Bologna -Comune Alto Reno Terme- al CASTELLO MANSERVISI rassegna di film sull’immigrazione
Questa sera al Castello Manservisi -Comune Alto reno terme Bologna – continua la rassegna cinematografica curata da Romano Milani, segretario del Sindacato Giornalisti Critici Cinematografici che organiza Il Nastro D’Argento di Taormina.
Tre giorni in cui vengono presentati film sull’immigrazione.
IERI SERA 4 AGOSTO è stato proiettato IL CAMMINO DELLA SPERANZA , un film del 1950 diretto da Pietro Germi, tratto dal romanzo Cuore negli abissi di Nino Di Maria. Fu presentato in concorso al Festival di Cannes 1951 e vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino. Un film di una attualità disarmante che dovrebbe essere proiettato nelle scuole come detto da molte persone presenti alla proiezione.
QUESTA SERA 5 AGOSTO Con il film LA NAVE DOLCE si racconta dell’8 agosto del 1991, giorno dell’approdo del mercantile Vlora nel porto di Bari. Un giorno che ha segnato lo spartiacque della nostra modernità. Seppur preceduto dagli sbarchi di Brindisi del marzo precedente, l’arrivo di ventimila albanesi tutti in una volta, a bordo di una nave riempita fin sopra gli alberi più alti, indica l’inizio di una nuova epoca per l’Italia e per la Puglia in particolare. Senza enfasi, si può dire che quell’evento sta all’Europa meridionale come la caduta del Muro di Berlino sta all’Europa settentrionale. Ma, oltre a testimoniare il crollo rovinoso di una dittatura corrotta e spietata, e il rinnovato incontro tra est e ovest, l’approdo della Vlora assume un altro, inequivocabile significato: l’incontro immediato tra nord e sud del mondo lungo un canale di poche miglia, l’irrompere della questione migratoria.
Tutto questo vide Bari protagonista, come racconta il film di Daniele Vicari La nave dolce, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del premio Pasinetti per il miglior documentario. Perché “dolce”? Perché la Vlora, probabilmente la nave più grande ormeggiata a quel tempo in un porto albanese, era appena tornata da un lungo viaggio da Cuba e aveva scaricato grandi quantità di zucchero. I ventimila imbarcati, mentre l’acqua iniziava a scarseggiare, non ebbero altro da mangiare che il poco zucchero rimasto nelle stive.
La nave dolce racconta la vita in Albania che precede la partenza, il lungo viaggio verso l’Italia, l’arrivo sulle nostre coste, la scene bibliche del porto di Bari: mentre il molo è già stracolmo di gente, la nave da cui gli albanesi si buttano in acqua o si calano giù con l’aiuto di corde è ancora piena… Ma soprattutto il film di Vicari ha il merito di concentrarsi su quanto avvenne allo Stadio della Vittoria, dove gli albanesi furono trasferiti e rinchiusi nei giorni successivi. Chi prese quella decisione al ministero dell’interno era consapevole di cosa volesse dire rinchiudere migliaia di persone in uno stadio in pieno agosto? E i servizi igienici? E l’acqua? E il cibo? In breve la situazione degenerò e le immagini di quella Bari “cilena” – che scorrono nel documentario per lunghi minuti – sono impietose.
Tuttavia La nave dolce racconta soprattutto le storie minute, individuali, infinitamente soggettive e spesso colme di ironia davanti allo svolgersi di ciò che si chiama Storia. E, in tal senso, è auspicabile che il film di Vicari (che dell’esodo albanese verso le nostre coste racconta un capitolo nel dettaglio) non sia un’opera conclusiva, bensì che ad esso si aggiungano, uno accanto all’altro, altri sguardi su un argomento tanto vasto.
DOMANI SERA 6 AGOSTO sarà invece la volta di FUOCOAMMARE
Fuocoammare, il film che ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino: venduto in 64 Paesi, sta contribuendo a far uscire dal letargo la responsabilità europea sui naufragi. Il regista Gianfranco Rosi dice: «A Berlino c’erano sette giurati, ora a giudicarmi c’è un’isola intera». Riceve la cittadinanza onoraria dal sindaco Giusy Nicolini. E i lampedusani scoprono un’isola che è lì con loro, ma che non conoscono veramente, almeno da quando i salvataggi dei migranti avvengono con le forze navali in alto mare; vengono fatti sbarcare di notte e trasferiti altrove in pochi giorni. «E’ un mondo parallelo, è come se avessero visto per la prima volta gli sbarchi», dice Rosi.
Il ricordo del medico-decano
A fare da tramite è il medico Pietro Bartolo, una forza della natura che ricorda tutti gli sbarchi, a cominciare dal primo: 1991. Rosi, che l’ha messo fra i protagonisti, lo conobbe mentre cresceva in lui la consapevolezza che dieci minuti del previsto cortometraggio non bastavano. Era andato a farsi visitare per una bronchite. Bartolo gli diede una chiavetta Usb: lì ha registrato tutto, storie, volti, drammi. Ha visto morire centinaia di persone. Così il progetto ha acquistato peso. «Ma era talmente discreto che nessuno di noi aveva capito che stava girando un documentario», dice il dottore, che però insiste sull’integrazione: «I migranti possono uscire dal centro di accoglienza, sono liberi di circolare». Quelli che hanno assistito alla proiezione non sapevano cosa andavano a vedere: «Sappiamo solo che è un film». E sorridono quando si rivedono nella scena in cui giocano a calcio in formazioni improbabili, 50 contro 50, ognuno col nome di un paese, Ciad, Senegal.