A 40 ANNI DALLA LEGGE REGIONALE SUI CONSULTORI, QUALE IL LORO RUOLO OGGI? INTERVISTA A SARA MONTANARI DIRETTORA DEL CONSULTORIO FAMILIARE ONLUS DI BRESCIA
Venerdì 15 aprile in occasione dei 40 anni della legge regionale del Lazio sui consultori, si terrà a Roma un incontro che vuole essere un momento di riflessione e confronto sullo stato attuale e sulle prospettive concrete dei consultori familiari. A partire dalla riflessione che muove quest’iniziativa, intervistiamo Sara Montanari, giovane direttrice del Consultorio Familiare onlus di Brescia.
Data la sua esperienza, quali sono le problematiche che si trovano ad affrontare oggi i Consultori?
“La mia esperienza è prettamente territoriale, il nostro è un piccolo consultorio, sia come dimensioni che numeri di utenza, ma che ha delle particolari specificità. In Lombardia negli ultimi anni i consultori sono trattati come le altre unità di offerta sociosanitaria, si è passati dalla regolamentazione da parte della domanda a quella dell’offerta. In questo modo non ci si basa più sul bisogno reale che viene dal territorio, c’è un budget predefinito da rispettare, se il bisogno che viene dal territorio è diverso questo poco importa. Ciò rende di difficile attuazione i concetti di prossimità e di “ accesso a bassa soglia” cioè di primo livello, a danno della vicinanza alle famiglie. In Lombardia i consultori sembrano essere “l’ultima ruota del carro”: su tutto il bilancio sociosanitario della regione, ai consultori viene attribuito il 2% delle risorse, una cifra minima. Sempre meno risorse vengono destinate alla prevenzione e alla promozione del benessere, punti cardine dei consultori. Questo è un gran problema se si pensa al benessere delle famiglie, la cui struttura è cambiata molto nel tempo ponendoci di fronte a nuove problematiche.
Ha parlato di particolari specificità, quali ?
Ci siamo specializzati rispetto all’accoglienza della popolazione migrante investendo in una formazione specifica nell’ambito della clinica transculturale. L’utenza del consultorio è rappresentata da almeno 50 nazionalità diverse e Brescia ne conta almeno 120. L’ approccio della clinica transculturale prende in considerazione, oltre che gli elementi psicologici e sociali, anche la cultura del paese d’origine . Il principio è tenere conto che la persona viene da una cultura altra. In questo portato possono essere presenti degli aspetti legati al trauma migratorio o i vissuti della cultura d’origine, noi approfondiamo in particolare i temi della maternità e della gravidanza. Il tema della migrazione è molto complesso e dinamico, per questo motivo la formazione che facciamo necessita sempre di aggiornamenti . Rispetto alla nostra esperienza, posso dire che all’inizio l’attenzione era focalizzata sull’accoglienza del nucleo famigliare migrante, oggi ci misuriamo con il problema della seconda generazione e dei/delle bambini/e che nascono in Italia, il tema delle coppie miste e il tema della trasmissione della cultura, legata molto alla linea femminile. Un problema molto diffuso è quello delle ragazze che compiuti i 18 anni di età vengono rimandate nei paesi d’origine e fatte sposare per poi rientrare in Italia, la maggior parte di esse aveva intrapreso un percorso di studi che viene drasticamente interrotto. Il tema è molto complesso e non si sono delle ricette precise, tutto ciò ci pone degli importanti interrogativi una continua riflessione e un continuo studio. Ciò vale anche per le questioni legate al modello familiare italiano, il tema delle famiglie ricostituite, il superamento della concezione “tradizionale” di famiglia.
