Ai Centri Antiviolenza le briciole, sempre che restino
Cavalcare “il fenomeno del momento” è facile. Dà consenso. Ancora meglio se viene approvato e ingrassato dalla demagogia mediatica e dal populismo metropolitano. Le donne sono ammazzate e, nonostante ciò, i centri antiviolenza sono costretti a chiudere. Che schifo.
Fare di mestiere l’opinionista è roba semplice. Finché non ci tocca. È, come dire, vincere facile. Tuttavia, combattere la violenza di genere, in qualsiasi forma si declini, non è uno schieramento sportivo, “un problema passeggero e tutto torna a posto”. Si tratta di vite umane che vengono oltraggiate e spesso sottratte brutalmente e ingiustificatamente innanzitutto a se stesse. E l’avverbio ingiustificatamente dovrebbe scortare sempre il lavoro dei nostri giornalisti, tanto per aiutarli a smontare le credenze che sposano la gelosia, l’abbigliamento, la condotta sessuale e tutte le altre espressioni adoperate che sembrano ulteriori e metaforici spari di rivoltella alla tempia della donna.
Capita di perdere i punti di contatto con la realtà, limitandosi a fare una conta delle donne ammazzate. Un triste pallottoliere che provoca, sì, sgomento, ma poi passa come l’arrivo e la scomparsa di una brutta febbre epidemica. Peccato. Perché la verità è che la violenza di genere è quotidiana, un “punto fermo” sul quale non si può mai abbassare la guardia. E le istituzioni dovrebbero assumere impegni seri e concreti da un punto di vista finanziario nei confronti di coloro che ogni giorno lavorano per combatterla. Semplicissimo e scontato, direste voi. Eppure ai Centri antiviolenza vengono date le briciole. Sempre che bastino per tutti. E vengono spinti alla chiusura perché i servizi non si possono offrire più.
Le istituzioni dovrebbero assumere impegni seri e concreti a favore di quei servizi che prevengono, anticipano, stroncano gli assurdi e vili gesti. Senza dimenticare che la violenza non è solo quella che ammazza e toglie la vita a una donna in senso fisico e letterale, è anche quella che la lascia vivere, ma in apnea, mentre a bracciate la donna tenta di non farsi soffocare dall’acqua violenta che le arriva alla bocca e le toglie respiro. Perché questo è ciò che si prova, ciò che una donna vittima di violenza maschile vive: non poter galleggiare in un mare violento e non avere colpa per quel mare, non poterci fare nulla, se non provare a liberarsene facendosi dare una mano. A stento non annega (se le va bene), con grande fatica e con continue bracciate. Questa la metafora che ad esempio Francesca, donna vittima di violenza di genere, ha adoperato per parlare ai ragazzi e alle ragazze che domenica sera hanno deciso di ascoltarla a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, all’interno di una parrocchia di quartiere. Ha aggiunto: i centri antiviolenza aiutano la donna a trovare dentro se stessa il proprio salvagente, oltre a fornirle il sostegno legale di cui necessita.
I centri antiviolenza non si occupano di “vettovaglie”, insomma. Né sono composti da arriviste femministe che vogliono le vetrine per specchiarsi vanesie. Nei centri antiviolenza le operatrici – prevalentemente volontarie (bisogna spiegare il concetto di volontariato?) – apparecchiano la tavola dei servizi con tutto ciò che possono (anche autotassandosi). Per accogliere e – passatemi l’espressione – aiutare le donne a salvarsi, per non restare ostaggio di uomini violenti.
Le leggi in materia di tutela delle donne (femminicidio, violenza domestica, violenza assistita, molestie, stalking e… mettete tutti gli atri reati del corollario) ci sono. Ma a che servono se farle rispettare è difficile? Farle rispettare non vuol dire solo punire per i reati commessi. Vuol dire provare a evitarli. Lavorare sodo, anche in silenzio, per evitarli. Ma come si lavora senza soldi? Come si offrono servizi con le briciole?
Il paroliere adoperato di chi parla di pochi fondi alla Regione, perché pochi vengono dallo Stato, che a sua volta ne ha pochi da mettere nelle diverse finanziarie, è una bufala. La verità sta da un’altra parte e chi non la dice, preferisce tacere, esserne complice. Semplicemente, questi soldi finiscono per strade differenti e sbagliate.
Non sono pentastellata, né mai potrei esserlo per questioni squisitamente ideologiche e di buon senso, ma che il bavero dei politici pulisca bocche troppo sporche di “bulimici banchetti” alla faccia nostra è vero, tanto quanto inaccettabile.
Potremmo anche vincere facile, appunto, e parlare delle macchine blu, dei vestiti, del parrucchiere pagato, dei rimborsi spese, dei gettoni per le riunioni di commissione anche per decidere in quale luogo debba pisciare il cane (passatela la poca eleganza). Potremmo stare qui a fare un elenco così folto, che sarebbe assai facile superare un paio di stagioni, e più, a parlarne. Parlarne, appunto. Contando anche il fatto che ai politici sembra non bastare uno stipendio statale equo per il loro lavoro, servono loro così tanti quattrini per le cose più disparate, che non si possono contare.
Quindi, che ce ne facciamo dei proclami piddini, pentastellati, forzisti e di tutti gli altri partiti a seguito? Né servono, per salvare vite umane, drappi alle finestre. Anche perché, diciamo senza esitazione, nessuno crede alla verginità di nessun politico. Ci vogliono seri provvedimenti, veloci, rapidi, urgenti. Urgenti, ecco. Provvedimenti dell’oggi, non del domani. Le procedure sembrano rapide, snelle e soprattutto silenziose quando è tempo di aumentare i privilegi dei “soliti noti”. Allora, stabiliamo che le medesime velocità spettino – e di diritto – a chi non merita di essere ammazzata (non che ci possa mai essere giustificazione a un omicidio).
Invece di pettinare le bambole sui giornali, o in tavole rotonde istituzionali, bisognerebbe dare risposta (non solo a voce) alle vere esigenze che provengono dai centri antiviolenza dove – se non lo sapete, informatevi – ci stanno donne per le donne, non donne per i soldi. Che lavorano sodo. E anche su livelli culturali. Poi, è innegabile, le mele marce del professionismo sociale, di chi vuol fare carriera, stanno ovunque e ovunque possono essere staccate e gettate. Ma vanno considerate le parti buone (che sono in prevalenza) e bisognerebbe dire concretamente a queste donne che oggi riceveranno il sostegno (anche economico!) per dire ad altre donne di resistere, che ce la faranno, che non saranno ammazzate domani.
Altrimenti, abbiate il buon senso di affermare, cari politici, che parlate con tromboni in bocca, e basta. E che vi siete fatti prendere la mano e vi piace tenerle ben salde dentro la marmellata.