Abbiamo fatto l’ALBA
Un racconto non è facile: più di 1000 persone, riunite nel primo giorno di un finesettimana che si annunciava, anche per il caldo, come il primo dell’estate, hanno seguito per circa 7 ore effettive un dibattito in larga parte assembleare, con interventi quasi tutti di 7 minuti al massimo. Tenendo conto del fisiologico turn over (non per tutti sabato è un giorno non lavorativo), fra mattina e pomeriggio hanno girato al MandelaForum di Firenze circa 1400 persone. Età medio-alta, è stato detto, ma io vorrei sapere, e non credo si sappia, l’età di coloro che hanno seguito la [diretta streaming ->http://www.soggettopoliticonuovo.it/], il cui numero è progressivamente cresciuto fino a un totale di circa 2500, segno di un interesse non occasionale: qui l’età media era sicuramente più bassa.
Presenza delle donne più equilibrata, sotto la metà, ma non di molto. Su questo voglio ritornare.
Circa 100 interventi, fra la plenaria e i tre gruppi, anche questi gestiti dalla presidenza con l’obiettivo di {{dare voce a un intreccio di generi e generazioni}}. Qualche giornalista ha insistito nel voler chiamare “professori” coloro che hanno partecipato, in continuità con la definizione data a chi aveva firmato il manifesto. Spesso si vede quello che si vuol vedere e non era facile cedere alla tentazione di contrapporre professori buoni a professori cattivi, professori di sinistra radicale a professori di centrodestra. Altri hanno visto più semplicemente un migliaio di persone che si confrontavano per costruire un soggetto politico nuovo e, da domenica, sono arrivate altre 500 firme.
Una metà delle persone presenti non avevano firmato il manifesto, ma c’erano, per interesse, curiosità, vicinanza (nei movimenti) con chi lo aveva scritto e proposto. Clima attento, non molti applausi, poco spazio per la demagogia, anche quando in qualche intervento faceva capolino. Un’assemblea simile, e ho l’età per affermarlo con sicurezza, somiglia più a un incontro di movimenti, che a quelli dei soggetti politici come li conosciamo.
{{Per costruire un nuovo spazio pubblico ci vuole (anche) tempo…}}
Il luogo era quello di precedenti appuntamenti di partiti della sinistra, ma il tempo segnava in maniera netta la differenza: di solito un partito politico, si tratti di congresso o di conferenza organizzativa (le due forme canoniche di appuntamenti nazionali) ha a disposizione circa tre giorni; di solito chi partecipa (come delegato/a, ma anche chi è invitato/a) gode di qualche rimborso; di solito la struttura è pagata dal partito stesso.
Spese e tempo non sono variabili indipendenti: come si può chiedere a chi partecipa, che si paga le spese di viaggio e di soggiorno (con un po’ di ospitalità, che non basta mai) di fermarsi per due o tre giorni? Tanto più, quando invece si chiede, almeno a chi non ha affrontato costi di viaggio, di contribuire alle spese della struttura.
Molte persone hanno lamentato la mancanza di spazio, cioè di tempo, per parlare e per ascoltare altri/e. Certo, noi siamo quelli e quelle che, se si incontrano, vogliono confrontarsi davvero, vogliono appunto parlare, oltre che ascoltare. Non usciamo con soddisfazione da un comizio in piazza: non basterebbe questo a spiegare perché non ci convince Beppe Grillo? o perché non cerchiamo un leader carismatico?
Anche del fatto che la sala si è vuotata alla fine della prima sessione per il richiamo del bar io non do una lettura negativa. Il risultato è stata la lunga fila per un panino, mentre andando un po’ per volta si sarebbe evitato sia la fila che l’interruzione forzosa, che ha ridotto ulteriormente il tempo per gli interventi. Nei tradizionali incontri dei partiti, se le pause non ci sono o non bastano, si esce quando parla un uomo, o più probabilmente una donna, che non conta nulla. Noi no: sono stati ascoltati tutti gli interventi della prima sessione, prima di uscire in massa, ignorando l’appello della presidenza a fare turni autoorganizzati.
Sicuramente sarebbe stato più soddisfacente, dato il tipo di persone presenti, sacrificare un po’ del tempo della plenaria per i gruppi (che decisamente dovevano essere meno numerosi, per non essere delle miniassemblee). Ma questo primo incontro aveva bisogno anche di un ampio momento di “esposizione” inteso non soltanto come la possibilità di “esporre idee” da parte dei redattori del manifesto, ma anche come un loro dovere di “esporsi”, di metterci la faccia, di essere persone in carne e ossa, donne e uomini, dopo mesi di relazioni virtuali.
