Arte poetica che ci fa scoprire e riscoprire ogni volta come sia fitto, gremito e pieno di valori il mondo delle donne.
Rilucenti e dense, le poesie di Flavia Novelli, si disseminano in un pometto di versi in apparenza senza titoli definiti, con punteggiatura volutamente inesistente, scritti in un infinito fiume in piena, prosciugato con parole, scelte senza nessuna casualità.
“Il mondo ci vola addosso” diceva in un suo verso la poeta Rossana Ombres. Le zone più
autentiche della scrittura della Novelli nascono dall’impatto continuo con le sue ombre e luci in un mondo che si perde e sembra non più raccoglierci e comprenderci. Nel lessico usato nel libro, l’autrice fa dire alle parole quello che in genere non dicono mai: tutto il dolore, lo stupore, lo smarrimento, gli intimi o collettivi drammi, i fugaci piaceri, tutti controversi compagni come Universi, che riempiono o svuotano il quotidiano vivere.
Nell’antro più interno dell’anima albergano le origini delle cose, molto prima della loro
visibilità, risiedono le emozioni e le sensibilità. Potremmo dire che averle “È un dono di
Mnemosine, Madre delle Muse” (Platone). La poeta, nelle liriche, accarezza o morde la sua partitura poeta come nelle note musicali. Scopriamo così, leggendo … Unici versi femminili, una vena narrativa di donna, in un canto quasi prosastico che trova però, nel ritmo pungente del verso, quella intensità espressiva ed al contempo ricchezza emotiva che la rendono, riscattandola, vera arte poetica. Arte poetica che ci fa scoprire e riscoprire ogni volta come sia fitto, gremito e pieno di valori il mondo delle donne.
“Lui danza tra i martoriati sensi stordito ma incolume i tuoi lamenti non sente Danza e si diverte nel vederti persa…”, dice Flavia con voce quasi strozzata ma ferma. La voce della poesia descrive bene la progressiva perdita della dignità di donna, incenerita e soppressa in una “soffocante stanza” da dove non riesce ad uscire, incatenata in un amore inesistente o peggio, in un disamore oppressivo e violento.
La bella e vera poesia può aiutare a “schierarsi” contro una molteplice schiera di ingiustizie, senza restare imbrigliati nei propri pensieri o ideologismi, senza scordare mai la “bellezza” che pure esiste. Anche per Flavia scrivere è partire dalla propria condizione impari di donna, è visione dell’universo, in cui si riflettono migliaia di universi femminili in un pianeta tutto al maschile.
Scrivendo si compongono paradigmi culturali e, più semplicemente, si cerca di ricomporre le
proprie vite, solitarie, scomposte, devastate.
UNIVERSIFEMMINILI sembra essere il tentativo di rompere il muro di una solitudine, di una
disperazione, accompagnate da indignazione e speranza, senza lamentazioni dentro una strenua difesa della propria identità e voglia di vivere.
Dice la scrittrice “La delusione è fra i dolori il più triste quello contro cui sei disarmata” …e ancora “anche il tuo cuore invecchia sotto i colpi del troppo tempo consumato lo sguardo è gonfio di passato e vuoto di futuro”.
Parole alte e altre che conducono in un “altrove” dentro noi e fuori.
Parole che trasudano emozioni forti Il futuro è un tempo che non riusciamo più ad immaginare e vedere davanti a noi, se mai ci siamo riusciti, perché l’oggi dilata e scompiglia, distruggendole, tutte le nostre storie vitali, chiudendole a doppia mandata nel mondo della memoria o del buio.
Il libro di Flavia Novelli scava nei luoghi interiori dell’anima nel suo “versare”, non
depositandosi come ossi di seppia, spesso riempendo la pagina con mutamenti di stile, con troppe ansie anticipatorie di ombre e dèmoni, non lasciando quasi intravedere vie di uscita, ma inesorabilmente vera, consapevole di essere donna e poeta, lasciando tracce pregne e palpabili, non usando indistinte vocali e consonanti che restano non in un indistinto passaggio ma in una “stanza” interiore intoccabile. “Siamo tutti figli di un ventre di donna fecondato per amore o per voglia dentro un corpo di donna…”. Le ultime sillogi riguardano storie immaginate o vere di donne a cui Flavia dà anche un nome. Donne vissute in un mare di sopraffazioni e scherni e che lei chiama Sorelle. Sorelle come tutte le poesie del suo Universo, piene di coraggio, dubbi, sensi e non sensi che segnano il percorso di ogni esistenza.Poesie che parlano della vita, dei problemi e della forza delle donne, di stereotipi di genere, di amori malati, di violenza e femminicidio, di donne migranti.
