Il Consiglio Superiore di Sanità ha reso noto
il parere circa le modalità di somministrazione della RU486, la pillola
che consente l’interruzione farmacologica e non chirurgica della
gravidanza, stabilendo che per sottoporsi al trattamento sarà
obbligatorio il ricovero.Se la giornata dell’8 marzo scorso è stata caratterizzata, nelle
mobilitazioni di piazza o nelle iniziative di molte città italiane,
dalla volontà delle donne di denunciare e rifiutare qualsiasi forma di
sfruttamento del proprio corpo, ridotto a merce per le merci, o
prostituito a guisa di tangente, già la settimana successiva, è arrivata
la risposta, e l’attacco, ancora una volta, non è stato frontale ma
comunque evidente e netto: il Consiglio Superiore di Sanità ha reso noto
il parere circa le modalità di somministrazione della RU486, la pillola
che consente l’interruzione farmacologica e non chirurgica della
gravidanza, stabilendo che per sottoporsi al trattamento sarà
obbligatorio il ricovero.

Il provvedimento è stato firmato dal ministro per la Salute, Ferruccio
Fazio, e, di fatto, non fa altro che ratificare quanto si era
prospettato durante le sedute della commissione sanità del Senato,
commissione che lo scorso novembre aveva approvato a maggioranza un
documento in cui si chiedeva al governo di fermare la procedura di
immissione in commercio della pillola in attesa proprio del parere
“tecnico” del ministero della Salute.

{{Il motivo? Con la pillola l’aborto è più facile…}}

A febbraio, il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella aveva poi
ribadito che l’intera procedura di somministrazione della pillola e il
post somministrazione sarebbero dovuti avvenire in ospedale dove “la
donna deve essere trattenuta fino ad aborto avvenuto”.

L’uso del termine, il medesimo utilizzato sia in commissione sia dal
Consiglio, è indicativo: se non si può trattenere una donna
dall’abortire, e del resto davvero interrompere una gravidanza oggi in
Italia è sempre più difficile, basti pensare ai dati sull’obiezione di
coscienza o alla situazione dei consultori, almeno proviamo a
trattenerla fisicamente!
_ Ma dal momento che il ricovero non potrà essere imposto e che la
paziente, è verosimile, firmerà per le proprie dimissioni, qual è il
senso, sostanziale e simbolico, di questo pronunciamento, che peraltro
invita le regioni ad adeguarvisi?

Riteniamo che l’unica risposta possibile sia proprio quella che in modo
esplicito già la stessa Roccella aveva paventato, all’inverso, qualche
settimana fa: è troppo facile…

{{Per le donne facile, o per lo meno, decente, sarebbe trovare un
ginecologo non obiettore, riuscire a fare tutti gli esami in tempo}}
(ricordiamo che l’aborto è possibile solo entro i primi 3 mesi dal
concepimento), evitare di dover anche far passare la cattolicissima
settimana di riflessione, presentarsi infine in ospedale nell’ unico e
solo giorno dedicato alle ivg e farsi operare, in anestesia totale,
quando in tutto il resto d’Europa, da anni, viene somministrata, in modo
controllato e rigoroso, certo non a casa con un bicchiere d’acqua, la
RU486.

{{Il ricovero rende più penoso, arduo e incomprensibilmente complicato un
momento di per sé, spesso, davvero difficile}}: ancor oggi, in regime di
Day Hospital, molte donne raccontano della difficoltà di giustificare
quella assenza al lavoro; per esempio, e non solo, proviamo a pensare a
che cosa potrebbe voler dire (poniamola come ipotesi, ma ricordiamo che
il ricovero è comunque obbligatorio) doversi assentare per più giorni o
trovarsi nella necessità di dover dare spiegazioni anche semplicemente
per poter contare su un aiuto concreto per organizzare la propria
lontananza, dall’ufficio o dalla famiglia.

{{Davvero un percorso a ostacoli.}}

Veramente sul nostro corpo non ci è dato decidere autonomamente, anzi, a
quanto pare non è prevista né ripugnanza né vergogna, perché divenuti
abitudini di potere, per l’ abuso, lo scambio, la macelleria di corpi di
donne con lo scopo di vendere, comprare, o per scambio, ma è a noi, a
noi donne, che si chiede di provar vergogna, perché abortire è una
colpa, e come tale la colpevole va prima ostacolata in tutti i modi, poi
trattenuta…

{{L’ospedale diventa carcere}} perché, come affermato in queste ore dal
presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, all’apertura dei
lavori del Consiglio episcopale permanente, il cosiddetto parlamentino
dei vescovi italiani, l’aborto è un crimine.
_ {{
Secondo Bagnasco}}, e citiamo le sue dichiarazioni, sottrarre beni
pubblici è uno scandalo, gli abusi sui bambini, anche se commessi da
preti, sono da imputare all’edonismo culturale dei nostri tempi, la
crisi economica costituisce una sofferenza acuta, MA l’aborto è un
delitto incommensurabile.
_ Bagnasco indica così ai cattolici come votare alle prossime elezioni
regionali: la difesa della vita, sostiene, non è negoziabile.
_ Eppure non vi è nulla più di chi quella vita sceglie di dare che sia
maggiormente oggetto di patto, commercio e contrattazione: la donna.