Per questo io credo che di assemblee così non ne faremo più, mentre gli incontri, sia a livello territoriale che a livello nazionale (a partire dal prossimo di giugno) saranno impostati con quei metodi partecipativi di cui non per retorica parla a lungo il manifesto (e su uno dei quali –PARTY- il gruppo di Firenze sta scrivendo un libretto).
Comunque a chi ha avanzato queste critiche, in buona parte condivisibili, ho risposto con un proverbio popolare (i proverbi sono le metafore dei poveri…): “fare le nozze con i fichi secchi” è considerato una cosa sbagliata, che non si fa. Ma {{noi che avevamo solo i fichi secchi }}(7 ore di tempo e 0 finanziamenti, che non fossero i contributi di chi partecipava) che cosa dovevamo fare? Forse la risposta è semplice: noi non abbiamo fatto nozze, al massimo un pre-fidanzamento, un primo incontro, l’avvio di un percorso, un’ALBA, che dal punto di vista delle fasi del giorno viene prima dell’aurora, e quindi non può essere confusa con il sol dell’avvenire.
{{E adesso, se permettete, parliamo di donne…}}
Quando, alcuni anni fa (14 gennaio 2006), una manifestazione – nata in rete (toh! Le donne come i giovani!) attraversò le vie di Milano, dietro lo striscione{{ “Usciamo dal silenzio”}} alcune di noi dissero “Non siamo noi a tacere, siete voi che non ascoltate!”. Un simpatico collettivo di giovani donne si dette il nome {{“Mai state zitte!”.}}
L’anno scorso, di fronte alla {{manifestazione del 13 febbraio}}, da parte di uomini, ma anche di donne (le tante che non riescono veramente a vedere le altre donne se non attraverso gli occhiali dei giornalisti o dei commentatori televisivi), si sprecava l’avverbio “finalmente”: “Finalmente avete ripreso la piazza, avete ripreso parola!”. A me tornava in mente che Malalai Joia, leader delle donne afgane, racconta che al parlamento afgano, dominato dai signori della guerra, per impedirle di parlare, le staccavano il microfono, la silenziavano.
Tutto questo mi si affolla alla mente adesso, a tre giorni dall’assemblea nazionale al MandelaForum. Leggo articoli, commenti, positivi e negativi, trovo elenchi di partecipanti più o meno illustri, citazioni di interventi o di commenti raccolti dai giornalisti e mi chiedo: ma quali occhiali sono stati usati per leggere quella giornata dai giornalisti (per lo più uomini) che ne hanno scritto? Come hanno fatto a non vedere la novità di una presenza diversa di donne. Nel numero e nei ruoli. Hanno visto {{Nicoletta Pirotta:}} ha parlato subito dopo {{Marco Revelli }}e quindi il suo intervento viene indicato come uno di quelli introduttivi (assieme a quelli di altri due uomini, {{Claudio Giorno}}, leader valsusino, e {{Paul Ginsborg}}). {{Chiara Giunti}} compare in qualche foto ed è stata intervistata. E le altre? {{Sono (siamo) state più o meno la metà delle persone intervenute. Erano (eravamo) costantemente la metà alla presidenza}}. Ai banchini d’ingresso e nella segreteria (tipiche funzioni di servizio quindi “da donne”) c’erano donne e uomini, e questi erano di più.
I giornalisti non hanno visto (quasi) nulla di tutto ciò. E dico quasi solo perché sicuramente non ho letto tutto.
Non hanno nemmeno citato senza capire, li avremmo giustificati. Non hanno proprio colto la differenza rispetto ai soggetti politici esistenti.
Piccola differenza, certo. Perché {{i contenuti marcati dal genere presenti negli interventi di molte donne,}} credo che non siano stati colti neanche dalla maggior parte degli uomini presenti, compresi alcuni firmatari del documento (almeno ascoltando i loro discorsi).
E se qualcuno mi dice che non mi accontento mai, rispondo che un vero confronto fra uomini e donne e una vera pratica politica in comune si avrà {{quando anche gli uomini partiranno da sé e non pretenderanno di essere il soggetto universale della storia e della politica}}, magari senza neanche accorgersene.
* v. Il [“manifesto per un soggetto politico nuovo, per un’altra politica nelle forme e nelle passioni”->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article10181] presentato da Nicoletta Pirrotta in “il paese delle donne on line”.
v. anche [“Perché firmo” ->https://www.womenews.net/spip3/ecrire/?exec=articles&id_article=10185]di Anna Picciolini
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