Autocomunichiamo la Nostra Manifestazione
È la società dello spettacolo che tende a rendere patinata anche la più lucida delle realtà. Per questo, il tentativo di spettacolarizzazione da parte dei mass media della Manifestazione Nazionale del 24 novembre ha prodotto immagini fittizie di quelle donne che in corteo si riversavano per le strade di Roma…È la società dello spettacolo che tende a rendere patinata anche la più lucida delle realtà. Per questo, il tentativo di spettacolarizzazione da parte dei mass media della Manifestazione Nazionale del 24 novembre ha prodotto immagini fittizie di quelle donne che in corteo si riversavano per le strade di Roma, non ritraendone le mille sfumature dei loro colori, ma cristallizzandole in un format giornalistico predefinito.
La logica con cui agli occhi del pubblico italiano è stata presentata la manifestazione è basata su tre issues principali, tre stelle polari inseguite perennemente dai mezzi di comunicazione di massa: potere, pettegolezzo e polemica. Cercando di soddisfare {{la fame di sensazionalismo}} nulla è stato detto sulla complessità e la profondità dei messaggi comunicati dalle manifestanti nella significatività di quella giornata.
La luce dei riflettori non è stata puntata sulle organizzatrici del corteo, sulle donne che si tenevano per mano, sulla folla danzante o sugli striscioni scritti a mano dai gruppi auto-organizzati, né sui temi o i modi con cui si è voluta urlare la propria rabbia e cantare la gioia di essere lì tutte assieme. Si è cercato di diffondere immagini di donne “aggressive”, che inveivano, contro altre donne solidali con loro(?), si ribellavano al sistema televisivo, che magnanimamente offriva loro visibilità (?), femministe della vecchia guardia, anacronistiche e inacidite che sputavano sul piatto offerto loro da tutti gli uomini di buona volontà che volevano prenderle per mano nel corteo (?).
Questo è ciò che la tv e i giornali hanno detto e mostrato di quella manifestazione. Di fronte a questo show è giunto il momento di dire “No”. No, al tentativo paternalista delle telecamere di offrirci una golosa opportunità di raggiungere le case di milioni di persone, per, invece, poi montare un servizio nella logica dello scoop sulle streghe degli anni Settanta, che all’improvviso si risvegliano dal letargo e si accapigliano con quelle che per passare al di là della barricata gli anni Settanta li hanno rinnegati. Servizi basati sull’incoerenza delle donne che mentre condannano la violenza maschile sfociano anche loro nella violenza e si rifiutano di dialogare con l’altra metà del cielo, quella azzurra, così ben disposta verso il loro corteo.
Le donne che hanno partecipato a quel corteo dicono {{“Basta” a questa mistificazione}}.Opponendosi a questa indebita appropriazione di tutto ciò che invece è stata la vera manifestazione, su altri mezzi di comunicazione, quelli di chi la manifestazione l’ha fatta, si è detto che quella veicolata dai mass media di serie “A” non era la Manifestazione Nazionale contro la violenza maschile sulle donne, ma ciò che è convenuto mostrare di quella Manifestazione, che si è voluto estrapolare per non incidere più di tanto sull’immaginario collettivo, non turbare il quieto vivere e non mettere in dubbio il famoso pacchetto sicurezza, ad esempio.
“{{Se la violenza è sotto al tetto che ce famo col pacchetto}}”. Questo c’era scritto sulle spalle di una ragazza che manifestava, ma questo non è stato detto, né ripreso. Non c’è stato il coraggio o semplicemente la necessità di mettere in discussione le ragioni del potere patriarcale.
Per fortuna, in altre sedi, alla luce di riflettori meno abbaglianti di quelli della televisione italiana o delle maggiori testate giornalistiche, molte donne sono intervenute in un interessante dibattito sul senso di una scelta separatista, sulla modalità non da tutte condivisa di allontanare le rappresentanti delle istituzioni, sulla necessità dell’occupazione del palco televisivo e sul significato del/dei movimento/i femminista/i. Grazie a tutte.
Il problema è che i mezzi di comunicazione mainstream hanno raggiunto in maniera più invasiva e capillare tantissimi cervelli che non hanno avuto modo di leggere nulla degli interventi siti su questo o altri giornali di donne, che hanno fatto un bilancio esaustivo sulla manifestazione del 24 novembre. Dal giorno della manifestazione ad oggi ho raccolto pareri e opinioni da gente comune, gente che non è venuta alla manifestazione, uomini e donne che non leggono “Il Paese delle donne”, persone che hanno lasciato cadere un commento sul tema, sapendo che io avevo partecipato alla manifestazione, persone che hanno visto un telegiornale e si sono fatte una loro idea del corteo, legata all’immagine veicolata dai mass media.
Quello che è stato triste, più di ogni altra cosa è stato sentire alcune giovani donne, istruite, sensibili e anche di sinistra dire cose come: “Secondo me le femministe sono rimaste ancora agli anni Settanta, ormai non ha più senso parlare di violenza maschile sulle donne. “Tutti” possono subire violenze e intimidazioni cosa c’entra il sesso?”. E’ quel “tutti” generalizzato che mi ha fatto più paura.
Davanti a queste osservazioni, una persone sensibile alle questioni di genere, che ha abbracciato un certo tipo di pensiero femminista direbbe che non vale la pena controbattere a un’osservazione di un tale livello di qualunquismo. Eppure, questo è anche il frutto dell’esposizione ai mezzi di comunicazione, dell’oblio presente nei libri di testo, universitari e scolastici, rispetto alla storia delle donne o alle problematiche sollevate dal femminismo, della cultura dominante che con la sua pretesa universalità fagocita qualsiasi tipo di pensiero critico. Per questo davanti a queste osservazioni, ho cercato di esporre il mio punto di vista e ho spiegato quelle che, a mio avviso, sono state le ragioni che hanno spinto le manifestanti a inveire contro le ministre e le rappresentanti istituzionali e a chiedere agli uomini di non ergersi, almeno in quella occasione, a paladini della giustizia nei confronti delle donne vittime di violenza. L’ho fatto, pur essendo stanca di sfatare luoghi comuni sulle femministe ed essendo tentata di parlare “solo con donne” nell’accezione lonziana del termine.
{{Ho parlato della manifestazione}} con uomini e donne, sul posto di lavoro, in famiglia e al pub con amici e amiche. Ho parlato di cose di cui giornali e televisione non parlano, perché la comunicazione passa anche da qui.
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