Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta ad oggi, un volume curato da Clotilde Barbarulli e Liana Borghia
–Articolo di Laura Marzi pubblicato preso dal sito della Società delle letterate–
Quante e quali sono le voci dei femminismi italiani? Nasceva da questa domanda il convegno che si è tenuto a Firenze nel dicembre 2014, organizzato dal Giardino dei Ciliegi e dalla SIL, e di cui il volume Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta ad oggi, a cura di Clotilde Barbarulli e Liana Borghi, raccoglie i contributi delle molte donne che hanno partecipato. E come accade con la scrittura, il testo ne testimonia la vitalità, e nello stesso tempo ne permette una rivisitazione riflessiva di grande interesse e valore.
Il volume raccoglie sedici contributi di donne di varia provenienza geografica e varia età, come vari sono i femminismi e la pratica politica: tutte hanno scritto intorno a un’unica domanda, quella di indagare nei propri archivi di sentimenti e culture femministe.
Molte si interrogano sul concetto stesso di archivio, sottolineano l’impossibilità di crearne uno esaustivo. Paola Di Cori fin dalle prime righe scrive di come gli archivi siano “imperfetti”, mentre Federica Paoli ne mette in rilievo la molteplicità, plurimi anche rispetto al supporto: audiocassette, appunti, riviste, etc. Della materialità dell’archivio Liana Borghi racconta invece altri aspetti, quando rievoca la scatola nera –perfetto oggetto metaforico –in cui, in un altro tempo della sua vita, si usava rinchiudere i rapporti finiti. Per Clotilde Barbarulli invece è lo stesso Giardino dei Ciliegi a prendere l’accezione di un grande archivio, mobile, vitale, plurale, in cui gli incontri di corpi ed emozioni hanno reso le cose reali, le fanno accadere. Un luogo di accoglienza di memorie varie in cui si incrociano, secondo ruoli imprevisti ed imprevedibili, donne di generazioni diverse.
Il confronto generazionale è un altro tema trasversale, nel volume. L’immagine indimenticabile delle “babbione rivoluzionarie”, “vecchie ragazze dissidenti” di Barbarulli rinvia in qualche modo al desiderio della “casa delle vecchiette” di cui scrive Sara Catania Fichera, citando un suo dialogo con Emma Baeri. Ma il tema attraversa molti dei saggi. Paola Di Cori lo connota con la parola “asincronie” esprimendo anche il desiderio che si realizzi la possibilità di una condivisione di referenze comuni. Barbara B. Romagnoli lo affronta attraverso la sua analisi delle militanze femministe di ieri e di oggi, le pratiche di condivisione che le caratterizzano, come quelle inconciliabili. Anna Scattigno racconta questa inconciliabilità attraverso l’elaborazione avvenuta nel percorso della Scuola Estiva delle Storiche con il rifiuto del concetto di trasmissione, rifiuto che si è rivelato transgenerazionale. E si fa notare la schiettezza ed il pragmatismo di Anna Picciolini, che racconta come nella redazione de Il Paese delle donne il conflitto fra donne di generazioni diverse si innescò irrimediabile quando le più giovani manifestarono il loro desiderio che quel giornalismo diventasse lavoro retribuito, mentre per “le più grandi” si trattava sempre e solo di militanza. Infine, nella restituzione di Alessia Acquistapace di una parte dell’esperienza dei workshop, appare chiaro che questo conflitto passa anche attraverso la dolorosa divisione fra le più giovani precarie e molte donne più adulte che hanno avuto accesso a contratti più garantiti. Un conflitto che Acquistapace definisce “pernicioso”, nonché una trappola del capitalismo cognitivo post-fordista, dato che “qualunque lavoro, nel capitalismo, è sempre – in misura maggiore o minore – estorto, espropriato, sfruttato”.
Questo approccio fortemente militante è presente anche nel contributo di Pamela Marelli che con estrema limpidezza propone pezzi dei suoi archivi della pratica femminista, citando l’importanza di Raccontarsi, il convegno che diede corpo a relazioni proficue e longeve, ma anche il suo attivismo nella questione migratoria, a Brescia, come a Lampedusa. L’isola è citata anche da Lisa Marchi che nella sua analisi dell’accezione resistente della pazienza nomina l’attesa dei rifugiati. E la questione della immigrazione risuona forte nel testo di Joan Anim-Addo che scrive: “io sono una immigrante” e ci racconta senza dirlo di come questa sua verità sia alla base della creazione di Imoinda, “progetto artistico” che citando una lettura critica di Serena Guarracino, Anim-Addo dice essere: “di per sé una sfida al mondo”.
Va precisato che, anche nei testi in cui il cuore della memoria non è solo quello dell’attivismo in associazioni, resta trasversale il sostrato della politica femminista. Succede con Emma Baeri, che racconta “a partire da sé” la sua esperienza di “impostorica” e le scelte politiche decretate dalla sua non adesione al “patriarchivio” per citare Derrida, citato a sua volta da Paola di Cori. Mirabile è anche il passaggio di piani di cui è capace Sara Catania Fichera quando racconta dell’esperienza della figlia Zoe nata morta e di un aborto, riportando queste tragedie personali al dato sociale della rimozione della morte e del “tabù” della morte perinatale. Questa stessa chiarezza del nesso tutto femminista “il personale è politico” è propria del contributo di Elena Biagini, che a partire dal suo lesbismo affronta tematiche di politica attuale, come il posizionamento problematico dei gruppi lgbtqi, e di storia dei femminismi, sottolineando la prorompenza illuminante del lesbismo nel dimostrare come “non si può parlare di donna al singolare” e di come all’origine dell’intersezionalità “antelitteram” ci siano stati anche i femminismi lesbo. Piera Zani racconta dall’interno esperienze di militanza lesbo, attraverso il suo ripercorrere archivi personali e ponendo al contempo questioni cruciali come l’esistenza di una “terra di mezzo tra la discoteca e l’Accademia” da abitare, nonché il ruolo controverso, ineludibile e sovrano dell’Eros nella vita dei gruppi.
Infine, come molte autrici ricordano, gli archivi dei sentimenti raccontano memorie diverse, perché diverse e molteplici ne sono le possibili narrazioni. Si tratta di un dato evidente in questo volume e di un grande motivo di ricchezza che si manifesta, per esempio, nel contributo di Chiara Martucci, che attraverso un succedersi di slide ci mostra e ci fa comprendere con semplicità questioni enormi, relative alla cittadinanza a “come cambia l’accesso ai diritti di cittadinanza in relazione al mutare tra le variabili di sesso, genere, classe, razza, età, salute e orientamento sessuale”. Le differenze fra le narrazioni hanno anche una componente stilistica, però, che va evidenziata, perché questi passaggi continui tra scritture più accademiche o fanta/scientifiche, tra metafore nitide della vita quotidiana e resoconti pragmatici di esperienze di pratica e di vita, sollecitano l’interesse della lettrice, ne destano l’attenzione. Usando una espressione di Barbara B. Romagnoli, si tratta di un “parlare al plurale”, proprio agli archivi di tutti i femminismi.
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