ANCONA È venuto recentemente in luce un diario inedito, scritto da una ragazza quindicenne durante la sua deportazione in Germania. Ora è un libro
Considerate che avevo quindici anni. Il diario di prigionia di Magda Minciotti tra Resistenza e deportazione il libro è edito da Affinità elettive , nella collana L’orsa minore dell’Istituto Storia Marche di Ancona. La prefazione è di Luciana Tavernini.
Si tratta del diario inedito di una partigiana quindicenne di Chiaravalle (AN), arrestata per rappresaglia dalle SS che cercavano il fratello Giacinto Minciotti, comandante partigiano della Vallesina. Magda fu poi deportata in Germania per lavoro coatto nei lager Siemens a Norimberga e Bayreuth; il suo è l’unico caso conosciuto di donna deportata dalle Marche per lavoro coatto. Negli anni Sessanta Magda Minciotti divenne cittadina pesarese.
Il suo diario che torna alla luce a distanza di settanta anni è un documento raro , che illumina l’esperienza della deportazione per lavoro coatto e nello stesso tempo le forme di resilienza femminile a situazioni di sradicamento e disumanizzazione.
Nel libro il diario dialoga con documenti familiari, fotografie, memorie coeve, incontri con testimoni, visite a luoghi dove si è radicata la memoria, oltre che con molti studi storiografici anche recentissimi. Il testo ricostruisce la biografia di Magda, a partire dalla sua formazione in una famiglia che aderiva agli ideali mazziniani e partecipò compatta alla Resistenza in provincia di Ancona; la segue nel viaggio di deportazione, nella vita schiavile nelle fabbriche e nella coabitazione negli alloggiamenti comuni, nella sopravvivenza sotto i bombardamenti e nel dolore per il distacco e la morte del fratello deportato con lei. Nel clima di generale indifferenza con cui la società del dopoguerra accolse il ritorno dei deportati, Magda conservò il diario in silenzio, per lunghissimi anni, consegnandolo al figlio poco prima della sua morte. La sua vicenda apre alla conoscenza della deportazione per lavoro coatto praticata massicciamente dai nazisti in tutta Europa, subita in forma rilevante anche da uomini e donne italiane, a cui la storiografia ha da poco iniziato a rivolgere la sua attenzione, infatti la ricerca nazionale avviata nel 2006 dall’Aned sotto la guida di Brunello Mantelli non è ancora stata pubblicata.
La prima presentazione del libro è avvenuta il 25 aprile a Chiaravalle, dove il Comune e l’Anpi hanno dato un riconoscimento agli eredi di Magda, Giorgio e Giacinto Minciotti e della loro sorella Agnese Lapini, le cui storie dimenticate sono tornate il luce grazie alla mia ricerca.
Si tratta di un volume che unisce memoria e storia; è composto da una introduzione in cui vengono esplicitate le modalità di realizzazione e le riflessioni teoriche che hanno guidato il lavoro; dal diario inedito di Magda Minciotti; da un saggio che ricostruisce la biografica della protagonista e il contesto storico in cui si è sviluppata la sua vicenda.
Attraverso una storia individuale si realizza un approccio meno astratto ai grandi eventi storici della storia collettiva che hanno segnato il secolo scorso, ma rimangono ancora poco conosciuti.
Il testo supera lo schema dei generi letterari, presta attenzione alla qualità della scrittura ed è adatto anche ad un incontro con le nuove generazioni.
SINOSSI È venuto recentemente in luce un diario inedito, scritto da una ragazza quindicenne durante la sua deportazione in Germania per lavoro coatto durante la seconda guerra mondiale. Era stata arrestata per rappresaglia l’8 luglio 1944 dalle SS che ricercavano il fratello, comandante partigiano di una formazione Gap in provincia di Ancona, mentre le truppe tedesche si stavano ormai ritirando dalle Marche.
Studente ginnasiale, allenata a scrivere da una lunga pratica di cronache scolastiche, con una scrittura essenziale e limpida Magda Minciotti annotò i suoi stati d’animo e pensieri, alternandoli agli accadimenti durante le tappe di trasferimento in Italia e poi nei lager Siemens a Norimberga e a Bayreuth. La scrittura rivolta a sé era un modo per contrastare la solitudine e farsi coraggio, una strategia individuale di sopravvivenza, un mezzo per resistere ai processi di straniamento e di degradazione.
Nel diario possiamo trovare tracce di quanto segnala Carol Gilligan sullo sviluppo delle adolescenti: sebbene nei loro confronti la società eserciti pressione a disfarsi della loro voce autentica, le ragazze hanno più risorse per resistere rispetto ai ragazzi, per i quali il periodo di iniziazione al patriarcato avviene in età più precoce; così in loro possiamo cogliere sia la consapevolezza della richiesta di adeguamento sia la resistenza opposta.
Il diario di Magda Minciotti è un esempio di resilienza e di un percorso di crescita, durante il quale riesce a superare i momenti più difficili, tra cui la separazione da un fratello deportato con lei che, mandato a scavare trincee sul fronte occidentale per arrestare l’avanzata alleata, morirà di stenti.
Attraverso il diario e vari documenti custoditi dalla famiglia Minciotti (biglietti e lettere spedite clandestinamente durante la prigionia, certificato di idoneità al lavoro coatto, dichiarazioni di internati militari, fotografie) e altri documenti frutto di ricerca bibliografica e d‘archivio, l’autrice ricostruisce la storia di Magda inserendola nel contesto della lotta partigiana a Chiaravalle e nelle Marche, in cui tutta la sua famiglia fu coinvolta. Accompagna inoltre la protagonista nella vita vissuta nei lager gestiti dall’industria tedesca, che sfruttava il lavoro coatto, e sotto i bombardamenti che annientarono la città di Norimberga. La segue fino al ritorno in Italia dove la società manifestava indifferenza e diffidenza nei confronti dei deportati. Nel clima repressivo e regressivo degli anni Cinquanta, che tendeva a richiudere le donne nei ruoli tradizionali e considerava l’essere state in Germania un marchio d’infamia per le deportate, anche Magda, che pure nel diario aveva espresso più volte il desiderio di raccontare, scelse il silenzio e chiuse il diario in un cassetto.
La vicenda è anche inserita nel quadro della deportazione per lavoro coatto, con particolare attenzione alla deportazione che colpì migliaia di donne italiane, a cui la ricerca storica non si è fino ad ora interessata (su un totale stimato di 100 mila deportati per lavoro forzato, un decimo furono donne).
Il tentativo di lettura, pur nella consapevolezza delle differenziazioni esistenti all’interno del sistema concentrazionario nazista, è quello di non tenere separate le memorie delle deportate e dei deportati, ma di cogliere i tratti comuni alle varie deportazioni (politica, razziale, per lavoro coatto, per internamento militare), all’insegna del denominatore “ci portano via”.