Storia di Amal la clandestina
Una storia finita bene quella di Amal Wasfi, cittadina marocchina sans papier di 30 anni che ha rischiato di diventare l’ennesimo esempio della lotta all’immigrazione clandestina del governo federale belga. Amal era stata fermata il 22 gennaio scorso in seguito ad un controllo sui mezzi pubblici della capitale. Non avendo potuto esibire documenti (pur vivendo da più di due anni in Belgio non ha mai introdotto domanda di regolarizzazione) era stata arrestata; sua sorella Asma, anche lei residente a Bruxelles, non vedendola tornare a casa si era messa alla sua ricerca. Amal, che risultava introvabile, era stata invece trasportata da un commissariato all’altro, senza poter avvertire i suoi familiari, per giungere infine a Zaventem (da dove partono i voli di rimpatrio) ed essere sottoposta alla procedura di espulsione rapida.
La notizia della sua presenza, fornita in maniera anonima da alcuni poliziotti del centro, ha facilitato il compito delle organizzazioni mobilitate per la sua liberazione: la storica {{Casa delle donne di Rue Blanche}} insieme al Crer e al {{Colfen}} (Collettivo Donne in Nero contro i centri di detenzione e le espulsioni) hanno costituito una rete di assistenza e sostegno che ha dato i suoi frutti. Grazie al lavoro di {{Selma Benkhelifa}}, avvocata della rete {Progress Lawyers} e collaboratrice del Colfen, Amal é stata invitata a rifiutare l’espulsione (procedura ammessa dalla legge belga in caso di primo arresto); rappresentanti delle istituzioni comunali, politici e persino il console marocchino di Bruxelles sono stati mobilitati per ottenerne la completa liberazione.
Durante le trattative, Amal è rimasta all’interno del 127bis di Steenokkerzeel, il centro di transito a pochi passi dall’aeroporto e ci sono volute {{quasi due settimane prima di vederla fare ritorno a casa}}. La sua liberazione è il frutto {{dell’azione coordinata dei movimenti che da anni offrono sostegno ai cittadini stranieri in soggiorno illegale}} in un paese che, come il Belgio, ha recentemente sottolineato il suo {{rifiuto a definire dei criteri precisi di regolarizzazione}}, ribadendo il principio dell’arbitrarietà e della scelta ‘caso per caso’. Alla risoluzione del caso di Amal hanno contribuito le sue condizioni: incinta di cinque mesi e “convivente dichiarata di un cittadino belga” attualmente ricoverato in ospedale e impossibilitato a offrirle il suo sostegno. La soluzione trovata dalle parti è stata quindi di procedere ad una {{promessa di matrimonio d’urgenza con tanto di data fissata in municipio}}.
La storia di Amal appare complessa perché la sua conclusione felice sembra dipendere, almeno per la mobilitazione istituzionale che ha provocato, più da una questione di “diritto di famiglia” che dal riconoscimento del diritto di una donna, anche sola, a desiderare un futuro migliore in un paese diverso dal proprio. Ma allo stesso tempo non differisce da quella di tante altre donne {sans papier} vittime di espulsioni rapide ed inumane. Secondo il Colfen, inoltre, l’espulsione forzata verso il Marocco avrebbe solamente complicato l’esercizio dei suoi diritti e il ritorno in Belgio con un visto regolare e “il fratello, informato del suo stato e della sua convivenza “illecita,” si era già detto pronto a vendicare l’onore della famiglia”.
La causa di Amal è stata difesa {{nel nome di Semira Adamu}}, la giovane nigeriana uccisa dalla polizia belga mentre cercava di resistere ad un rimpatrio forzato, e di {{tutte le cittadine straniere che vivono sulla propria pelle il mancato rispetto di alcuni diritti fondamentali}} e la paura legata all’arbitrarietà con la quale alcuni funzionari di un servizio di Stato possono decidere della loro regolarizzazione. Il Collettivo delle Donne in Nero, nato nel 1998 proprio a seguito dell’uccisione di Semira, si impegna per questo: {{difendere i diritti umani delle donne sans papier, dando assistenza e visibilità alle loro storie}}.
“La morte di Semira – affermano alcune esponenti del Colfen – ha confermato che le donne fuggono il loro paese di origine non solo per le ragioni che costringono gli uomini ma anche per {{ragioni che sono loro proprie, legate all’oppressione e alle discriminazioni legali o ammesse nel loro paese di origine}}. E un loro ritorno presenta un reale rischio e pericolo: dall’esclusione dal contesto sociale e familiare, ulteriori violenze, fino alla morte. Ma di questo l’Ufficio degli Stranieri sembra non tenerne proprio conto”.
Lascia un commento