INTERVISTA ALL’AUTRICE
Come è nata l’idea di questo libro?
L’Universo femminile è spesso al centro delle mie poesie, ma la spinta decisiva a realizzare una silloge che ne parlasse in modo esclusivo è venuta a seguito di un’esperienza molto forte vissuta nel 2018, quando sono stata selezionata (tramite bando nazionale) per prendere parte al progetto “REFEST – Images and Words on Refugees Routes” (Immagini e Parole sui Percorsi dei Rifugiati)” co-finanziato dall’Unione Europea all’interno del programma “Europa Creativa”. Un progetto che aveva come obiettivo quello di raccontare e documentare, attraverso la fotografia, l’illustrazione e la poesia, le storie e i percorsi dei rifugiati, grazie al lavoro di 32 artisti provenienti da quattro paesi europei. La residenza artistica a cui ho partecipato mi ha dato l’opportunità di vivere una settimana a stretto contatto con donne migranti e rifugiate, le cui storie ho sentito il bisogno di raccontare in versi, intrecciandole con altre storie di vita, violenze e coraggio che riguardano le donne tutte.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portare a termine il progetto è stato inaspettatamente semplice. Avevo letto della recente nascita di una nuova collana editoriale dedicata alla scrittura delle donne (“Le Ginestre” – Herald Editore), così ho inviato il manoscritto alla curatrice, sinceramente senza troppe aspettative. Invece, dopo pochi giorni ho ricevuto la telefonata di Gina di Francesco la quale mi diceva di essere rimasta molto colpita da quel che aveva letto e di voler pubblicare il mio libro.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei primi amori, in campo poetico sono stati Pessoa, Neruda, Hikmet, Edgar Lee Masters, Hesse, Prevert, Rimbaud, Garcia Lorca, Nizar Qabbani… Negli anni mi sono poi avvicinata sempre più alla poesia delle donne, in particolare a quella di Blaga Nikolova Dimitrova, Maram Al Masri, Marina Ivanovna Cvetaeva, Nina Cassian, Sylvia Plath, Anne Sexton Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Alda Merini … l’elenco è lungo. Più che di autori/autrici di riferimento, parlerei però di un generi di poesia di riferimento o comunque nei quali mi riconosco: la “poesia confessionale” (la mia prima raccolta, “Vennero i giorni”, edizioni Progetto Cultura, è una sorta di “diario poetico” molto intimo) e la “poesia civile”, a cui quest’ultimo mio libro si avvicina. Potrà sembrare strano riconoscersi in due forme di espressione poetica considerate così distanti. Non penso lo sia, perché secondo me la poesia ha due grandi poteri, apparentemente in contrasto fra loro: quello di farti sprofondare dentro te stessa, costringendoti a mostrare nuda la tua anima, e quello di spingerti fuori da te per vivere le vite degli altri, per sentire l’altrui sentire. E credo che chi utilizza la poesia per comunicare non possa, soprattutto in questo momento storico, esimersi dal denunciare le tragedie dell’umanità.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Anche se sono nata in un piccolo paese del Friuli Venezia Giulia, al confine con l’Austria e la Slovenia, vivo da sempre a Roma, città nei confronti della quale nutro sentimenti contrastanti di amore e odio.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In primavera dovrebbe uscire una mia nuova raccolta per la casa editrice Montag, di Tolentino, alla quale avevo inviato alcune poesie per un concorso letterario. Il concorso non l’ho vinto ma, a distanza di qualche mese, mi hanno contattato per dirmi che comunque le poesie erano piaciute e intendevano pubblicarle. Quindi, mai scoraggiarsi!