AMORE – E’ ancora un sentimento che come poetava l’Alighieri al cor gentil ratto s’apprende oppure esprime al riguardo una certa umbratile volatilità?! Mistero ed inquietudine nell’ultimo libro di Gabriella Turnaturi
Amor ch’al cor distratto s’apprende – Scrive Gabriella Turnaturi nel suo Non resta che l’amore Paesaggi sentimentali italiani, pubblicato da Il Mulino nel 2018, che aspirare all’incanto dell’amore è l’unica esperienza ancora accessibile rappresentando (l’amore) oggi l’ultimo bene democratico.
Aver bisogno di qualcuno da amare, per dirla con E.Ajar, equivale a potersi permettere un genere di prima necessità, anche un rifugio, qualcosa in grado di offrire gratificazione e riconoscimento, pur presente l’ambivalenza fra un vecchio, obsoleto ma rassicurante, ed un nuovo che é miscuglio strano di disincanto e romanticismo.
Rimane dell’amore il mistero e l’ inquietudine.
E’ ancora un sentimento che come poetava l’Alighieri al cor gentil ratto s’apprende oppure esprime al riguardo una certa umbratile volatilità?!
La fase dell’innamoramento declina una condizione magica, considerata nel poi irripetibile esperienza , da intendersi come la condizione per eccellenza di una follia buona e dal comune sentire decisamente antitetica ad un mero interesse per così dire materiale. La democrazia del sentimento d’amore dovrebbe motu proprio superare (anche) difformità e tabù legati a condizioni sociali , economiche, ad appartenenze culturali.
E’ un desiderio che accomuna, è un bisogno che si radica nel profondo della storia soggettiva e personalissima di ognuno. Scandisce , modifica e trasforma , attraverso la negoziazione di conflitti, la possibilità di ri-conoscersi soggetti autonomi , disvela , nel grado di fiducia, intimità e soddisfacente (reciproca) distanza, lo stato di salute della relazione di coppia.
Al sentimento d’amore tutto sembra imputarsi: trasgressione e decenza, vizio e virtù, l’oscurità della tenebra e l’impalpabilità densa della luce .
Spesso dell’amore risuona una sorta di bisbiglio, geograficamente intermittente: sui ponti appaiono, fitti, i lucchetti degli innamorati. Quasi a sottolineare che i sogni non bisogna farli fuggire, piuttosto incatenarli, perché se al sogno si toglie la labile materia di cui è fatto resta l’affanno nel respiro del vento.
Come affermava Shakespeare, per bocca di Prospero , siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra vita breve è circondata da un sonno*.
Viviamo ,afferma Bauman, dentro una società liquida, ma paradossalmente sempre più necessitata di protesi tecnologiche e, dunque, spesso (ma anche malvolentieri) l’azione finisce per sottostare all’imperativo della prestazione .Come contraltare , e forte di sua tanto idealizzata gratuità, l’amore conquisterebbe i caratteri di una promessa di felicità .Ad altissimo rischio però, perchè continuamente formulata nella dicotomia delle lingue , voce del legame fatale , ma anche parola della libera gestione di sé.
Dunque ,domanda la Turnaturi, tanto forti nel nostro bel Paese sono la percezione di deprivazione e la sensazione di stallo, da non restarci altro che la speranza nell’amore?!
Le risorse economiche sono modeste, talvolta le espressioni democratiche di partecipazione attiva appaiono poco incisive, si assottigliano le speranze di una ripresa economica e, the last but not the least , ci si squaderna davanti un futuro sempre più incerto.
Se stare oggi con i piedi per terra pare significhi imparare a vivere realisticamente la precarietà ,l’amore nelle sue sfaccettature ,per la sua fisionomia interclassista e la configurazione di diritto intoccabile ,potrebbe fornirci uno status di rifugiato speciale ,encomi di congrua appartenenza al genere umano,patenti esplicite di una socialità dentro le pagine scritte da un’ istanza psichica antica, atavica, quella di creare legami .
Illusorio però , continua Turnaturi, rammentare, come nel testo di John Gray, che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere e che la faticosa originalità del discorso d’amore possa concepirsi attenendosi alla manualistica , con l’obbligo di risultare , magari, coerenti ai rituali indicati dalla pubblicità e dal mercato.
E’ la paura nascosta di vivere quello che siamo che spinge ad accontentarci di un amore talvolta distratto, forse svagato, furbescamente cesellato da stereotipi e, dunque, ad alto tasso di evaporazione?
Poter mostrare una capacità di sentire l’amore si apparenta sempre più spesso all’offerta di una sorta di certificato di benessere interiore, non disgiunto da un vissuto di autorealizzazione, esibito nella competenza a gestire , magari controllare, un proprio mondo attraverso segnali, anche simbolici, e nella direzione del raggiungimento di adeguato target .
Se si aggiunge , poi, che la ricerca d’amore può diventare anche esperienza esaltante , ma la sua realizzazione mai risulta all’altezza delle aspettative personali , l’amore, costretto a surgelare una sua magia, potrebbe inesorabilmente omologarsi come non spendibile nella banalità di un rapporto reale.
Nell’epoca delle passioni tristi si propone infatti gioioso, ma come affermava un lettore in una lettera inviata alla posta del cuore di Natalia Aspesi sul Venerdì di Repubblica , alimenta il sogno di una felicità che è soltanto l’idea della felicità.
Dunque un ideale desiderato proprio perché irraggiungibile , scevro da contraddizioni ,incongruenze ,difficoltà ,purificato e,dunque, sempre meno in conto a persone reali.
Paradossalmente per vivere a pieno l’eccezionalità dell’esperienza amorosa è facile ricorrere a razionalizzazioni, a tecniche ed a strategie, surrettiziamente anche attraverso regole nuove , meticciando pensiero magico con sapere tecnico , al fine di vivere un qualcosa (che possa dirsi) autentico ma controllabile , esente rischi ma eroico , tutto sommato al vaglio ,vigile, del soddisfacente rapporto costi-benefici.
Se non distratto, di certo amore sottratto.
Non più sentimento ch’al cor gentile ratto s’apprende, piuttosto banco di prova del saperci fare.
Riferimento al testo
*W.Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni ed., 1964, p.1207(a cura di Mario Praz)