Quando immigrazione fa rima con delazione
L’associazione lionese Cabiria denuncia il nuovo tentativo di intimidazione delle forze dell’ordine: chiamata a fornire informazioni sui suoi contatti con “persone in situazione irregolare”, Cabiria rifiuta difendendo la sua etica e il rispetto dei diritti fondamentali. {{Il clima di intolleranza nei confronti degli ‘stranieri’ voluto dal presidente francese Nicola Sarkozy}} continua a mietere vittime, minando alla base il rispetto dei diritti fondamentali. Le prefetture trasformano le/i {sans papiers} in cifre e in liste di indesiderati da espellere. Solo negli ultimi mesi, cinque persone sono morte o sono rimaste gravemente ferite per sfuggire ai controlli, l’ultimo é il caso di Zhang Chulan, la donna cinese che si é gettata dalla finestra alla notizia dell’arrivo della polizia. Si aggiunge alla lista delle aberrazioni la controversa proposta del test del dna per stabilire la ‘filiazione genetica’ dei candidati al ricongiungimento familiare, contenuta nella Legge sull’Immigrazione appena approvata dal Senato francese.
In nome di questa {{deriva securitaria}}, malattia sempre più diffusa in tutta Europa, vengono prese di mira le associazioni che operano nel tessuto sociale. Intimidazioni, controlli irregolari e denunce sono sempre più frequenti per chi “si rifiuta di collaborare con la giustizia”. Peccato che la collaborazione richiesta dalle forze dell’ordine rimi troppo spesso con delazione.
É il caso dell’associazione {Cabiria}, che il 27 settembre scorso ha denunciato {{un nuovo e pesante tentativo di intimidazione}} nei confronti delle sue e dei suoi operatori. Florence Garcia, direttrice dell’organizzazione interpelleta da un’ufficiale di polizia in ragione di alcuni ‘dossier problematici’, ha ricevuto {{l’esplicita richiesta di “denunciare le persone}} {sans papiers} presenti nelle liste dell’associazione e di aiutare la polizia a ritrovarne le tracce”.
L’associazione {Cabiria} porta avanti dal 1993 un’azione sul territorio lionese nell’ambito della prostituzione, attraverso un lavoro sul campo e di ricerca partecipata. Il suo personale si compone di persone prostitute, di operatrici e operatori sociali, di ricercatrici ecc. La sua prossimità con il mondo della prostituzione l’ha resa interessante agli occhi della prefettura che sa di poter trovare un buon numero di “persone in situazione irregolare”. Tanto che {{la richiesta di collaborazione é diventata rapidamente una minaccia}}: mettendo avanti l’argomento dell’obbligo per le associazioni di contribuire al lavoro delle forze dell’ordine, l’ufficio di polizia ha messo in guardia la direttrice sulle conseguenze che un suo rifiuto avrebbero potuto avere per lei e per le dipendenti: dal controllo a vista alla denuncia per favoreggiamento del soggiorno irregolare, punibile con pene che arrivano fino a tre anni di carcere.
Per {Cabiria} questo genere di minacce {{non é una novità}}: già nel 2001 una dipendente era stata messa sotto custodia cautelare e la sua casa era stata più volte perquisita in assenza di validi capi d’accusa. Tutte forme di indimidazione istituzionale che si aggiungono a quelle già esercitata sulle prostitute che dal mese di luglio vivono uno stato continuato di molestie, voluto e sostenuto dallo stesso Comune.
“D’altronde – concludono dall’associazione – {{l’intimidazione é il metodo preferito dalla polizia}} e noi lo sappiamo bene, ma {{il problema oggi é la frequenza}} con il quale questo metodo viene applicato nei confronti delle e dei professionisti impegnati nelle politiche di difesa della salute e nell’azione umanitaria. Non siamo in un regime militare o qualificato come autoritario, ma allora?”.
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