A.L.B.A., le donne, le femministe
Accanto alle adesioni non sono mancate le critiche, benvenute, anche perché segno che l’iniziativa ha toccato nel vivo. Per quanto mi riguarda, ho dato particolare importanza alle critiche che ci sono arrivate dal mondo dei femminismi, a cui appartengo, avendo ormai da anni scelto di stare nella politica delle donne e nella politica da donna.
Sono passati quasi due mesi dal primo incontro nazionale (Firenze, 28 aprile), alla fine del quale alcune centinaia di uomini e donne, avviandone il percorso costituente, decisero di dare al soggetto politico nuovo il nome di A.L.B.A. (Alleanza Lavoro – Benicomuni – Ambiente).
_ Fra poco ci incontreremo a Parma dove per due giorni (30 giugno e 1° luglio) affronteremo problemi di contenuto, quei contenuti la cui mancanza nel Manifesto aveva suscitato tante critiche, e problemi di organizzazione.
_ In questo periodo infatti si sono moltiplicati i gruppi di persone che, dopo aver sottoscritto il Manifesto, hanno cominciato a dar vita ai Nodi, territoriali e tematici, che, insieme, costituiranno il soggetto politico nuovo come una Rete.
Accanto alle adesioni non sono mancate le critiche, benvenute, anche perché segno che l’iniziativa ha toccato nel vivo. Per quanto mi riguarda, ho dato particolare importanza alle critiche che ci sono arrivate dal mondo dei femminismi, a cui appartengo, avendo ormai da anni scelto di stare nella politica delle donne e nella politica da donna.
{{A.L.B.A. non parla di donne?}}
Una prima critica, espressa con chiarezza da Bianca Pomeranzi in un articolo del Manifesto (quotidiano) del 18 maggio, ma che so essere stata avanzata, in altri modi, da molte altre compagne, è l’assenza dal dibattito di A.L.B.A. della libertà femminile, o, con altra terminologia, dei temi del conflitto fra donne e uomini o, ancora con altro linguaggio, di un’ottica di genere. Per rispondere ho bisogno di rifarmi a quando, nel dibattito politico della sinistra alla fine degli anni ’80, diventò di moda dire che bisognava aggiungere ai temi-chiave le donne e l’ambiente.
_ Anche allora i termini potevano cambiare: visto che il termine conflitto era usato più di adesso, si diceva che bisognava affrontare, accanto al conflitto di classe, quello di sesso e quello fra uomo e ambiente. C’era, a mio avviso, un errore fondamentale in tutti quei ragionamenti: che le donne sono un soggetto e l’ambiente no.
Ecco a me pare che chi rimprovera ad A.L.B.A., con le migliori intenzioni del mondo, di non parlare di donne e/o di genere, faccia la stessa confusione. Le donne sono un soggetto. A.L.B.A. è fatta di donne e uomini che devono affrontare il problema del conflitto fra donne e uomini in ogni luogo, A.L.B.A. compresa, che devono impostare ogni tema, ogni oggetto di dibattito, come qualcosa che riguarda donne e uomini e non esseri neutri.
_ La libertà femminile, in particolare, non è un punto del dibattito, ma una pratica politica, una modalità di pensare/agire delle donne con cui costringere gli uomini a misurarsi.
_ Non ho difficoltà ad ammettere che tutto questo non lo stiamo facendo abbastanza, ma non mi sembra che le cose vadano molto meglio in altre aree politiche a cui fanno riferimento alcune delle compagne che avanzano questa critica. Vorrei solo che ci dessimo reciprocamente fiducia, fra donne che hanno fatto e stanno facendo scelte diverse.
{{Dove sono le donne di A.L.B.A.?}}
Di altro segno la critica di Lorella Zanardo (www.ilcorpodelledonne.it) che ha sostenuta l’assenza, o comunque l’irrilevanza delle donne in A.L.B.A. , basandosi sulla rappresentazione che di noi hanno dato e continuano a dare i media. E’ vero, lo scrissi subito dopo l’incontro di Firenze (su questo sito: {Abbiamo fatto l’ALBA}, 3 maggio): le donne c’erano e non se ne sono accorti. Hanno visto la presenza dei professori e la scarsità di giovani, non che c’erano più donne che in occasioni simili e soprattutto con ruoli diversi: di più al microfono e alla presidenza, di meno all’accoglienza e alla segreteria.
