Bilancio di genere: mito o realtà?
Si è parlato in questi giorni a Roma di bilancio di genere in un convegno internazionale promosso dal Dipartimento pari opportunità (il secondo organizzato a livello di governo nazionale, il primo si era tenuto a Roma nel 2000).Il convegno, cui erano invitati, tra gli altri, ben 3 ministri (Turco, Pollastrini, Ferrero, alla fine presente in persona solo quest’ultimo, solo rappresentate le altre due), interviene a pochi mesi da un convegno sullo stesso argomento organizzato dalla Corte dei Conti, e precede di qualche giorno un altro incontro che si terrà il 16-17 ottobre presso il CNEL ed avrà titolo “Le questioni di genere nei processi, negli approcci e negli strumenti di valutazione delle politiche pubbliche”.
Una tale concentrazione di sforzi si giustifica pienamente se si tiene conto del fatto che il convegno del 2000, indetto per proporre la riflessione sulla possibilità di disegnare e applicare un sistema di {{gender budgeting}} a livello di amministrazione centrale, non ha avuto alcun seguito a livello nazionale stante anche l’insediamento di un nuovo governo nello stesso anno che non ha raccolto l’invito alla riflessione in un’ottica di genere. Speriamo che i suggerimenti di quest’anno trovino terreno più fertile in cui attecchire.
Fortunatamente l’iniziativa del 2000 aveva almeno portato all’avvio, a livello di amministrazioni locali (provinciali e comunali), di un’ampia riflessione, sfociata nel {{2002}} nell’avvio di {{progetti sperimentali}} sostenuti dalla Comunità europea, in Emilia Romagna, Marche, Valle D’Aosta, Liguria, e alla costituzione di una {{Rete delle Province e dei Comuni per la diffusione del Bilancio di Genere e buone prassi per le pari opportunità}}, con l’obiettivo di sperimentare e promuovere la diffusione di embrioni di bilancio di genere e iniziative compatibili volte a promuovere la realizzazione delle pari opportunità e dell’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini.
Abbiamo già avuto modo di intervenire negli anni scorsi sulla sostanza del bilancio di genere, su {{cos’è e a cosa serve il bilancio di genere}}, e ci limiteremo in questa sede a richiamare qualche nozione pratica (non accademica) fondamentale per capire di cosa si parla e a che punto si trovano il dibattito e la prassi nel nostro paese.
{{Innanzitutto è doveroso distinguere due fasi successive di “gender budgeting”:}}
-{{ una prima fase, di studio e analisi}}, indispensabile prima di poter passare alla seconda, è quella dell’analisi {{dei bilanci pubblici in un’ottica di genere}}.
Si devono cioè analizzare le spese fatte dalle amministrazioni pubbliche, così come risultano dai documenti ufficiali, i singoli capitoli di spesa dei rispettivi bilanci, {{chiedendosi se tali spese possano avere effetti diretti o indiretti}} (molto più difficile valutare quelli indiretti ovviamente) diversi {{sui cittadini e le cittadine}} a seconda del loro genere.
Questo non si può fare se non si dispone di dati disaggregati in base al genere – e questo è già un {{primo intervento concreto indispensabile}}: decidere ed imporre la raccolta/disponibilità di dati disaggregati in base al genere e la costruzione di indicatori significativi in base ad una serie di domande chiave cui si intende dare risposta (e anche mettersi d’accordo su un set di domande chiave condiviso dai vari soggetti non è cosa scontata).
– {{una seconda fase}}, che dovrebbe consistere nell’utilizzo delle conoscenze emerse dalla prima fase di analisi a fini propositivi, cioè al fine di {{costruire un bilancio}} in cui la consapevolezza degli effetti specifici delle decisioni di spesa su ciascun genere possa portare a modellare le decisioni di spesa {{migliorando l’efficienza}} dell’allocazione delle risorse pubbliche rispetto ai risultati che si vogliono ottenere, {{eliminando le disparità e promuovendo l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne}}.
Importa rilevare che anche tra gli enti locali fin qui più attivi, la maggioranza si trovano ancora al primo stadio, quello della predisposizione degli strumenti necessari per una lettura di genere dei bilanci, ad una valutazione ex post degli eventuali effetti diversi a seconda del genere delle politiche finanziate. Solo pochissimi sono giunti al punto di intraprendere la seconda fase, quella più delicata, quella della predisposizione di strumenti che consentano ex ante se non di eliminare del tutto le disparità esistenti quanto meno di non incrementarle o di non introdurne di nuove.
{{Il Dipartimento pari opportunità si è impegnato ad arrivare in tempi brevi}}, con l’aiuto tra gli altri di ISFOL e Fondazione Brodolini, {{alla definizione della strumentazione necessaria}} per una valutazione delle politiche pubbliche, come rappresentate nel bilancio dello Stato, in un’ottica di genere e alla valutazione della {{possibilità di applicare l’ottica di genere nella programmazione degli esercizi economici-finanziari futuri, già a partire dal prossimo}}.
Ci sembra un impegno immane, ma sosteniamo l’approccio che consiste nell’approntare una strumentazione ed arrivare in un secondo momento ad una proposta di legge che ne imponga l’implementazione.
L’approccio inverso, quello di affermare in diritto, in via di principio, la bontà dello strumento del bilancio di genere, riservando ad una fase successiva la predisposizione degli strumenti necessari per dare attuazione ai principi, rischierebbe infatti di dimostrarsi, ancora una volta, soprattutto nel nostro paese, inefficace ai fini della realizzazione sostanziale della parità tra uomini e donne.
Lascia un commento