A novembre si terrà una sessione dei G7 incentrata sulla questione femminile nei paesi membri.
I temi proposti nel documento “W7 Startingfromgirls” sono proiettati verso l’ambizioso obiettivo “parità di genere entro il 2030”.
Le pari opportunità di genere sono condizionate dal comportamento delle classi dirigenti degli Stati, la maggioranza dei quali persistono in un comportamento di indifferenza se non di contrarietà nell’attuazione delle norme da tempo indicate come doverose nei consessi internazionali. Questo non solo nei paesi dove solo recentemente è emersa la visibilità delle pressioni e della consapevolezza delle donne, ma anche nei paesi così detti avanzati. La migliore condizione del genere femminile, in Europa e nei paesi a conduzione democratica, non mette al riparo dall’iniquità nell’accesso alle risorse da parte delle donne, fatto questo in gran parte riconosciuto e lamentato anche dalla politica istituzionale.
Il pensiero che ha fin qui dominato le politiche di parità è stato all’insegna della possibilità di affiancare le politiche date con correttivi e integrazioni. Emerge però che, In questi anni, agli aggiustamenti, per le pressioni di potenti lobbies antifemministe, se ne sono aggiunti altri opposti altri tali da neutralizzare i lentissimi progressi verso una democrazia sessuata.
I principi conquistati dalle donne e poi dettati dalle convenzioni e dagli accordi raggiunti nei consessi internazionali, si sospetta, siano affidati ai maggiori detrattori di quei principi. Questo si rende possibile anche grazie al permanere della preponderanza maschile nei poteri.
Le pressioni per allargare la presenza femminile sono certamente un elemento che crea un disturbo nei patti tra uomini ma, come ha evidenziato il movimento antiviolenza, cambiare la forma non sempre cambia la sostanza, e la sostanza è che la violenza sessuata resta indisturbata nel corpo delle istituzioni e in tutte le pieghe della socialità e dell’economia.
Le protagoniste del 43° vertice G7, nella parte riservata alle donne “W7”, non possono che essere consapevoli del peso che rappresenta il fatto che l’obiettivo del 2030 viene discusso in presenza dei maggiori responsabili dell’elusione degli accordi e coi maggiori agenti economici direttamente coinvolti nell’organizzazione del lavoro, tanto svantaggiosa per le donne.
Si avverte il pericolo del ribaltamento delle responsabilità: si rimandano alle decisioni G7 materie di carattere nazionale, che dovrebbero essere pienamente soddisfatte con l’applicazione delle norme già conquistate, predisponendo in aggiunta un nuovo osservatorio che, l’esperienza insegna, sarà prevedibilmente poco efficace nell’indurre comportamenti virtuosi, perché affidato agli stessi inadempienti.
La violenza e la tratta che sono l’elemento critico dominante negli scambi tra popoli e nazioni, nel documento dono poste in modo paritetico ad altri punti in discussione del W7, il che desta un certo disorientamento. Sono quelli infatti i temi che postulano come sede appropriata per discuterne il Vertice, in vista di una strategia che indichi ai governi azioni urgenti e responsabili nelle migrazioni. Tutto indica che il vaglio indifferenziato per donne e uomini nell’accoglienza è il sintomo delle complicità che, in molti casi recenti, ha approvvigionato il mercato della schiavitù sessuale di cui si rendono responsabili i governi prima ancora dei trafficanti.
Le possibilità che vengono ritualmente evocate affidandosi “buona volontà” e agli auspici, mentre è tempo di obblighi, in particolare per i paesi come il nostro, dovrebbero invece dirigersi in concretezze immediate come quella di prevedere la presenza tassativa di centri antiviolenza nei luoghi di accoglienza per rifugiati e migranti. (Napoli 07/06/017)