BERLINO – Il 15 gennaio del 1919 veniva uccisa Rosa Luxemburg
— Fra il 15 e il 16 gennaio 1919 i corpi speciali del ministro dell’Interno tedesco, il socialdemocratico Noske, repressero nel sangue la rivolta spartachista di Berlino e assassinarono i due principali esponenti del Partito Comunista Tedesco: Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
A novantanove anni di distanza da quel tragico episodio, che segnò un punto fondamentale nella storia del movimento operaio occidentale, il pensiero di Rosa Luxemburg – al quale dedichiamo questo intervento sicuramente incompleto – rimane uno dei punti di studio fondamentali per comprendere il pensiero “critico” del comunismo dell’epoca delle rivoluzioni e dei grandi partiti di massa.
Si trattò di un vero e proprio “momento di rottura”.
Rosa Luxemburg prese politicamente coscienza all’interno della socialdemocrazia tedesca, ma presto si pose in una posizione critica con quel “revisionismo”, che è stato storicamente proiettato sulla figura di Bernstein. In quel momento Rosa Luxemburg si collocò in una posizione comune con Kautsky, al riguardo del quale però condivideva solo formalmente la concezione della dialettica tra riforme e rivoluzione.
Dall’analisi dell’esito della rivoluzione russa del 1905 Rosa Luxemburg trasse più ampie conseguenze per la ridefinizione del processo rivoluzionario nell’Europa Occidentale. Ma la svolta maggiormente decisiva nel rapporto fra Rosa Luxemburg e la socialdemocrazia tedesca (cui essa guardava comunque, come del resto lo stesso Lenin, con ammirazione in quanto forza teorico-organizzativa di fondamentale importanza per il proletariato internazionale) fu determinata dalla posizione assunta dell’SPD nel decisivo frangente dello scoppio della prima guerra mondiale, con la pronta conversione del partito – nonostante tutte le dichiarazioni d’impegno contro la guerra fatte sul piano internazionale – a una politica imperialistica di tregua parlamentare. Rosa Luxemburg espresse, con grande amarezza, tutta la propria disillusione allorquando la maggioranza del gruppo parlamentare votò il 4 agosto 1914 la concessione dei crediti di guerra al governo del Kaiser.
E’ la guerra che dimostra il fallimento della socialdemocrazia su un punto di principio sino ad allora considerato inviolabile: l’internazionalismo proletario. Forse proprio in quel momento apparve finalmente chiaro a Rosa Luxemburg che quel partito – tanto rapidamente sottrattosi ai propri solenni impegni nei confronti della classe operaia degli altri Paesi e integratosi in quel sistema imperialistico di relazioni interstatali, sino all’ultimo combattuto al prezzo di numerose vittime – non sarà in grado di condurre all’interno della propria società una lotta conseguente per la trasformazione rivoluzionaria. Chi è venuto meno agli impegni internazionali ha insieme perduto l’intima forza per far fronte agli impegni nazionali.
A quel punto l’attività politica di Rosa Luxemburg si concentrò nell’opposizione alla guerra, poiché riteneva che qualunque esito militare si verificasse essa rappresentava comunque la maggiore sconfitta concepibile per il proletariato europeo. Muovendo da queste considerazioni Rosa Luxemburg si adoperò allora per sviluppare alternative organizzative alla socialdemocrazia, venuta meno ai suoi compiti essenziali. Si dovevano dunque riunire e mobilitare tutte le forze in grado di spezzare l’accecamento nazionalistico della pretesa guerra difensiva e trasformarla in una guerra di classe.
Rosa Luxemburg era ben consapevole che, con la fine della guerra, una crisi nazionale globale avrebbe sconvolto le istituzioni politiche e l’egemonia borghese, cosicché, al momento decisivo, sarebbe stato di fondamentale importanza contrapporre alla corrotta socialdemocrazia un’alternativa organizzativa per la presa del potere.
Più d’ogni altro, Rosa Luxemburg è apparsa cosciente della violenta frattura storica rappresentata dalla prima guerra mondiale. Essa considerava la rivoluzione non come una concezione meramente programmatica nell’interesse dell’emancipazione di una singola classe, ma come necessità esistenziale per l’autoconservazione dell’umanità.
