C’è chi non ha casa. C’è chi ha ville, barche e yacht di lusso. Sono tante le ingiustizie da sanare. Che fare?
Nella legge finanziaria troviamo molti incentivi per le aziende affinché si adoperino per migliorare i livelli occupazionali e le condizioni di chi lavora.
Ma nel periodo che va dal primo gennaio al 30 novembre 2017 gli ispettori del lavoro controllando 150.651 aziende hanno dovuto contestare illeciti per 95.006 di esse, che rappresentano il 65% degli accertamenti. Questo è uno dei dati presentati dal ministro Giuliano Poletti insieme al capo dell’ispettorato nazionale del lavoro Paolo Pennesi, relativo all’attività ispettiva dell’anno che sta per concludersi.
Pertanto, circa 2 aziende su 3 sono state trovate in una situazione di irregolarità. Gli accertamenti hanno portato alla individuazione di 43.792 lavoratori/lavoratrici in nero, un dato “di assoluto rilievo- sottolinea la relazione- in quanto presuppone mediamente la presenza di un lavoratore in nero ogni due aziende irregolari”.
Dunque, più disoccupazione e più lavoratori e lavoratrici precarie. Sono oltre 9,3 milioni le persone che non ce la fanno e sono a rischio povertà: è sempre più estesa l’area di disagio sociale che non accenna a restringersi.
E’ aumentato il lavoro non stabile per 28mila soggetti che vanno ad allargare la fascia di chi è a rischio di povertà.
Secondo i dati di Unimpresa (Unione Nazionale delle Imprese) si tratta di un’enorme “area di disagio”: agli oltre 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (803mila persone) sia quelli a orario pieno (1,71 milioni); vanno poi considerati i lavoratori e le lavoratrici autonome part time (803mila), i collaboratori/collaboratrici (3284mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,67 milioni).Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,27 milioni di unità.
Il totale del’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, a metà del 2017 comprendeva dunque 9,34 milioni di persone, in aumento rispetto al 2016 di 105mila unità (+1,14%).
Partendo da questi dati la presidente di Unimpresa , Giovanna Ferrara, chiede allo Stato ulteriori risorse e incentivi strutturali, non saltuari, per le imprese. Solo così si può creare nuova occupazione. Ferrara rietiene anche sbagliato insistere con forme di sussidio, come il reddito di inclusione, che alimentano l’assistenzialismo e disincentivano, di fatto, la crescita economica. Le risorse non devono andare a chi vive la povertà, ma ha chi crea ricchezza… chi crea lavoro…
Ma quale lavoro? Ancora quello in nero, precario, sfruttato…? L’ispettorato nazionale del lavoro dovrà purtroppo continuare a rimboccarsi le maniche…
Sembra infatti di capire che chi gestisce l’attività imprenditoriale è ben lontano dal pensare e dal predisporsi ad utilizzare risorse nate dagli aumenti della produttività e degli utili che, anche secondo il Governo, ci sono stati. Le imprese non tutte, ma ancora troppe, pensano sia necessario utilizzare i profitti che ottengono ad esclusivo vantaggio di manager, consigli di amministrazione, proprietari, azionisti… Non è un caso che continua ad aumentare il fatturato delle aziende che producono beni di lusso che possono essere acquistati, pare ovvio, da chi percepisce stipendi da capogiro a scapito di chi lavora con stipendi che a volte non superano i mille euro.
E le evasioni fiscali? Un altra storia, come la mancanza di risorse per lo stato sociale.
Dati e dichiarazioni ripresi da agenzia Dire