{{In campagna elettorale, poi, l’aborto è un tema caldo}}: sposta voti, crea
consensi o mette in difficoltà, quando non diventa esplicitamente
terreno di scontro politico o utile moneta di scambio se la posta in
gioco è incredibilmente alta, come nel caso dell’approvazione del testo
finale della legge di {{riforma della Sanità negli Stati Uniti.
}}

E’ stata definita una riforma di portata storica, giocata sul filo della
rincorsa all’ultimo voto, che senza dubbio ridà smalto e sostanza a una
leadership, quella di Obama, decisamente appannata; e se è vero che
nessun presidente americano era finora riuscito nell’impresa di rendere
accessibile una copertura assicurativa al 94% dei cittadini non
anziani, espandendo il servizio “medicaid”, vale a dire l’assistenza per
i cittadini indigenti, e offrendo dei benefici fiscali senza i quali
molte persone troverebbero difficile permettersi un’assicurazione, è
altrettanto vero che {{la partita si è agita esclusivamente sul terreno
dell’aborto}}.

{{Che Obama avesse cambiato rotta rispetto al diritto di scelta delle
donne era parso chiaro}} già in occasione della visita in Vaticano del 10
luglio scorso, quando, al termine del colloquio, il portavoce papale,
padre Federico Lombardi aveva fatto sapere che “il presidente americano
ha detto al Papa che si impegnerà a fare in modo che negli Usa gli
aborti possano diminuire, ottenendo il plauso del Santo Padre”…
decisamente {{non lo stesso Obama del 2007}}, quello che si era detto
fortemente in disaccordo con la sentenza della Corte Suprema del 19
aprile, contraria ad una particolare tecnica di aborto terapeutico,
sentenza considerata allarmante perché incoraggiava l’ingerenza del
Congresso nel mettere al bando una procedura medica giudicata necessaria
in alcuni casi per la salute delle donne.

{{In un anno tutto è cambiato}}: se tra i primi atti da presidente, il 23
gennaio del 2009, vi era stato il decreto che sanciva l’abolizione della
Mexico City Policy, istituita da Reagan e ripristinata da Bush, che
negava i finanziamenti federali alle organizzazioni che praticano
l’aborto e, di seguito, la firma del Freedom of Choice Act, non
approvato dal Congresso, con il quale si toglieva validità ai
regolamenti statali che proteggono i bambini non nati ed si eliminava la
clausola di coscienza per il personale sanitario, ieri si è compiuta
una rottura netta, tanto più significativa perché è stato decisivo
l’intervento diretto di Obama.

Infatti il presidente degli Stati Uniti ha rinviato il suo viaggio in
Indonesia proprio per firmare l’ordine esecutivo che rafforza il
divieto di usare i fondi federali per rimborsare le spese delle
interruzioni di gravidanza, e {{solo con questa personale garanzia del
presidente, il gruppo dei parlamentari antiabortisti}}, i cui voti erano
decisivi, guidati dal deputato Bart Stupak del Michigan, è passato a
favore della riforma, garantendo la maggioranza per l’approvazione della
legge.

Sin dalla bozza presentata a novembre questa riforma si era distinta, in
sostanza, per il suo forte carattere restrittivo in materia di aborto:
{{Stupak}} alla Camera aveva presentato un emendamento, poi approvato, che
{{vietava il finanziamento in qualsiasi forma, e in qualsiasi circostanza,
di pratiche abortive}} e la sua crociata per escludere l’aborto dalle
prestazioni del servizio sanitario pubblico era stata sostenuta dalla
Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che, anche nell’ambito delle
funzioni religiose delle chiese in tutto il Paese, aveva più volte
dichiarato che l’appoggio al progetto di riforma non poteva essere solo
politico, ma soprattutto morale.

Come già visto anche al di qua dell’Oceano, {{per la Chiesa continua ad
essere prioritaria la salvaguardia di un embrione piuttosto che di
milioni di persone}}, uomini donne bambini vivi, privi di assistenza
sanitaria ed esclusi da quello che dovrebbe essere l’unico principio
morale a difesa della vita: la possibilità di curarsi, di poter comprare
i farmaci di cui si ha bisogno, di poter accedere a prestazioni mediche
a tutela della propria salute e di una più dignitosa qualità della
propria esistenza.

La discussione sulla riforma della sanità si è sviluppata in questo
contesto istituzionale, e in un clima sociale e culturale certamente
complesso.

