CATASTROFE IN SARDEGNA. EVENTO ANNUNCIATO, PREVISTO NON NATURALE
“Frane, allagamenti, alluvioni: l’Italia è un Paese martoriato dal dissesto idrogeologico. Le aree a elevata criticità rappresentano il 9,8% della superficie nazionale e riguardano l’89% dei comuni, su cui sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali. Il riscaldamento globale – spiegano dal Centro Euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici – porterà a un’inevitabile recrudescenza dei fenomeni estremi. Le regioni hanno stimato un fabbisogno di 40 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio, cui però il governo nell’ultima Legge di Stabilità ha destinato appena 180 milioni per i prossimi tre anni. Ad aggravare ulteriormente il quadro è il consumo del suolo, aumentato del 156% dal 1956 ad oggi, a fronte di un incremento della popolazione del 24%. Ogni cinque mesi è cementificata una superficie pari al comune di Napoli, un dato che mette in luce le responsabilità dell’uomo per queste catastrofi, che solo negli ultimi cinquant’anni hanno causato la morte di quattromila persone. “ Questo è quello che si legge oggi su LA STAMPA un giorno dopo la distruzione di una parte della SARDEGNA a opera di un ciclone. Ci sono morti, ci sono sfollati e poi case distrutte, ponti e terreni agricoli. Le radio, i Tv e i quotidiani blaterano di emergenza, di stato d’eccezione, di evento naturale eccezionale. Fino a che punto questi “eventi” sono naturali? Cioè, possiamo continuare a chiamare naturale “eventi” generati dal dissesto idrogeologico, dalle cementificazioni degli alvei dei fiumi, dall’eccesso di cementificazione e dalla continua, assidua, distruzione dei boschi? Adesso c’è la Destra di governo e di opposizione, suffragata da ampi elementi di Sinistra, che vorrebbe vendere le spiagge per un futuro sicuro di cementificazione e magari, di profitti derivati dai biglietti pagati per accedere alla riva dei mari. Si parla, in questi giorni, di un lago di Garda patrimonio dell’UNESCO. Si parla…..perché pare che non siano pochi gli amministratori locali delle regioni Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige che si oppongono. E già, nonostante la crisi continua il consumo di suolo per costruzioni sule colline moreniche, a ridosso di siti importanti come Salò, Sirmione, Lazzize ecc. Il poeta veneto ZANZOTTO diceva: “UN BEL PAESAGGIO UNA VOLTA DISTRUTTO NON TORNA PIU’, E SE DURANTE LA GUERRA C’ERANO I CAMPI DI STERMINIO, ADESSO SIAMO ARRIVATI ALLO STERMINIO DEI CAMPI.” La legge di stabilità in discussione dovrebbe mettere in cantiere anche la cessione ai privati di proprietà pubbliche. Appunto, come il demanio marittimo. Sembra che a Destra come a Sinistra sia assente una cultura dei beni comuni. Che, per loro definizione sono quelli che soddisfano ai bisogni fondamentali delle persone. Sono molti i documenti nazionali e internazionali che parlano di accesso all’acqua, al cibo, alla conoscenza, alla salute e anche ALLA TUTELA DEL TERRITORIO. Quanti, tra deputati e senatori, hanno una cultura in grado di capire cosa sono i diritti fondamentali, i beni comuni? A leggere il libro postumo di Franca Rame IN FUGA DAL SENATO (ed. Chiarelettere, 2013) dove racconta la drammatica delusione provata nei due anni al Senato della Repubblica, gli eletti del popolo sono soltanto in grado, più o meno, di pigiare il tasto rosso e verde a comando dei capi di partito. Tanto per fare un esempio dal libro, Franca Rame scrive: “ 14 giugno 2006. Ore 11.30.Corro a Montecitorio. Sala Mappamondo. C’è chi, da Senato, ci va con macchina e autista di Stato, ma puoi crepare se speri che qualcuno ti offra un passaggio. Sapete cosa pesa di più in questa vita da senatrice? L’ho già accennato, ma lo ribadisco volentieri: l’indifferenza, il non preoccuparsi mai dei bisogni o dei problemi degli altri.” E allora, rassegnamoci ad ascoltare ministri e presidenti del Consiglio dichiarare, a ogni “evento catastrofico naturale” che è stato immediatamente dichiarato lo stato di calamità, appunto, naturale ecc.; e che si stanzierà un toto di soldi pubblici, eccetera, eccetera. Ma non tocchiamo le leggi che permettono di continuare a martoriare il suolo, di tutti, detto Italia.