto questo “a risultato sicuro”. Questa scelta diventa, così, spesso predeterminata dal contesto sociale e culturale in cui viviamo. Ma a quale prezzo? L’emancipazione negativa, se dà libertà, lo fa riproducendo gli stessi stereotipi che costringono le donne a non scommettere su di sé e a darsi in pasto al “mercato della femmina”. E’, quindi, un circolo vizioso dal quale, una volta entrate, diventa complicato uscire. Tuttavia, è bene ricordare che questi comportamenti emancipativi non costituiscono delle scelte {private} delle donne, soprattutto quando divengono {modellizzanti} per le altre: ogni donna è chiamata in causa da un corpo femminile mercificato quando questo corpo diventa la regola, la prassi, il nostro quotidiano vedere. E allora, è come se ogni donna venisse obbligata a prendere le distanze dal modello femminile riconosciuto come vincente da una società maschilista morente, scalfita ed in declino, e forse per questo più efferata ed imbarbarita. E’ come se ogni donna, prima di dire {chi è}, si sentisse in obbligo di dire c{hi non è}, dovendo identificarsi negativamente, discolpandosi da una calunnia latente, quella cioè di non essere una {persona essenziale} come tutte le altre, di essere {carne da macello} che usa la sua stessa degradazione per farsi largo tra la massa di donne che non vuole provare questa umiliazione su di sé. Sostenere questo non significa scagliarsi contro altre donne, ma disconoscere una pratica comportamentale che ci riguarda tutte perché ha ricadute su tutte.
{{Cosa fare, allora, in futuro?}} L’azione positiva e propulsiva avviata dalla Campagna ha riscontrato una sentita esigenza delle donne e di una parte di uomini, verso un miglioramento, una diffusione di una cultura diversa e una regolamentazione dell’utilizzo mediatico dell’immagine femminile e della rappresentazione delle donne nella comunicazione tutta. Inoltre, l’impegno profuso e la chiarezza degli obiettivi sono stati riconosciuti dalle massime cariche dello Stato: la Campagna Immagini Amiche ha ottenuto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e condivisione e sostegno sono giunti dal Ministero per le Pari Opportunità e dal Parlamento Europeo.
_ Sulla base di questo riconoscimento, la Campagna Immagini amiche prosegue avendo in agenda nuovi propositi, come ad esempio:
Creare un Comitato nazionale con rappresentanti delle associazioni, istituzioni e mondo dei media che lavori operativamente sul monitoraggio e sull’analisi della rappresentazione delle donne, sulla promozione di progetti di sensibilizzazione, sul confronto e dialogo con aziende e network;
Istituire Osservatori locali che stiano, oltre che in contatto costante con il Comitato nazionale, in rete con associazioni e istituzioni attive sul territorio per la diffusione capillare di una cultura rispettosa della dignità femminile;
Dare seguito alle nuove edizioni del Premio Immagini Amiche per fare della promozione di una creatività differente e rispettosa dei generi, un volano per una rappresentazione diffusa del femminile in grado di aprire ad immaginari inaspettati.
Continuare coraggiosamente a credere nel lavoro creativo e diffuso sul territorio attraverso progetti ed iniziative rivolte alla cittadinanza, in particolare alla cittadinanza studentesca.
Durante l’anno appena trascorso, si è visto, infatti, come portare questo dibattito nelle scuole sia stato di fondamentale importanza per accrescere la capacità critica dei ragazzi e delle ragazze, senza lasciarli in balia di modelli identitari screditanti dei loro rispettivi generi. I laboratori didattici realizzati, ad esempio, dall’UDI di Modena e dall’Udi di Venezia hanno fatto emergere nelle classi il desiderio di contrasto ai modelli attuali e la voglia di una cultura differente che non abbia bisogno di abusare del corpo delle donne per esprimersi. A Modena, poi, a seguito di questa esperienza nelle scuole, è stato addirittura scritto un libro dal titolo “Chi è la più bella del reame? La bellezza femminile ai tempi della pubblicità sessista”. Il libro, che al momento è in attesa di pubblicazione, costituisce un vero e proprio strumento didattico dal quale chiunque può prendere liberamente spunto per dare vita ad un’esperienza analoga non solo a scuola, ma anche a casa.
Auspichiamo, inoltre, che si continui a lavorare intensamente nel Web, aggiornando la sezione dedicata alla Campagna sul sito dell’UDI Nazionale, e stimolando commenti, dibattiti e accogliendo proposte e segnalazioni attraverso il blog {Fareilpunto}.
Infine, siamo convinte di dover pensare in grande, provando a costruire relazioni politiche nella cornice europea con realtà associative e non, ricercando solidarietà e comunità di intenti su questioni di genere e comunicazione.
A questo punto, appare evidente che la nuova parentesi della Campagna Immagini Amiche non possa prescindere dal {{rapportarsi con il maschile}}: ridefinire i ruoli e le relazioni, tenendo conto di tutte le parti in gioco, è più che mai indispensabile in questo momento storico. E’ necessario tener conto che per ogni donna degradata da uso inappropriato delle immagini, spesso, accanto, c’è un uomo rappresentato in modo sciocco ed umiliante. Per questo, sono stati diversi gli uomini che hanno sostenuto il nostro percorso: dai sindaci ai consiglieri che hanno aderito alle risoluzione europea 2038; a coloro i quali hanno collaborato nei momenti di denuncia; a quelli che hanno lavorato all’elaborazione dei video e cortometraggi, come “Sovraesposte”, ad esempio, realizzato da Udi 25 Novembre Genova con un uomo per regista.
Infine, non possiamo esimerci dall’evidenziare anche {{alcune difficoltà}} ottenute nelle richieste di una rappresentazione differente: in diversi hanno reagito alla Campagna ammonendoci del fatto che esistano cose “ben più importanti” sulle quali concentrarsi; altri hanno voluto delegittimare la nostra presa di parola, facendoci passare per “bacchettone”, confondendo – forse deliberatamente – la nostra denuncia, insieme culturale e politica, con un’azione moralistica e moralizzatrice; altri ancora hanno preso da questa Campagna spacciandola per propria, disconoscendo così il lavoro dell’Udi. In ogni caso, quello che conta è che, grazie a questa Campagna, un numero maggiore di donne è diventata più forte nel vivere la bellezza, la potenza e la dignità del proprio corpo, come una libertà alla quale nessuna può facilmente abdicare, per responsabilità verso se stessa, ma anche verso tutte le altre.
{{
Serena Ballista}},
{{Angela Catania}}
{per il Gruppo nazionale UDI – Immagini amiche }
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