Cara Raggi, la Casa delle Donne vale molto più di un milione di euro
Riprendiamo da Globalist – GiUlia (GIornaliste Unite LIbere Autonome) l’articolo di Barbara Bonomi Romagnoli del 29.7.2020
Poco più che ventenne alla scoperta dei femminismi, sono entrata per la prima volta, da via della Lungara, dentro la Casa internazionale delle donne e mi son trovata dinanzi il lungo corridoio in penombra. Ho provato timore e stupore assieme, come quando entravo nell’edificio monumentale delle scuole medie, in tutt’altra zona della città, che per ironia della sorte si chiama ‘Complesso del Buon Pastore’ così come il nome della struttura seicentesca che – nel cuore di Roma – dal 1987, grazie al Movimento Femminista Romano sfrattato dalla Casa delle Donne del Governo Vecchio, è diventato uno spazio delle e per le donne, con decine di associazioni e gruppi che hanno promosso pratica e politica femminista accanto a servizi culturali, socio-sanitari e legali.
Un patrimonio umano e politico, laico e indipendente, che è stimabile certamente in un milione di euro di risorse, progetti, idee, sentimenti, azioni e competenze che sono state messe a servizio di tutta la cittadinanza.
Un milione di euro è invece la cifra richiesta dalla sindaca Raggi e dall’assessora Vivarelli a fine luglio, puntuali come gli orologi politici che battono in piena estate per sfuggire al clamore, considerato che il “progetto” complessivo del Comune, dopo aver revocato nel 2018 la convenzione con la casa, è farsi dare i soldi che loro avrebbero verificato e mettere al bando la gestione dello stabile, sostenendo che ci sia un ‘debito oggettivo’ e non tenendo conto del parere della Corte dei Conti, per cui dove c’è un’associazione che svolge servizi di utilità sociale dare il comodato gratuito non costituisce danno erariale.
È dal 2018 che le donne che amministrano la casa, sostenute da migliaia di persone, cercano di dialogare con la Sindaca e la giunta capitolina, cercando di far riconoscere il valore politico e sociale di tutto il lavoro svolto in oltre trent’anni. La Sindaca, in tutta risposta, latita e ogni tanto manda avanti qualcun’altra a fare proposte che sono irricevibili da chi quel luogo lo vive e lo rende vivo ogni giorno: “l’incontro è stato come se nulla fosse successo in questi anni, come se una trattativa non fosse stata mai aperta, come se tutto fosse riducibile solo al debito che la Casa ha con il Comune di Roma, un puro esercizio contabile – spiega Maria Brighi – la Sindaca completamente assente, uno sconcertante silenzio” dinanzi “un luogo simbolico del femminismo che è dentro alla migliore storia democratica della città”.
Al suo posto prendiamo voce noi. Femministe, giornaliste, mediche, volontarie, avvocate, scrittrici, artiste, imprenditrici, attrici, agricoltore, sarte, amministratrici pubbliche, cantanti, sportive, insegnanti e tutte le donne che da sempre attraversano la Casa costruendo insieme relazioni e pratiche politiche comuni come sottolinea Michela Cicculli, Assessora alle politiche di genere del municipio VIII e attivista di Lucha Y Siesta: “La nostra lotta è portare la Casa in giro nei territori della nostra città, dal centro alle periferie. Se è vero che la Casa è un simbolo del femminismo dobbiamo curarla tutte insieme e pretendere che il Comune faccia i conti con quanto siamo e rappresentiamo insieme. Anche Lucha y siesta fa parte di questa storia di cui oggi la Sindaca disconosce il valore civico e sociale. Ma questa città non può definirsi moderna e accogliente se non ne vengono rispettati gli spazi di autodeterminazione delle donne”.
No, non staremo zitte dinanzi all’ennesimo tentativo di cancellare un bene comune per tutte e tutti, parte integrante del tessuto femminista internazionale, soprattutto oggi che il mondo è attraversato da attacchi feroci alla libertà delle donne, dalla Polonia che vuole revocare la Convenzione di Instanbul al MeToo finalmente sorto in Egitto per denunciare molestie e abusi e che avrà bisogno di tutto il nostro sostegno.