A proposito della musica-pensiero di Stefania Tarantino
Questa è la cronaca di una scoperta che ho fatto recentemente. Non ho scoperto Stefania Tarantino e la sua musica-pensiero, d’ora in poi la chiamerò così, per il semplice motivo che Stefania è ben conosciuta, come filosofa più che come musicista (anche se non si può dire che il suo talento musicale sia sconosciuto, ma per lei, e non si stanca di ripeterlo, gli specialismi sono una iattura).
Una scoperta, dunque, che spiegherò descrivendo le sensazioni e i pensieri, così come sono emersi alla mia coscienza, nel corso della serata che nello spazio ZTL (Zurzolo Teatro Live) di Napoli ha ospitato il concerto “ARDESIA – di Donne incandescenti e trasversali”, in una sera di aprile.
In premessa, dirò che ZTL è nel centro storico di Napoli, vicino a Via Foria, ed è uno spazio culturale creato dal jazzista Marco Zurzolo nell’antica cappella gentilizia della famiglia Mauro, che oggi ospita eventi culturali, musica, mostre, ed una scuola di musica. E che {{Stefania Tarantino}} è una filosofa, musicista e femminista napoletana. Insieme a {{Maria Letizia Pelosi}}, chitarrista e co-autrice, nel 2009 ha fondato Ardesia, un gruppo musicale che ha già pubblicato un album, “Incandescente”. Nel concerto dell’11 aprile, hanno affiancato {{Stefania Tarantino}}, voce e tastiere, {{Ciro Riccardi }} alla tromba, e {{Claudia Scuro,}} chitarre/basso. La scaletta comprendeva molti pezzi di “Incandescente”, alcuni pezzi inediti e alcuni pezzi “classici”, rifatti in modo originale.
Chi conosce {{la ricerca di Stefania Tarantino }} sa che buona parte della sua produzione musicale comprende pezzi dei quali è autrice, parole e musica, e pezzi che mettono in musica i testi di filosofe, narratrici, poete che sono il patrimonio culturale e politico del femminismo ed in particolare del femminismo della differenza sessuale, {{da Hannah Arendt a Carla Lonzi, passando per Lina Mangiacapre, e approdando a Virginia Wolf.}} Questo mi abilita a parlarne, essendo quasi completamente a digiuno di musica. Ed è questa, anche, la chiave di volta della mia scoperta.
Il mio racconto comincia con il desiderio di{{ Emily Dickinson}}: “I wish I were a Hay”, {vorrei essere fieno}. Nella poesia di Dickinson, il fieno odoroso ricorda il proprio essere stato erba, e grazie alla voce di Stefania, quel ricordo si mostra per quello che è: non è rimpianto, ma apprezzamento, fino in fondo vissuto, di una vita che è stata pura vita perché l’erba è “una sfera di semplice verde” che “{ha così poco da fare}” (“The grass so little”).
Sì, ma il racconto della pura vita dell’erba, che non si fa domande e semplicemente vive, e che quando ricorda non è più erba, ma fieno, è interrotto dal ritmo, che trascina, di “Incandescente”. Ispirata a “{Le tre Ghinee”} di {{Virginia Wolf,}} “Incandescente” esorta a “consumare ostacoli” perché “il limite ci fa capire”. La lezione di Virginia Wolf , lo stare “sempre sui margini” delle donne – quel “Questa non è la mia guerra” del refrain – è, in fondo, un prendere le distanze dal mondo fatto dagli uomini ma è anche, soprattutto, un prendere le distanze dalla pura vita. Occorre “espandersi oltre i confini” senza lasciarsi vivere come fa l’erba.
Ed ecco “{La vita activa”} di {{Hannah Arendt }} (alla Arendt è ispirata “{Secret Love}”, testo di {{Maria Letizia Pelosi}}, musica di {{Stefania Tarantino e Maria Letizia Pelosi}}) nella quale, a differenza che nella vita contemplativa, si esce dall’intimità con se stessi (una intimità che può essere solo, e illusoriamente, garantita dalla pura vita) e si va nel pubblico e, andandoci, si sconta una delle sofferenze più moderne della condizione umana, quella della sovrapposizione tra la sfera pubblica e la sfera privata: “Light of appearance kills the secret of love”, {{le luci della ribalta,}} si potrebbe dire parafrasando le parole del testo, uccidono il segreto dell’amore.