In America gli aborti continuano a diminuire, non solo per un maggior
ricorso ai metodi contraccettivi ma soprattutto, secondo i dati delle
organizzazioni pro-choice, per la difficoltà in alcuni stati ad
ottenere di poter interrompere una gravidanza: {{ben 22 stati, in cui
risiede la metà della popolazione, approverebbero leggi più restrittive }}
se non fosse per i vincoli cui sono tenuti dalle leggi federali, in
sud Dakota è proibito e basta, in Pennsylvania, Ohio e Michigan, vi sono
leggi che limitano il più possibile il diritto all’aborto, infatti i
medici devono informare le donne che desiderano un aborto delle
alternative possibili e devono aspettare almeno 24 ore prima di compiere
la procedura; in altri stati, inoltre, i {{medici e interi ospedali
possono rifiutarsi di eseguire interruzioni di gravidanza}}, le minorenni
devono avere il consenso dei genitori e l’aborto tardivo, dopo la
22esima settimana, è vietato.

Nove dei ventidue su citati stanno attivamente prendendo in
considerazione una messa al bando totale come quella del Sud Dakota.

E non dimentichiamo gli attentati ai medici e alle cliniche…

Se {{quasi il 50% degli americani è favorevole ad una legislazione che
consenta l’aborto solo in caso si estremo pericolo}} di vita per la madre o
di stupro, si capisce bene come un presidente in difficoltà su tutti i
fronti, dalla politica estera alla crisi economica, abbia disperatamente
bisogno di un successo interno che ne riaccenda la popolarità… e quel
50% vale oro.

{{Il diritto delle donne all’autodeterminazione non vale niente}}.

Soprattutto quando si tratta di donne povere e nere.

Si può ammettere che, rispetto al testo della Camera, al Senato, in
effetti, vi sia stato un aggiramento parziale del divieto netto: {{chi
sceglie una polizza che contiene l’aborto dovrà, a riforma approvata,
pagare questa prestazione separatamente}}, in pratica serviranno due
ricevute, una che certifica l’acquisto, obbligatorio, di una polizza
assicurativa completamente deducibile, un’altra invece che certifica la
copertura per l’interruzione di gravidanza, come servizio a parte, che è
interamente a carico del cittadino/a.

Dal momento, però, che il ricorso all’interruzione volontaria di
gravidanza è drammaticamente aumentato tra le donne più povere,
soprattutto giovanissime e nere, non si vede come, senza il sostegno di
fondi federali alle cliniche, possano queste ultime avere accesso alla
copertura assicurativa a parte: {{chi può pagare, come sempre, sceglie,
chi non può pagare, come sempre, si arrangia}}.

Una ulteriore riflessione, secondo noi, rende ancor più preoccupante il
quadro che stiamo esaminando: si è implicitamente affermato, per legge,
un principio contrario a quello che finora ha sostenuto, negli Stati
Uniti, il diritto di scelta, ossia la tutela della salute delle donna
senza condizioni.
_ Infatti con questa riforma, che ha come nodo centrale
il tentativo di garantire la “salute” ai cittadini e alle cittadine
americani, si veicola il messaggio secondo il quale scegliere se avere o
no un figlio non attiene alla sfera dei diritti in generale, garantiti
ed esigibili, né a quella della salute, non ha la donna al centro del
discorso, ma è un “di più” tollerato a fatica e circoscritto alla sfera
del privatissimo portafoglio di chi ne è coinvolto, nel pieno rispetto
delle leggi di mercato.

{{Moralmente un crimine, economicamente un affare lucroso: i servizi
accessori si pagano a parte, e paga, appunto, chi ha i soldi}}.

Niente di diverso da quello che avveniva in Italia prima
dell’approvazione della legge 194, niente di diverso da quello che si
vorrebbe per il futuro, accelerando tendenze già oggi evidenti: aborto
non più gratuito, almeno formalmente lo è ancora!, non più garantito
dalla sanità pubblica, non più ascrivibile alla sfera dei diritti, non
più scelta liberamente praticabile da tutte, se scelta, ma un evento di
cui vergognarsi, ostacolato il più possibile, punitivo nei modi e nei
tempi, limitato e ridotto per quanto riguarda risorse, competenze,
professionalità e strutture.

{{Cucchiai e prezzemolo non sono scomparsi, come pure i ginecologi
obiettori in ospedale e abortisti a pagamento in studio}}: le donne,
soprattutto le più deboli e ricattabili, le migranti, di aborto
clandestino continuano a rischiare, se non a morire…è necessario,
pensiamo, continuare a denunciare, a discutere, continuare a seguire
quanto accade, appunto, anche al di là dell’Oceano, per imporre con la
voce delle donne che le donne non accettano di essere ridotte a servizio
a parte e che non vi è elezione, appalto o ricatto che non possano
s/travolgere.

{
– Questo articolo è già stato pubblicato sul sito [infoaut.org->http://infoaut.org]}