“Basta lacrime. Storia politica di una femminista 1995 – 2000” di Alessandra Bocchetti
“Basta lacrime” raccoglie lettere, articoli, interventi e saggi prodotti da Alessandra Bocchetti dal 1995 al 2020, scritti nei quali il femminismo della differenza si rivela filosofia, visione del mondo, politica, pratica quotidiana e stile di vita.
Secondo l’autrice, si tratta di “testi sparsi” ma il percorso che rivelano è piuttosto robusto e coerente, anche se non immobile. In questo libro si mostra il maturare progressivo di un’idea forse presente sin dall’inizio del percorso.
Già dai testi scritti durante l’esperienza del collettivo femminista Studio Ripetta (1975) e del Centro Virginia Wolf (1978), emerge la dialettica tra due civiltà: quella manifesta degli uomini, essenzialmente basata su forza, potere e denaro; e quella segreta delle donne, fatta di cure, attenzione e compassione; “civiltà segreta” senza la quale, tuttavia, anche quella degli uomini sarebbe sparita dalla faccia della terra, e la terra stessa sarebbe andata in rovina. Quella dialettica si mantiene ancora oggi, il tempo di “Mentre il cielo si sta annuvolando” (invito di Bocchetti e Franca Chiaromonte ad una riflessione di sole donne tenutasi a Roma, presso il Cinema Farnese, il 22/23 ottobre 2022). Emerge oggi l’urgenza di un cambio di civiltà, un cambio che solo un femminismo “unitario” – senza le divisioni tra le molteplici e apparentemente moderne declinazioni – potrà realizzare.
Le oltre 290 pagine di “Basta lacrime” si possono leggere alla luce del rapporto intercorso, in 25 anni, tra il femminismo e il movimento delle donne da un lato e la politica formalizzata, partitica e istituzionale dall’altro. Emergono forse più contraddizioni e difficoltà, compresi gli snaturamenti nati dal confronto con opinione pubblica e cultura di massa, che progressi. Tuttavia, in questa dialettica, talvolta a tinte fosche, si coglie sempre il fil rouge della profonda convinzione di Bocchetti: il cambio di civiltà, nonostante la forte resistenza della civiltà maschile dominante, è non solo possibile, ma necessario, urgente e anche “felice”. “Questi scritti – dice Bocchetti – restano per testimoniare la coscienza che bisogna essere instancabili per un compito tanto felice”. D’altronde, senza le contraddizioni e i fallimenti del confronto col reale, senza guardare in faccia il negativo, non si può fare spazio al nuovo. E trarre, dal negativo, la spinta a cambiare.
Un esempio è l’elogio della debolezza. Non è vero, dice Bocchetti, che le donne non sono capaci di violenza. Certo, “non hanno la violenza necessaria alla guerra, quella no, non sanno odiare chi non conoscono bene…” e, anzi, ascoltando i racconti di guerra delle donne che la guerra l’hanno fatta veramente, “si sente come un pudore delle loro parole, uno smarrimento” (il riferimento è, evidentemente, alle donne della Resistenza). La debolezza ci rende simili, ma “può essere una risorsa e un’opportunità”.
Un altro tema, ben più complesso, è quello del confronto tra potere maschile e autorità femminile. Si tratta di un confronto che porta a riflettere sul sé, sulle relazioni, sul mondo e, come sempre, sulla politica (sebbene quest’ultima, nel comune sentire, offra oggi sempre meno spazio per riflessioni appassionate). Tra la fine del ‘900 e l’inizio del nuovo millennio, periodo di “vuoto di idee politiche” e “perdita di una certa libertà di parlare”, dice Bocchetti, è stato possibile “pensare all’idea di autorità femminile, all’idea del nutrimento del simbolico, idee che hanno decisamente cambiato la vita a tante di noi e che ci hanno fatto vedere la realtà da un punto di vista diverso”, producendo un “grande guadagno”.
