Amore criminale
Lettera aperta alle redazioni su: “Amore criminale” Rai 3…con l’auspicio che il mio contributo possa diventare utile cambiamento al progetto televisivo così come è stato delineato.
Sono la presidente del Telefono Rosa di Torino e desidero scrivere a proposito del programma intitolato {{“Amore Criminale” in onda su Rai Tre.}} La programmazione del ciclo di trasmissioni risponde certamente all’esigenza di portare all’attenzione del grande pubblico il tema angosciante e certamente terrificante della violenza contro le donne.Gli stessi fatti accaduti negli ultimi mesi dimostrano che, molto vicina alla quotidiana violenza fisica, psicologica o sessuale, esiste una violenza omicidaria che a quanto pare travalica ogni analisi sociale o psicologica.
Mai come in questo caso la prevenzione appare difficile, se non impossibile. Probabilmente, nelle intenzioni degli autori del programma, c’è stato anche l’intento di realizzare documenti che,{{ tra fiction e reality}}, potessero mostrare al pubblico televisivo le dinamiche più agghiaccianti, quelle che precedono, sovente, la gravissima e a volte mortale aggressione nei confronti della vittima di turno.
Insieme a questo lodevole intento, non ho problemi a comprendere che una programmazione televisiva debba anche avere {{margini di interesse, tensione, mordente}} tali da interessare il pubblico. In fondo, ogni programma viene valutato dagli indici di ascolto che garantisce. E’ la legge della comunicazione: e anche gli spazi di social time non possono disattendere un elemento necessario per una programmazione che interessi le emittenti, pubbliche o private che siano.
Fatte queste ovvie e doverose premesse, nasce in me {{un dubbio lacerante}}. Gli approfondimenti proposti possono incollare allo schermo spettatori attenti e partecipi, amanti del noir, individui interessati ad un approfondimento di dinamiche sociali di grande impatto. Ma possono anche veicolare verso la visione coloro che invece hanno già fantasie di dominio, possesso o persecuzione nei confronti di una donna. Persone il cui equilibrio può essere definito così precario da apprendere dai contenuti della fiction o dei fatti reali raccontati nel programma comportamenti ancora più sadici, oppressivi, violenti.
Molta cronaca, ma l’assenza di un commento o di un approfondimento (forse non così interessante dal punto di vista televisivo, ma utile ad identificare i precursori del comportamento violento) rende l’intero programma {{privo di quel momento esplicativo}}, detensionante e di approfondimento che colloca la vicenda non tanto legata al singolo “caso”, quanto a realtà che giorno dopo giorno coinvolgono numeri sempre maggiori di vittime e di perpetratori.
Io che, come le tante altre volontarie dei Centri Antiviolenza, convivo quotidianamente con storie di straordinaria follia, devo pensare che la {fiction} possa addirittura costituire una {{forma di involontario addestramento }}per coloro che, incanalati in forme di pensiero ancestrale e violento, prendano le storie come esempio per la propria,storia futura..
Oppure, temo seriamente il rischio che l’impatto emotivo delle scene viste e delle storie raccontate possano {{destabilizzare}} ancora di più coloro che hanno un equilibrio personale già piuttosto fragile.
{{Non intendo censurare}}: ma sollecitare autori e produzione ad una {{riflessione sull’opportunità }}di ampliare i confini del programma eliminando le componenti di maggiore tensione emotiva a favore di spiegazioni accurate. Soprattutto su come le dinamiche rappresentate non facciano parte dell’orizzonte della violenza patologica o definibile psichiatricamente come malata, ma come i processi di pensiero possono ideare la violenza: fino a renderla poi spietatamente reale.
{{Lella Menzio}} – {presidente Telefono Rosa Piemonte}
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