Baby gang, Maria Franco, insegnante del carcere minorile: “Si sentono invisibili” usano la violenza come identità.
Maria Franco, che da oltre 30 anni insegna a Nisida, non nasconde la sua preoccupazione: “Per questi adolescenti è insopportabile sostenere uno sguardo. Lo percepiscono come una provocazione che giustifica le coltellate. La reazione di chi si sente, in realtà, invisibile e ha come unico valore il potere”
“Sono ragazzi senza punti di riferimento, il loro unico valore è il potere, ossia essere ritenuto il più forte dagli amici e dalle ragazze”. Maria Franco da oltre trent’anni insegna italiano, storia, educazione civica e geografia all’istituto penale per minori di Nisida. Nel 2017 ha vinto l’Italian Teacher Prize, il Premio Nazionale degli Insegnanti riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione. Ha conosciuto decine di ragazzi finiti in carcere ancora minorenni per reati gravi. Non nasconde la sua preoccupazione per come stanno andando le cose a Napoli. “I mass media si sono accorti ora che esistono episodi di violenza gratuita, ma i ragazzi mi raccontano che ogni giorno ci sono giovanissimi che si accoltellano. E che molti non denunciano”
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Nei giorni scorsi, Maria Franco ha pubblicato, sul suo blog Conchigliette, un post in cui racconta come per questi adolescenti sia insopportabile sostenere uno sguardo. Lo percepiscono “come un’insostenibile provocazione: qualcosa che giustifica non solo la reazione verbale, la lite, ma, appena possibile, la coltellata: anzi, le coltellate: un’offesa da lavare (e levare) col sangue”. Da cosa nasce questo atteggiamento violento? “Mi sembra la reazione di chi si sente, in realtà, invisibile e ha il terrore che qualcuno penetri la sua nudità, di chi non ha una pelle che lo difenda dal mondo. Una pelle fatta da un ambiente mediamente sano e, soprattutto, da una famiglia, per parafrasare Winnicott, sufficientemente buona. Chi non si sente amorevolmente visto, chi non ha reti che lo sostengano e punti di riferimento cui ancorarsi, risponde (può rispondere) cercando un’identità nella violenza, considerata come la propria forza: così tutti potranno vedere quanto è potente, quanto è grande”.
“Spesso i ragazzi mi dicono che ciò che conta è avere i soldi, la Porsche – racconta a Redattore sociale -. Non riconoscono nessuna autorità, non solo lo Stato ma neanche la camorra. C’è uno stile di vita quasi anarcoide. Ciò che conta è farsi vedere. La scuola per loro è qualcosa di cui non capiscono il senso, perché non dà denaro né potere. E qui a Nisida arrivano ragazzini che hanno assorbito il clima di violenza e di frantumazione dell’ambiente in cui sono cresciuti”. Sono ragazzi senza vincoli. “Non si sentono né italiani e neanche napoletani anche se le loro famigli risiedono a Napoli da generazioni – aggiunge Maria Franco -. Si identificano solo con il rione e con il loro gruppo di amici”. Il problema è quindi l’ambiente in cui crescono. “Hanno alle spalle famiglie disastrate, anche se non necessariamente delinquenziali. Hanno genitori incapaci di svolgere il loro ruolo e questi ragazzi crescono in strada”.
Che cosa si può fare per fermare il clima di violenza e aiutare questi ragazzini? “A Napoli ci sono tantissime realtà di volontariato che fanno cose egregie e bellissime -sottolinea Maria Franco –. Manca però la capacità di fare sistema. Scuole, parrocchie e istituzioni devono lavorare insieme per supportare queste famiglie. Ci vuole un progetto politico e sociale forte, che arrivi a intercettare anche quelle famiglie e quei ragazzi che altrimenti mai verranno a chiedere aiuto”. (dp)