Addio a Lidia Menapace: teniamo caro il suo sorriso e la sua eredità
È mancata a 96 anni Lidia Menapace (Lidia Brisca, Novara 3 aprile 1924, Bolzano, 7 dicembre 2020), per covid-19, nell’ospedale di Bolzano.
Alla famiglia, ai parenti, alle tante relazioni amicali e politiche, le più accorate condoglianze della nostra associazione di cui è stata socia e articolista; maestra di passione politica, coerenza femminista, onestà intellettuale, spirito critico e indomabile nelle lotte della società civile; da sempre, ha partecipato e sostenuto innumerevoli aggregazioni e associazioni (in primis, l’Udi), intrecciando agli ideali e agli impegni movimentisti cariche istituzionali (Comune, Regione, Parlamento), sempre con orizzonti allargati di convivenza, pace e accoglienza, cittadina del mondo.
Giovane staffetta partigiana, attivista nel dopoguerra di movimenti cattolici (Fuci), lasciato il Piemonte per l’Alto Adige (1952), ha esordito nella sua unicità come prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano (lista Democrazia Cristiana), insieme a Waltraud Gebert Deeg, e la prima donna in Giunta provinciale.
Maturata una diversa convinzione politica e partitica, paga il documento Per una scelta marxista(1968) con la perdita dell’incarico di “lettore di Lingua italiana” nell’Università Cattolica del Sacro Cuore in cui si è laureata, ed entra nella prima redazione de il Manifesto.
Negli anni Settanta è tra le promotrici del movimento Cristiani per il Socialismo, del Comitato per i diritti civili delle prostitute; e non si contano le sue presenze, il suo sostegno a innumerevoli organismi formali e informali della società italiana con contributi alla sua evoluzione. Non in ultimo, entra nel Comitato Etico di Banca Popolare Etica e nel Comitato Nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, diventando Senatrice nelle liste di Rifondazione Comunista (2006-2008).
Il femminismo, per Lidia Menapace, è stato un elemento vivificante, mai tradito o accantonato nell’impostazione delle relazioni personali, nei linguaggi, nel porsi e proporsi. Chi non la ricorda nelle tante piazze italiane – quasi leggendari i suoi viaggi in treno in tutta Italia per partecipare alla vita movimentista, convegnistica, documentaristica, filmica di cui ha lasciato in Lunàdigas (2016) una testimonianza irripetibile del sé, compresa la scelta della maternità biologica perché quella simbolica le è stata riconosciuta per tutta la vita.
L’amicizia di Lidia con il Paese delle Donne è di lunga data, socia e articolista del nostro giornale. Partecipe sia dell’occupazione del Governo Vecchio che di quella dell’ex Buon Pastore, presiedette con Edda Billi e con me l’Associazione Federativa Femminista Internazionale (Affi) dal 1992 al 1994, sostenitrice di tutto l’iter costitutivo dell’odierna Casa internazionale, co-fondatrice di Archivia cui lasciò un prezioso Fondo comprensivo anche di una raccolta antologica a firma femminile e maschile, di scritti sulla pace, già destinando altro materiale a quello e altri archivi.
Conobbi Lidia leggendola su Il Manifesto e nei tanti scritti volanti circolanti nel movimento.
Diventammo amiche sotto un acquazzone romano, dividendoci un precario ombrello dietro uno striscione di una manifestazione dell’8 marzo e la frequentai più assiduamente nel gruppo 9 marzo, con referente Chiara Ingrao, dov’erano anche Marina Pivetta e Anna Piccioni che mi coinvolsero nella prima redazione del Paese delle donne. Sono ricordi pieni di emozioni quelli con Lidia, i cui incontri lasciavano sempre un qualcosa in più, una conoscenza, un legame, una spiegazione. Un carattere indomito e una personalità formidabile. In tante e tanti l’hanno avuta nel cuore e ne formuleranno un mosaico dalle molte variazioni, anche perché il cambiamento, di idea o di posizione, non spaventò mai Lidia, sempre fedele a sé stessa, ai suoi ideali e piena di proposte. Di mille cose è stata partecipe e/o promotrice.
Il gruppo 9 Marzo formulò “Fuori la guerra dalla storia” che intitolò il Coordinamento ed entrò nel lessico femminista e dei movimenti per la pace, divulgato dalle Manine delle Donne in Nero.