Quali sono le attività e i servizi offerti dal vostro consultorio? Come dicevo, l’aspetto su cui abbiamo spinto tanto è principalmente quello della clinica transculturale. Il consultorio era prima una realtà privata che puntava molto sulla psicoterapia, in seguito i bisogni delle persone sono cambiati diventando sempre più problemi di natura sociale perciò non legati solo alla terapia della coppia o del singolo. Tali bisogni coinvolgono il territorio e il consultorio ha avviato un cambiamento necessario atto a fornire risposte adeguate. È stato aperto l’ambulatorio ostetrico ginecologico che era in un primo momento una realtà più marginale, legata a consulenze di tipo sessuologico e endocrinologico; questa apertura è avvenuta in un territorio con forte concentrazione di popolazione migrata e dato l’arrivo presso la struttura di numerose donne straniere, si è subito puntato alla formazione e al lavoro con le mediatrici linguistico culturali. Ciò è stato fatto partendo dal presupposto che il benessere di una donna, soprattutto in gravidanza e nell’esperienza della maternità, è cruciale. La madre in questo momento delicato potrebbe trasmettere al bambino e alla famiglia tutto il trauma che lei non ha rielaborato. Un’attività peculiare che svolgiamo solo noi presso il nostro consultorio è l’accompagnamento alla nascita con il modello della clinica transculturale. L’attività prevede il lavoro con donne italiane e straniere sui temi legati alla gravidanza e alla nascita, un classico gruppo con donne gravide con bambini/e fino al primo anno di vita con la presenza della mediatrice linguistico culturale dell’ostetrica e della psicologa. Il ruolo della mediatrice non è tanto quello della traduttrice, ma di portatrice di cultura altra. L’esempio di come il vissuto di ciascuna donna venga valorizzato è quello dello svezzamento: in questo caso l’ostetrica non da delle indicazioni su come fare, procede chiedendo alle donne come si fa nel proprio paese d’origine . Questo è molto utile a rinforzare e rassicurare le mamme, donne migranti che perdono tutti i riferimenti comunitari e la rete solidaristica che hanno nel loro paese. Nella maggior parte dei casi queste donne migrano da sole e si ritrovano, arrivate in Italia, a passare la maggior parte del loro tempo in casa e quando hanno delle reti di riferimento, queste non sono così quotidiane come nei paesi dai quali provengono. L’approccio da noi scelto aiuta la donna a rinforzarsi nelle sue capacità e risorse, evitando che questa si senta riconosciuta soltanto nell’adeguamento al “modello italiano”. Tantissime donne si rifiutano di allattare guardando all’allattamento al seno come a una pratica di “povertà”, preferendo il latte artificiale e seguendo categoricamente le indicazioni del pediatra, interpretando questa aderenza come una forma di emancipazione. Molto importante è il lavoro di consulenza, mediante il quale si cerca di valorizzare al meglio il setting dove la donna viene presa in carico e agganciata, grazie a dei momenti congiunti tra psicologa , ostetrica e assistente sociale. Il lavoro viene fatto insieme considerando che l’ostetrica, figura trasversale, è di grande riferimento per la donna che instaura con lei un rapporto di fiducia, più difficile per la psicologa che in molte culture viene associata prettamente alla cura di patologie mentali.
Quali gli scenari e le sfide che i consultori hanno oggi all’orizzonte?
Le sfide sono molteplici data la complessità dei fenomeni migratori e le difficoltà che si trovano a vivere i/le giovani che nascono qui. C’è molta sofferenza, il mondo in cui si vive viene percepito come “schizofrenico” e questa difficoltà è maggiore per le ragazze adolescenti quando si rendono conto di vivere limitatamente la loro libertà rispetto alle coetanee italiane. Sovente vengono catapultate in un’altra vita, costrette a subire matrimoni forzati e tolte dalla scuola contro la loro volontà. Rispetto a questo fenomeno diffusissimo posso dire che ci sono dei casi in cui le ragazze si adeguano in maniera meno drammatica e altre che soffrono incredibilmente questa situazione, in entrambi i casi avviene comunque una regressione dolorosa della persona, che perde le libertà precedentemente conquistate. Ricordo il caso eclatante di Hina Saleem la ragazza pakistana che è stata uccisa dai parenti come punizione per il suo essere troppo “occidentale”, ma ci sono tantissimi casi ordinari di donne nella stessa situazione che vivono una forte depressione. L’età adolescenziale è un momento delicato in cui si manifestano violentemente le differenze e le aspettative legate ai ruoli, è senza dubbio un tema fondamentale da approfondire. La sofferenza degli adolescenti è molto avvertita anche rispetto all’utenza italiana e presenta grandi problematiche legate alla precarietà sociale, si lamenta mancanza di punti di riferimento. Rispetto alle richieste pervenute, abbiamo rilevato che diminuiscono quelle sui temi familiari, la relazione di coppia e la relazione con i figli e aumentano di molto le richieste individuali legate ad ansia e attacchi di panico che sono temi al limite della prevenzione, condizioni spesso dettate dal contesto socioeconomico e legate alla precarietà e alla perdita del lavoro. La sensazione che ho è che dal punto di vista istituzionale si stia disinvestendo molto sui consultori, prova ne è quel minimo 2% di risorse che ci riserva la Regione Lombardia. Per gli operatori che lavorano le sfide sono molteplici e sono quelle che toccano i temi delle nuove famiglie, le coppie di fatto, le famiglie ricostituite e come appena detto quello dei/delle giovani. Un tema importante a cui stiamo aprendo è quello della violenza maschile sulle donne, un fenomeno di cui si parla molto ma di cui si dice ben poco. Data la specificità del consultorio sarebbe importante trattare il tema dal punto di vista della prevenzione a partire dalle donne in gravidanza che noi vediamo in ambulatorio, lavorando con loro sulla consapevolezza sapendo che il modello educativo viene trasmesso da parte dei genitori. Sono convinta che il lavoro di prevenzione possa fare tanto.
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