Cara amica Mariella
I soli sono
lanterne rosse
ora che il tuo girotondo
di libertà
sfila per altre contrade.
Mi preme l’urlo
dei tuoi capelli
bianchi
Edda Billi
Cara amica Mariella
Femminista, giornalista, scrittrice, parlamentare, amministratrice, critica letteraria e cinematografica… ricordare i tanti momenti creativi della storia di Mariella Gramaglia, le sue tante intuizioni di rinnovamento e di radicalità non è ancora sufficiente a dar conto della ricchezza della sua generosa esistenza e del debito che le donne, e in particolare le donne del femminismo romano, hanno verso di lei.
Ora che dolorosamente dobbiamo accettare la sua perdita, i ricordi e le emozioni ci suggeriscono percorsi di riflessione sul suo modo di stare con noi, in un continuo e vivace confronto. Un luogo come la Casa internazionale delle Donne e, prima ancora, il palazzo di via del Governo Vecchio, è stato abitato da Mariella in modi, in tempi, con ruoli diversi, scanditi dalle diverse fasi del movimento e della città.
Mariella è stata costruttrice di libertà femminile, non solo nel movimento femminista (come dimenticare la lucidità delle sue analisi sul venir dopo e andar oltre del movimento femminista rispetto al’68, o gli accenti appassionati nel suo ripercorrere le conquiste di quegli anni, a proposito, per esempio, del documentario di Paola Sangiovanni: “Ragazze, la vita trema”?) ma anche quando ha ricoperto ruoli importanti nell’amministrazione capitolina: la semplificazione, la cura dei tempi delle donne, la intelligente innovazione da lei messa in atto nei servizi della città hanno cambiato in meglio le nostre vite e la convivenza di tutti e tutte.
Lo scrive lei stessa: “Lavorare nell’amministrazione di Roma, aprire le serrande della burocrazia, inventare nuove opportunità per i cittadini e servire la loro sovranità con fierezza, sono stati una sfida e un gusto quotidiani”.
Il suo bisogno di libertà la spinse poi a cercare nuovi bandoli per capire il mondo: da qui la decisione, solo apparentemente improvvisa, di trasferirsi in India, per un progetto di cooperazione con la CGIL e con SEWA, un sindacato autonomo di donne indiane. “Lascio che le indiane e gli indiani mi cambino e mi facciano apprendere. Per guardare meglio il mio paese domani. Magari con gli occhi resi più precisi dalla lontananza con cui di solito guardiamo solo i paesi degli altri”.
In questi ultimi anni dopo il suo ritorno dall’India, anni di difficile elaborazione di lutti personali e collettivi, Mariella, coerente con la sua passione per l’impegno civile e politico (è tra le promotrici di Se non ora quando?) ha voluto approfondirne il senso e la ricchezza nella ricerca spirituale e nella “esplorazione del mondo interno”, nella profondità affettiva della relazione madre-figlia (lo straordinario, commovente dialogo con Maddalena, di cui abbiamo parlato in tante occasioni, e anche alla Casa delle Donne) come nelle raffinate analisi di testi letterari e cinematografici, che ci regalava dal sito di in-genere.
Il suo ultimo bellissimo testo (in Epiche, a c. di Paola Bono e Bia Sarasini) a partire dalla trilogia di Deepa Mehta, pone domande importanti sulla possibilità per le imprese femminili di fare mondo e conferma con forza la ribellione delle donne indiane di fronte al sangue versato per la costruzione di una nazione, la necessità di affermare la loro estraneità a quella violenta grammatica elementare maschile.
“Fare mondo”, spiega Mariella alla figlia, “vuol dire anche aspirare a influenzare il corso delle cose”, affermare la possibilità di libertà e costruirla, oltre le sconfitte della storia: “anche essere felici è un lavoro”.
Ciao cara amica Mariella: a Maddalena e Michele la nostra tenerezza nella gratitudine commossa del tuo ricordo.
La tua
Casa Internazionale delle Donne
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