A 40 ANNI DAL PROCESSO DEL CIRCEO
Il femminismo e gli studi di genere hanno fin dall’inizio sconvolto la storia tradizionale e la cronologia tradizionale. Non vorrei inoltrarmi troppo nel nuovo anno senza ricordare una data simbolo del 2016: il massacro del Circeo, accaduto nel 1975 e concluso con il processo del 1976. Stante le differenze fra i sessi che per millenni hanno inculcato, più che insegnato, a bambini e bambine, in Italia e in tutto il mondo, biologiche, caratteriali, attitudinali e chi più ne ha più ne metta, la loro storia non poteva essere uguale. La cronologia sociale e politica ha percorso strade diverse. Basta pensare ai diritti civili e politici: da sempre o quasi escluse dal diritto all’istruzione, fino alla metà dell’Ottocento per l’Italia, mentre per gli uomini la differenza era di censo e di classe, le donne non hanno avuto per molto tempo nel loro album di ricordi né foto dei traguardi scolastici, come le nostre numerose ragazze oggi, né dei traguardi professionali, se non le prime timide foto di maestre con le loro classi o commesse e impiegate con la divisa. Ancora meno, firme apposte su documenti istituzionali, non avendo diritto di voto fino al 1945; dai primi abbozzi di parlamenti nel Medio Evo, che comprendevano il clero, ma non le donne, fino alla seconda guerra mondiale, rappresentatività sociale nelle istituzioni, consensi, gestione del potere e del danaro, diplomazia, mediazioni, uso del lessico politico, potere di trascinare una nazione in guerra, sono stati scanditi da tempi, volti e scritture quasi del tutto maschili.
Il tempo pubblico e quello privato, quello delle rivendicazioni e delle diverse modalità sulla scena pubblica hanno disegnato una mappa temporale del tutto diversa ed eterogenea fra i due sessi. Alcuni riferimenti sono specifici e insieme comuni: il suffragio universale dopo la guerra di liberazione e dopo vent’anni di negazione di un diritto democratico è stato una vittoria per tutti, per le donne la fine di un’esclusione millenaria. Altri, del tutto diversi: celebrare un’Europa in cui le donne che hanno lavorato come gli uomini, ma pagate meno, sono entrate nel Parlamento con l’elezione diretta nel 1979, vuol dire necessariamente uno sguardo diverso e un’ottica temporale divergente da quella maschile. Come differente è l’evocazione di ciò che sta intorno alle donne e agli uomini.
Il 2016 rimanda alla mia memoria, una memoria di genere, l’inizio del processo ai massacratori del Circeo, che uccisero dopo una notte di violenze sessuali e sevizie Rosaria Lopez, diciannove anni e Donatella Colasanti, diciassetttenne, o almeno così hanno creduto, perché quest’ultima si salvò; ascoltarono i suoi lamenti e fu estratta dal baule della macchina dove l’avevano rinchiusa insieme all’amica morta, chiuse nella plastica; una tortura che usavano i pirati, legare all’albero della nave un morto e un vivo. Penso spesso tristemente che la storia italiana politica e sociale sia stata incisa nella mia memoria anche tramite due drammatiche aperture: quella del cofano della Renault dove era stato rinchiuso il corpo di Aldo Moro, nel ’78 e poco prima il cofano della 127 dove giacevano due corpi femminili, nel ’75; non sapevamo ancora che in questo ultimo caso, mentre il terrorismo, con il suo carico di ambiguità ancora attuali, avrebbe fatto il suo corso, l’omicidio delle due ragazze sarebbe stato l’inizio del femminicidio in grande stile.
