Anna Achmàtova, poeta russa. Una rilettura
Molte volte la Russia, sotto i colpi della storia, si è chinata a raccogliere il canto dei poeti e delle poste. Molte volte i poeti e le poete si sono innalzati fino al cuore della Russia per ascoltarne il canto e ricantarlo.
E se altre testimonianze non esistessero, se la storia di quel paese non fosse nota, la poesia di Anna Achmàtova da sola basterebbe a rivelarci il susseguirsi degli avvenimenti, a consentirci di leggere, attraverso le emozioni e gli stati d’animo della poeta, le emozioni e gli stati d’animo del popolo russo, la sua storia fino a comprenderne il monito.
Anna Achmàtova nell’apparente serenità della Russia zarista, è poeta dal sussurro elegante, appena percettibile. Canta l’amore. Dell’amore i turbamenti e le inquietudini con versi nuovi, originali che incantano i salotti della buona borghesia intenta a galanterie prerivoluzionarie. Sera, Rosario, Stormo bianco, Piantaggine, Anno Domini MCMXX; le raccolte poetiche si succedono, ma già nei giardini di Mosca il suono delle orchestrine viene ricoperto dal tuono della prima guerra mondiale.
Subito dopo la rivoluzione devierà il corso di tutti i fiumi e la vita di Anna: come un fiume io/ fui deviata. La poesia si fa struggente, ma anche nella disperazione conserva la solennità che le è propria, la grazia dentro cui ogni dettaglio risalta di essenziale collocazione e ogni parola scaturisce da profondi movimenti interiori.
Venendo meno le condizioni della poesia d’amore, la poeta s’immerge nei bagliori sinistri della storia. Protagonista e testimone di eventi fondanti e ad un tempo sconvolgenti il paese, è essa stessa un pezzo di quella Russia che si contorceva sotto stivali insanguinati.
E i pesanti stivali dello stalinismo spingono Achmàtova nella folla dei perseguitati. Nel 1921 il poeta Gumilev, suo primo marito, era stato fucilato per attività controrivoluzionaria e nel 1938 l’unico figlio, sospettato di ostilità al regime, viene arrestato. Colpita nell’affetto più grande Anna si recherà ogni giorno al carcere delle Croci di Leningrado condividendo il calvario di una moltitudine di altre madri sovietiche: ci si levava come a una messa mattutina…Il poemetto Requiem è la testimonianza fedele di questo patimento.
Pur nel rifiuto di ogni concezione teologica del mondo, l’opera poetica procede secondo una linea narrativa volutamente evangelica suddivisa in vari temi che si snodano come “via crucis”. Questa scelta è la chiave per bene intendere il senso della tragedia achmatoviana che trascendendo i caratteri differenziali della propria soggettività assume, nel suo divenire, il carattere universale dell’umana sofferenza di grande valore epico se opportunamente storicizzato. Compiuto l’intero arco del dolore non le resta che il disincanto, il ricorso alla riflessione sostenuto dalla memoria di eventi già accaduti, perciò lontani.
Poema senza eroe, finalmente pubblicato nella versione integrale, rappresenta il segmento più maturo della prospettiva achmatoviana.
Le composizioni successive rifletteranno ancora lo sgomento per l’ondata di violenza nazista. Versi di incomparabile bellezza descriveranno il vento della guerra su Leningrado indifesa.
Con la liberazione del figlio e la morte di Stalin finirà l’incubo e Anna Achmàtova, dopo tanto dolore, potrà raccogliere il consenso del mondo. Anche l’Italia contribuirà a riconoscerne i meriti assegnandole, nel 1964, il premio internazionale Etna-Taormina.
L’ultimo suo tributo, Un serto ai morti, è dedicato agli amici e agli scrittori scomparsi, vittime delle persecuzioni. Ancora una volta la poeta torna a proporsi testimone di quella storia che procurandole dolore l’aveva resa tuttavia felice di essere vissuta in quegli anni e di aver assistito ad eventi sconvolgenti la propria vita e quella di interi popoli.
La sua poesia, che conosce il silenzio della contemplazione e il lampo improvviso della creazione, è il ritratto di una donna-poeta segnata, in entrambi i percorsi, dal proprio essere profondamente russa.