Pioveva sempre a dirotto quando Lidia ed io, lei appena scesa da un treno, comprammo su una bancarella, a Termini, una lunga tenda a fiorellini che trasformammo in striscione, con quella scritta, nel retro di un bar, compiacente la barista, mentre già muoveva il corteo femminista contro la violenza alle donne e perché lo stupro diventasse un delitto “contro la persona”.
Lidia e Chiara curarono il libro Ne’ indifesa, ne’ in divisa–pacifismo, sicurezza, ambiente, nonviolenza, forze armate. Una discussione fra donne, edito dal Gruppo Misto Sinistra Indipendente Regione Lazio (gennaio 1998) il cui ricavato andò alla neonata Associazione per la Pace. Nel testo, gli Atti dell’omonimo convegno che alla già annosa riflessione sull’esercito italiano, la Nato, la politica estera italiana nel Mediterraneo, il conflitto in Palestina, l’esclusione o inclusione delle donne nelle Forze armate (nel mondo), apportava uno sguardo femminista sul concetto di coinvolgimento/estraneità del femminile agli accadimenti in corso e chiedeva risposte sul ruolo, struttura, forniture, proprietà dell’ Amministrazione militare, anche rispetto ai finanziamenti tratti dalla tassazione delle cittadine, peraltro escluse dall’accesso e dalla narrazione ufficiale.
Nelle pagine, la discussione sull’esercito e sulla guerra e le guerre; sulla concezione della difesa, della sicurezza; l’analisi delle paure e dei miti che impedivano un cambio di passo; la volontà di “..alzare il tiro: proporre il modo in cui noi (donne) riteniamo utile per la comunità, per cui saremmo disposte a spenderci” e il testo, innovativo, della “Legge Regionale per l’adeguamento del sistema militare italiano alla Costituzione (1988), proposta dal Coordinamento Donne elette alla Regione Lazio nelle liste del Pci e dal Coordinamento Donne “Fuori la guerra dalla storia” (9 marzo e altre), presentata dall’allora Consigliera regionale Lidia Menapace, che ha sempre coniugato la pratica alla teoria.
Una legge “immaginaria ma non troppo” innestata sull’art. 11 della Costituzione “che esprime a nome del popolo italiano il ripudio della guerra in ogni caso (sia come guerra aggressiva, sia come strumento in caso di controversie internazionali nelle quali fossero in gioco interessi legittimi del popolo italiano) e obbliga a smilitarizzare comunque il conflitto, a privilegiare ed ad impegnarci, in tutte le sedi internazionali, per favorire strumenti di arbitrato, giudizio e al massimo polizia internazionale, in caso di conflitti internazionali”
Nel testo, il superamento di ogni discriminazione verso le donne si accompagna a un diverso concetto di “difesa della Patria” definita come “complesso di attività ed azioni comprese nei seguenti settori: difesa ambientale; difesa ed assistenza sociale; protezione civile; tecniche di difesa dell’integrità territoriale – i autodifesa – di difesa della popolazione civile.”
Si prospetta la smilitarizzazione dell’Amministrazione militare e degli uffici pubblici competenti chiamati a fornire elenchi dello status quo sulle attività e proprietà della stessa, da sottoporre a una Commissione consiliare ad hoc con partecipazione femminile e istituzioni di p.o., finalizzata alla riforma del settore, compresa l’abrogazione dei tribunali militari per far vigeresul territorio nazionale un solo diritto comune.
La legge “immaginaria ma non troppo” propone un Servizio civile per la Difesa della Patria suddiviso in settori, organizzato da scuole e Università, cui sono tenut* le cittadine che abbiano compiuto il 15° anno di età e non oltre il 25° e i cittadini non assorbiti (all’epoca) dalla leva (da estinguere con la riforma). Il Scd, inserito nella programmazione scolastica, dura un anno ed è da svolgere in tre periodi di tre mesi durante le pause estive scolastiche o alla fine degli studi, coinvolgendo anche i/le cittadin* che hanno sospeso gli studi al termine del periodo dell’obbligo”(art. 14).
Condivido la riflessione sulla sordità e poca elaborazione istituzionale di proposte – e Lidia è intervenuta molto sui principi della cittadinanza e della laicità dello Stato – migliorative della società e in linea anche con gli impegni presi dall’Italia in sede internazionale.
Stiamo assistendo alla scomparsa di una generazione anagrafica e politica formidabile per intuizione, anticipazione e resilienza. Una generazione di donne che ci consegna le sfide dell’oggi. Un pezzo della nostra vita se ne va. Abbracciamoci tutte e tutti, per questa grande perdita e teniamo caro il suo sorriso e la sua eredità.