Questo racconto può, a questo punto, prendere due strade diverse, così come è stato il mio percorso di ascolto della musica-pensiero di Stefania Tarantino. La prima strada è: continuare a ragionare sull’amore, quello che deve restare segreto perché il fuoco non si spenga. E’ la poesia della zia {{Maria Albertina Lomello}}, che Stefania ha parzialmente tradotto in napoletano e musicato, “Nu’ segreto (l’ultima chiave)”: “Voglio restare una storia segreta ….. Posso sempre nascondere l’ultima chiave”. Oppure: interrogarsi sul segreto da custodire, e provare a chiedersi se quel privato da preservare sia una dimensione puramente individuale. La risposta è no, innanzitutto perché, come si dice ne “Le ombre”, è impossibile conoscere qualcuno stando “al già visto e al già detto” e bisogna, invece, conoscere “tutte le ombre che ci portiamo appresso”, “Le tante storie che porto in me”.
Quindi, quel segreto che è il nostro privato è già relazionale, ed è, questa, una verità che sta su un piano più profondo, ma non contraddittorio, rispetto al “privato è politico” degli Anni Settanta. E’ nel fondo della nostra identità, e non solo nella nostra proiezione pubblica, che non siamo uno.
Certo, dopo {{Irigaray}}, lo sappiamo che non siamo uno, sappiamo che al fondamento c’è il due della differenza sessuale. E mentre penso a questo, alla differenza che è a fondamento di ogni differenza, esplode con la voce di Stefania “Vai pure”, un grido liberatorio e, contemporaneamente, un’autorizzazione. E’ {{un’autorizzazione quella che Carla Lonzi dà a Pietro Consagra}} alla fine della loro storia, in quel dialogo ancora adesso strabiliante che mette al centro il conflitto, non tanto o non solo tra uomo e donna, ma, nella donna, {{tra il bisogno di amore e il desiderio di autonomia,}} un desiderio che non è nulla se non è messo in pratica: “Fai della tua vita il luogo dove i sogni si realizzano” (“Oscuramenti”).
E la musica-pensiero di Stefania Tarantino la imbocca questa strada accidentata, quella che da un lato invita a mantenere a tutti i costi la dimensione di inaddomesticato di noi stessi e del reale – “non la visione dominante del potere che non vede né me né te” (“Oscuramenti”) – e qui si sente {{la voce di Angela Putino }} che di Stefania è stata maestra, dall’altro trova nell’arte la forma dell’espressione guerriera, ed è lo stridere degli acciai di “Dove non potrò”, {{poesia di Lina Mangiacapre }} messa in musica da Stefania.
Il mio racconto della serata di musica-pensiero finisce qui, ma non vorrei dare l’impressione, a chi legge, di aver seguito un seminario di filosofia. Tutt’altro, innanzitutto perché ci sono stati momenti divertenti, come la versione in lingua franco-napoletana di “Dove sta Zazzà” con Zazzà che diventa, in francese, Zazà, con la zeta dolce (tipo ronzio delle zanzare), poi perché, a fine serata, una versione particolarissima di “Bella Ciao”, che mescola il canto delle mondine con l’inno della Resistenza, ha fatto commuovere più d’uno dei presenti.
Non ho ancora detto, però, qual è la scoperta che ho fatto seguendo il filo dei miei pensieri trasportati dalla musica-pensiero di Stefania Tarantino, e forse non è una scoperta originale, ma lo dico lo stesso: pura vita e limite, identità e differenza, autonomia e conflitto, desiderio e bisogno, amore e guerra, tutti i temi che negli anni sono stati i nodi intorno ai quali è ruotato il pensiero politico delle donne, quando vengono {{trasportati dalla musica – trans portati, cioè portati al di là }} – diventano comprensibili a tutti, universali in un senso affatto diverso dal falso universale del falso neutro maschile.
{{N.B.}} Per sapere di più della musica-pensiero di Stefania Tarantino e di Ardesia: http://ardesiaband.it/band.php (dove si può anche ascoltare qualche pezzo) e anche i profili su Facebook.
Patrizia Melluso
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