Il termine Menschheit (Umanità) sempre ricorrente nei suoi discorsi non rappresentava una pura metafora ma l’essenza di ciò che le appariva storicamente inalienabile e cercò di dimostrarlo anche nel testo del discorso pronunciato al congresso di fondazione del KPD nel dicembre del 1918.
Nella “rivoluzione tedesca” del novembre 1918 le apparve evidente che nulla di decisivo era stato modificato nei rapporti di classe esistenti. I rappresentanti di quella “rivoluzione” erano così intimamente compromessi con il corrotto sistema dominante e con le sopravvissute forze politico-militari che la strada del parlamentarismo, imboccata dall’Assemblea nazionale, doveva necessariamente condurre alla conservazione di quello status quo da cui i vecchi poteri sarebbero usciti alla fine vittoriosi. Ben presto Rosa Luxemburg comprese che il governo Ebert-Scheidemann sarebbe stato in grado di agire solo finché alla classe dominante fosse occorsa una pausa per rigenerarsi completamente.
Risoluta fautrice di una democrazia di base che avesse nei consigli degli operai e dei soldati il fondamento essenziale della sua forma politico-organizzativa Rosa Luxemburg ha combattuto sin dal principio contro ogni forma di mero socialismo di governo. In questo punto cruciale si delinea un altro elemento di frattura e cioè quello relativo a uno specifico rapporto con la rivoluzione d’Ottobre, che può essere definito come di “solidarietà critica”. Rosa Luxemburg non si lasciò condizionare dall’esigenza di dimostrare a ogni costo la propria solidarietà alla rivoluzione d’Ottobre. Prima di tanti altri, essa aveva individuato nella concezione leniniana del partito e in altri punti ancora taluni tratti che preannunciavano le possibili involuzioni della società sovietica e che minacciavano gli elementi fondativi di una democrazia socialista. Da questo elemento prese le mosse la sua ricerca insieme di rottura con la socialdemocrazia e di modello diverso da quello bolscevico. Non è semplice collocare teoricamente questo tipo di ricerca.
Rosa Luxemburg è stata certamente una fautrice della democrazia consiliare: con un’idea del tutto diversa dell’organizzazione da quella, ad esempio, espressa da Anton Pannekoek. La sua concezione della dialettica materialista, completamente determinata da processi storici, non presentò mai aspetti di mentalità naturalistica.
E indicò con grande chiarezza l’alternativa sempre presente in ogni congiuntura storica: socialismo o barbarie.
Proprio questa capacità di presentare, sempre e comunque, di indicare quell’alternativa, rivolta alla vivificazione della dialettica, rese il pensiero di Rosa Luxemburg una forma di eresia particolare nella storia del movimento operaio. Il rapporto con le masse rappresentò un elemento essenziale nella sua teoria politica e proprio questo elemento le impedì di poter accettare il rigido partito di quadri, chiuso in una ferrea disciplina cospirativa, come alternativa al partito socialdemocratico, divenuto intanto una mera unione elettorale.
In Rosa Luxemburg però non si rintraccia un’alternativa astratta fra spontaneità e organizzazione: tutto dipende dalle mediazioni storiche concrete. A dimostrazione di ciò sta il suo concetto specifico di organizzazione. L’organizzazione deve intervenire strutturando e, in un certo senso, anticipando e illustrando, attraverso le esperienze e le forme di lotta dei proletari, i loro momenti rivoluzionari nella prospettiva dell’obiettivo finale. Nella sua concezione dell’organizzazione della lotta di classe, intuì che spontaneità e organizzazione non stanno fra loro in un rapporto esteriore, bensì contengono una loro dialettica immanente. Se si cerca di isolare da una parte la spontaneità e dall’altra l’organizzazione o di stabilire fra esse una piatta identità esse possono trasformarsi, nel loro movimento storico, nell’esatto contrario. Se l’organizzazione proletaria si stacca dalle masse quasi necessariamente dà adito ad azioni spontanee che possono rivolgersi anche contro di essa; se la spontaneità si stacca dalla forza organizzativa della classe operaia, ricade nel feticismo organizzativo di gruppi settari o nel meccanicismo degli atteggiamenti di protesta, che divampano e subito si spengono, di gruppi che non sono disposti e capaci di accollarsi gli sforzi di un lavoro teorico di lunga durata, né gli sforzi di un lavoro pratico-organizzativo.