Non c’è dubbio che il femminismo della differenza abbia prodotto uno sguardo diverso, una lettura altra. Ha permesso di fare teoria “sulla madre, sui figli, sull’amore materno, sul lavoro casalingo, sui nostri desideri, sulla sessualità, sulla violenza”, concetti che possono fare da pilastro alla costruzione della nostra libertà, basata anche sul ”pensare, giudicare, prendere le distanze, riconoscere la violenza, cercare il nostro bene”. Tutto ciò in contrapposizione a quel potere che nel frattempo “non sta perdendo la sua natura simbolica”. Anzi, occorre stare in guardia non solo di fronte alla prevaricazione del potere maschile, ma anche al rischio dello snaturarsi dell’identità femminile. La rivendicazione dell’uguaglianza e della parità possono trasformarsi in una trappola: la donna “otterrà [pure] un posto sociale e culturale, ma spesso al prezzo di conformarsi a norme e valori che non le sono propri” (è questo il timore di Luce Irigaray). A che serve, infatti, cercare disperatamente di prendere la parola, con quote o senza, in politica e nei luoghi di potere, se poi tocca sempre parlare una lingua che non è femminile; e dire cose che favoriranno il permanere delle donne in una zona di confino?
D’altra parte, il solo provare a non sottostare al potere e all’egemonia maschile scatena, ovviamente da parte maschile, una forte violenza. Si dirà: ma la violenza degli uomini sulle donne è antica; la si ritrova nei racconti delle origini, nella mitologia, nelle religioni, nell’arte, nell’ordinamento dello Stato, nei criteri di valore che una società si dà. La stessa Bocchetti ricorda che “Giove è uno stupratore”; così come “lo stupro in guerra è un’azione consentita o addirittura prescritta” (come dimenticare gli stupri etnici perpetrati pochi anni fa durante la guerra nell’ex-Jugoslavia, all’interno della civile Europa?). Tra l’altro “in ogni violenza che le donne subiscono è presente una forza impersonale che è al di là delle persone, una forza che segna profondamente il rapporto tra donne e uomini. Questo impersonale è causa per le donne di quel dolore speciale e segreto […] che tutte noi proviamo alla notizia di una donna stuprata, malmenata o uccisa”. Un “dolore speciale” che non deve però scivolare in autocommiserazione, che va trasformato: è tempo di trasformare “la miseria delle nostre paure, delle nostre incertezze, del poco coraggio, la miseria di sentirsi senza autorità”, di confondere “l’identità della donna con l’identità della vittima”. Prendere nelle proprie mani la propria forza e farla agire è un compito che non va delegato alle istituzioni o alla politica, spetta ad ogni donna: fronteggiare la violenza materiale e simbolica educando le donne, fin da bambine, “alla dignità, saper raccontare loro la storia del mondo attraverso l’esperienza delle donne e […] imparare ad essere orgogliose di questa esperienza”, riconoscendo “nella fatica delle donne una grande opera di civiltà”. Bisogna “tenersi lontane dal vittimismo e da quello che il vittimismo può suggerire” e “lavorare alla propria felicità”. Basta lacrime, dunque.
Nel volume di Bocchetti c’è ancora molto altro. Ad esempio, il ricordo della manifestazione contro la violenza del 13 febbraio 2011, evento inaspettato e grandioso. C’è il tema della gravidanza e del potere maschile che ancora oggi “cancella il valore della madre” e addirittura chiede alla donna di essere un docile contenitore per altri. C’è infine il coronavirus, la pandemia. “È la fragilità la grande e ultima verità sulla condizione umana, le donne l’hanno sempre saputo per esperienza”. Di fronte alla fragilità e al bisogno di attenzione, cura ed amore, tramonterà finalmente la civiltà della forza? Prevarrà, finalmente, la società delle estranee di Virginia Woolf? Bisogna tornare estranee per cambiare il mondo?
In conclusione, mi permetto di offrire ad Alessandra Bocchetti le mie tre ghinee: la prima per il libro stesso, e per il coraggio di mettersi ancora in gioco; la seconda per la coerenza nel ricercare nuove parole che ci permettano di raccontare una storia nuova; la terza per la convinzione che la politica, quella delle femministe della differenza, ci consentirà di dare vita a una storia nuova. Tre ghinee per una sola causa: quella della libertà femminile.
Alessandra Bocchetti, Basta lacrime. Storia politica di una femminista. 1995-2020, Milano, Vanda Edizioni, 2022
“Basta lacrime. Storia politica di una femminista 1995 – 2000” sarà presentato a Napoli giovedì 26 gennaio, alle ore 16.30, all’Istituto italiano per gli studi filosofici (via Monte di Dio, 14 – Napoli).