Cara Roberta
Il 2 aprile scorso giornali importanti hanno dedicato vistosi titoli all’uscita di “Parola fine”, il diario del tuo suicidio. Ora, da morta, non ti viene lesinato quel riconoscimento che in vita avrebbe potuto renderti felice. Avresti molto meritato, prima, per quello che facevi e scrivevi, ma la tua indipendenza, l’appartenere solo a te stessa, non ti hanno mai facilitato la strada.Sei stata una delle rare persone capaci di mettere in gioco se stesse fino in fondo, nella scommessa mai risolta di tenere insieme professionalità e politica. Già all’epoca del soggiorno in Germania, facevi un {{lavoro di informazione}} radiofonica per gli emigrati italiani, che era {{politico e professionale insieme.}} Da allora hai affinato sempre più i tuoi strumenti di giornalista e sociologa, usandoli con forte sensibilità e motivazione politica. Ricordo l’entusiasmo e la serietà con cui impostavi le ricerche che abbiamo fatto insieme, i viaggi e gli spostamenti con le interviste fatte al registratore. Dopo la consegna dei risultati, poteva subentrare la delusione perché l’ente che li aveva commissionati li destinava a proprio uso e consumo, con scarsa considerazione anche sul piano economico. Ma non ti lasciavi abbattere e riuscivi ad imboccare con passione strade sempre nuove.
Certo, sei {{vissuta all’insegna della precarietà}}, ma scegliendoti via via i “committenti” hai fatto dell’autonomia professionale la tua cifra. Sei stata {{protagonista nel femminismo}} e nel promuoverne a Roma iniziative come il Gruppo Cultura e il “Virginia Woolf”. Con {{Michi Staderini}} hai cominciato ad approfondire le tematiche della pornografia. Intanto lavoravi intensamente nelle riviste, in particolare {{“Noi Donne”,}} seguendo le fasi del movimento con occhio di partecipante e di osservatrice.Mi è capitato di scrivere articoli a doppia firma con a te: ricordo quelli sull’aborto, in cui prendevamo le distanze dalla legge 194 proprio per diffidenza verso i controlli statali e in nome dei principi di autonomia e libertà.
Poi, per un certo periodo hanno preso piede nel movimento le idee di “autorità femminile” e di “affidamento” che forse hai un po’ condiviso, ma non da questo sarebbe potuto venirti un riconoscimento pieno. {{Hai cominciato a considerare conclusa la traiettoria del femminismo,}} criticandone certi tratti bigotti e conformistici, pur mantenendo un legame profondo col mondo femminile.
Personalmente, ci siamo perse di vista perché il tuo lavoro e le tue motivazioni politiche erano cambiati. Con l’abituale coraggio stavi esplorando {{terreni nuovi e impervi,}} in cui avevi acquistato una sapienza non comune. Da sola, ma con tante persone intorno che seguivano con interesse il tuo cammino, sempre guidato dallo scrupolo e dal rigore nella ricerca. Ti muovevi ancora sul crinale che rendeva difficile il connubio tra inserimento professionale e impegno politico. Una difficoltà, questa, che molti di noi hanno vissuto, soprattutto nell’ultimo decennio, ma che in te doveva accumulare disperazione e amarezza, proprio perché non c’erano diaframmi tra le dimensioni pubbliche della tua vita.
Difendevi sempre con estrema discrezione il nucleo più profondo della tua personalità, e gli altri si accontentavano di conoscerti sotto il profilo che permettevi loro di vedere. Forse capiremo meglio dal tuo diario quanto fosse cresciuta la tua sofferenza, a partire da quella nube nera della morte violenta di tuo padre –che per tanti anni è rimasta accucciata in fondo all’orizzonte.
{{Roberta Tatafiore}}, {La parola fine. Diario di un suicidio}. ed. Rizzoli 2010, pag. 149, euro 17
immagine da blog.leiweb.it
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