Per i lettori e le lettrici forse è bene ricordare almeno il grosso delle vicende. Nella notte del 1 ottobre 1975 Stefano Fabris era stato avvertito dalla madre che da una macchina parcheggiata in un vialetto provenivano dei colpi. Dopo il ritrovamento, Donatella fu accompagnata al Policlinico Umberto I dove furono diagnosticate tracce di violenza carnale, anale e vaginale, oltre alle lesioni e ferite. Per l’amica morta, una diagnosi di asfissia da annegamento, oltre a tracce di stupro e violenza su sutto il corpo. Il giorno seguente, Donatella raccontò ai magistrati che tutto era iniziato il 25 settembre quando un certo Carlo, il cui vero nome era Gian Pietro Parboni Arquati si era fermato per dare un passaggio a Donatella e alla sua amica Nadia fuori del cinema romano Empire. All’appuntamento per il sabato successivo, Donatella era andata con l’amica Rosaria, trovando Carlo in compagnia di Angelo Izzo e Gianni Guido. Al terzo appuntamento, Donatella e Rosaria trovarono solo Izzo e Guido che proposero di passare qualche ora al mare; iniziò così l’incubo nella villa del Circeo, dove fino alla tarda serata del giorno successivo furono picchiate, costrette ad avere rapporti sessuali con entrambi e con Andrea Ghira, figlio dei proprietari della villa. Il 30 settembre, decisero di tornare a Roma e diedero loro qualche sonnifero per non farsi notare durante il viaggio, ma non funzionò; a quel punto, Rosaria fu portata al piano di sopra, picchiata per farle perdere i sensi e poi annegata nella vasca da bagno. Donatella, picchiata alla testa con una spranga di ferro, si finse morta. In una delle sue testimonianze, Donatella ricordava che nel portabagagli cercava di scuoterla, era inerte, ma non voleva arrendersi alla sua morte. I tre pariolini, come vennero definiti all’epoca, perché di fatto appartenevano alla gioventù ‘bene’ di Roma, mentre le due ragazze vivevano alla Montagnola, quartiere allora operaio e piccolo borghese, erano recidivi: in particolare Izzo, con altri due era già stato protagonista di episodi di violenza con giovani adescate con la menzogna. Ghira, figlio di costruttori il cui nome si può leggere ancora percorrendo la via Pontina fuori Roma, fu protagonista di un vero giallo. Fece perdere subito le sue tracce, certamente facilitato dalle classe sociale di appartenenza; nel ’77 tentò di evadere con Izzo che fu poi condannato all’ergastolo; nel 1985, sembrava si nascondesse sotto falso nome in Kenia. Nel ’94, il fratello dichiarò che viveva in Argentina presso una zia, ma l’anno dopo all’uscita da una casa di appuntamenti fu ritratto inseme ad altri uomini. Nel 2005, la madre di Ghira sostenne che già dal 1976 si era arruolato nella legione spagnola con il nome di Maximo Testa, ritrovato cadavere nel 1994; l’esame del Dna confermò poi l’attendibilità. Izzo, dopo una nuova fuga, fu catturato nel 1993 e nel 2005 confessò l’omicidio di due donne madre e figlia nelle vicinanze di Campobasso; l’Italia fu condannata dalla Corte europea a risarcire la famiglia; nel 2010 Izzo si sposò con la giornalista Donatella Papi; Guido ebbe la pena ridotta a 30 anni perché la famiglia della Lopez decise di accettare il risarcimento di 100 milioni. Nel 1981, evase e fu catturato in Argentina, fuggì di nuovo e fu arrestato una decina di anni dopo a Panama; ha finito di scontare la sua pena nel 2009.
Il processo di Latina nel 1975 fu un momento topico per la storia del femminismo, per il clamore mediatico, la pressione dei movimenti femministi, e anche per la storia della legge sulla violenza sessuale che ci mise venti anni ad essere approvata: 1976-1996.
Nella drammatica deposizione di Donatella Colasanti, durante un processo in cui le femministe si erano fatte molto sentire in aula, si ritrovano molte delle risposte alla domanda sul perché le denunce sono così basse ancora oggi rispetto alle violenze di cui si presuppone l’esistenza. Certamente la violenza d’allora rappresentò un caso limite, ma non la modalità degl’interrogatori che era invece la norma. Donatella dovette difendersi da domande che furono rivolte prima e dopo a moltissime ragazze donne che avevano subito violenza: si erano difese anche durante il coito o erano state ferme, con il sottinteso che quindi era di loro gradimento? Erano vergini? Avevano provocato? Si rendevano conto di essere state imprudenti nell’accettare?
Gl’imputati furono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario, violenza carnale continuata, ratto a scopo di libidine, detenzione abusiva di armi da fuoco. Gli ergastoli comminati nel 1976, non chiusero la vicenda, anzi aprirono una serie d’interrogativi: le fughe dal carcere, le protezioni, il rilascio per buona condotta, le cifre offerte in riparazione avallano quello che all’epoca fu contestato, cioè che si trattava di un delitto di classe; innegabilmente, una famiglia di classe sociale inferiore diffivilmente avrebbe potuto fare altrettanto. Senza parlare delle complicità di ogni tipo che si suppone lautamente ricompensate, complicità di ieri che sono anche quelle di oggi, magari nominate diversamente: silenzi, omissioni, sottovalutazioni, anche da parte femminile.
Donatella è scomparsa da non molti anni, ha reagito da grande donna, ha continuato a scrivere, ma non ritengo che alla sua malattia abbia fatto bene, diciamo così, la sorte dei massacratori; in particolare l’uscita per buona condotta di Izzo che ha dimostrato la sua bontà uccidendo altre due donne. A lei questo piccolo, indignato ricordo.
Pubblicato anch in UnoeTre, Rubrica Donne, Storie e Futuro,