Il problema si era posto subito dopo l’uscita del Manifesto: gli articoli usciti (pochi fuori dalle colonne ospitali del Manifesto quotidiano, che comunque da questo punto di vista non ha fatto eccezione) sono stati prevalentemente di uomini. E dopo Firenze le non molte interviste a chi sono state fatte? Ai professori, e non credo che se avessimo fra le prime persone che hanno firmato delle docenti universitarie (francamente non so nemmeno se ci sono) le cose sarebbero significativamente cambiate.
A questa critica quindi credo di dover rispondere in due modi: alle donne che l’hanno avanzata, chiedo, credo legittimamente, di guardare meglio, soprattutto di non guardare con gli occhi dei giornalisti e dei commentatori televisivi. Quando le donne vengono invitate a uscire dal silenzio, la mia risposta è che si tratta di ascoltare meglio la loro voce, quando vengono accusate di non essere visibili, chiedo a chi lo dice di dotarsi di occhi migliori. Questo vale per donne e uomini, ma alle donne mi sento di chiederlo con più forza, perché l’irrilevanza di altre donne riguarda e indebolisce tutte.
Agli uomini, in questo caso prima di tutto ai miei compagni nell’avventura di A.L.B.A., però devo fare un’altra e più radicale richiesta. Scrivevo dopo Firenze (chiedo scusa per l’autocitazione) che “un vero confronto fra donne e uomini e una vera pratica politica in comune si avrà quando anche gli uomini partiranno da sé e non pretenderanno di essere il soggetto universale della storia e della politica”.
Adesso ai miei compagni che il “partir da sé” l’hanno messo nel Manifesto e che devono forse solo imparare come si fa, chiedo più modestamente un’altra cosa: di fare, ogni tanto, un passo indietro. A quanti vengono invitati a un dibattito, a rilasciare un’intervista, una dichiarazione, a scrivere un articolo per parlare di A.L.B.A., perché sono fra coloro che la stanno facendo crescere e vivere, chiedo di proporre al proprio posto, o insieme se possibile, la presenza, l’intervento di una donna. Servirà anche a dare di A.L.B.A. una rappresentazione più corrispondente alla realtà, di un’avventura collettiva di tante donne e di tanti uomini e non di un gruppetto di intellettuali, cosa che credo non possa che far piacere a quanti di loro, e credo siano molti, la stanno vivendo senza mire personali.
{{Una proposta di confronto}}
Quelle contenute nell’ultimo numero di Via Dogana, sono critiche della specie che fa più piacere ricevere: sono otto interventi, tre pagine fitte, undici donne e due uomini. Sono di segno diverso, accomunate direi dall’accusa, a coloro che hanno redatto il Manifesto, di non aver visto in questi anni la nuova soggettività politica femminile e di voler riproporre un soggetto neutro, anche nelle forme. In alcuni interventi ricompare la definizione degli autori dell’iniziativa come un gruppo di intellettuali, a cui si riconosce il merito di esprimere “il meglio della politica democratica maschile di sinistra”. Le donne non vengono viste, non vengono “riconosciute”. Più interessante l’accusa di voler fare un “soggetto politico nuovo” quando quello di cui ci sarebbe bisogno è un “nuovo spazio pubblico” in cui far interagire e confrontare i tanti soggetti politici nuovi operanti in questi anni (e qui penso che la critica colga nel segno, ma che in parte dipenda dalla mancanza di una terminologia comune).
Sono comunque critiche molto articolate, a cui scelgo di non rispondere ulteriormente non solo e non tanto perché ho già scritto anche troppo, ma perché la conclusione di molte è la richiesta/proposta di un’interlocuzione, di un confronto.
_ Io credo che quel confronto ci sarà, dopo Parma, e sarà importante. In un paio di interventi si dice esplicitamente che sarà conflittuale e io mi trovo d’accordo, perché conflitto si dà ogni volta che due o più persone condividono un progetto. E io sono convinta che il progetto di A.L.B.A. potrebbe offrire un nuovo spazio pubblico anche alle donne e alle femministe che agiscono altrove la loro passione politica.
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