Dal Centro di cultura delle donne Hannah Arendt – Teramo


Nessuna donna eletta nel Consiglio Provinciale di Teramo. La rappresentanza politica di genere non può essere identificata, confusa e sostenuta con il discorso aritmetico delle percentuali.

Sia nello schieramento di centrosinistra sia nello schieramento di centrodestra, nessuna donna è stata eletta nel nuovo Consiglio Provinciale di Teramo, lo scorso 18 dicembre 2021.  Nonostante le battaglie per la parità, le azioni positive e le norme antidiscriminatorie, l’esclusione delle donne dalle istituzioni resta l’irrisolto e grave problema della nostra democrazia. Su questa vicenda, e le relative prese di posizione, il Centro di cultura delle donne Hannah Arendt sollecita l’apertura al dialogo con le anime progressiste del territorio esponendo il proprio punto di vista nel seguente documento.

Il quotidiano “Il Centro” del 25 gennaio 2021 riporta nelle pagine locali che un centinaio di cittadini e cittadine contro questo “schiaffo alla democrazia” ha sottoscritto un documento di protesta. La richiesta di democrazia paritaria, che si ripropone ogni volta che si avvicinano elezioni di un qualche tipo, anima le “doléances” del documento, i cui estensori ed estensore, sottoscrittori e sottoscrittrici, sulle pagine del succitato quotidiano, lamentano: “Sull’anomalia del consiglio provinciale ci aspettavamo una risposta dei ‘dirigenti’ dei partiti e dei movimenti politici e di coloro che credono ancora in una democrazia rappresentativa, paritaria e inclusiva” e, continuano, “preoccupa e sconforta che le amministratrici, pur presenti nei consigli comunali della provincia di Teramo,  non siano state attente a evitare un risultato che penalizza così fortemente le donne. Purtroppo le uniche voci sono state quelle della presidente della Cpo provinciale, della consigliera di parità provinciale e della presidente della consulta pari opportunità del Comune  (…)”.  Non condividiamo il distinguo tra donne “disattente” e donne “brave”, perché la disuguaglianza di genere riguarda tutti, e le donne, in primis, dovrebbero interrogarsi e riflettere sull’ambigua complicità femminile con il potere patriarcale. Essa riguarda ogni ambito della vita delle persone: lavoro, salute, istruzione, economia, politica e in ambito domestico emerge con la drammatica millenaria violenza maschile sulle donne.  Per questo riteniamo indispensabile rilanciare le riflessioni e gli approfondimenti che il centro di cultura delle donne Hannah Arendt ha affrontato su questo argomento nei seminari, molto frequentati, tenuti nell’università di Teramo con studiose e studiosi, teoriche attiviste e attivisti tra le e i maggiori in Italia. Il movimento femminista degli anni Settanta ha messo in evidenza quanto sia importante comprendere il patriarcato come sistema di dominio, capire come si è istituzionalizzato e in che modo lo si perpetua e mantiene, poiché esso, come scrive Lea Melandri: ”ha escluso le donne dalla polis, considerate per “natura” inadatte a rivestire responsabilità intellettuali e morali proprie soltanto di chi è persona, individuo”, ossia l’uomo. Il centro Arendt in questa città lavora gratuitamente con molta fatica  e continuità da anni per eradicare il sessismo, i suoi  stereotipi e il dominio maschile alla base delle disuguaglianze di genere, coinvolgendo  donne  e uomini delle associazioni, delle istituzioni, delle organizzazioni sindacali, docenti, studenti  e singole personalità delle professioni, con i contenuti di una visione femminista che propone di costruire una sinergia solidale intelligente e competente delle donne, con il contributo di uomini come Stefano Ciccone, sociologo fondatore di “Maschile Plurale”,  impegnato da anni nei percorsi di un’ autocoscienza maschile che mette in discussione il potere maschile a partire da sé,  sia nella  riflessione pubblica sia nell’ iniziativa politica.  Il superamento della disuguaglianza di genere riguarda tutti: le donne e gli uomini. Esso non s’improvvisa, richiede impegno, coerenza, scelte, azione e confronto continuo. E su questo invitiamo a riflettere le donne e gli uomini dei partiti progressisti, delle associazioni e delle organizzazioni sindacali del nostro territorio. Sicuramente è di fondamentale importanza e simbolicamente significativo che anche nelle istituzioni venga rappresentato il paese reale fatto di donne e uomini. Ma c’è anche la questione della rappresentanza politica di genere che non può essere identificata, confusa e sostenuta con il discorso aritmetico delle percentuali, sul quale è incentrato lo stesso documento di protesta delle cittadine e dei cittadini, riducendo il problema della rappresentanza femminile alla mera appartenenza ad un sesso biologico. Il documento conclude con un appello: “…chiediamo alla politica teramana e ai consiglieri di maggioranza e minoranza (…) un gesto, quello delle dimissioni, che consentirebbe l’elezione di almeno una donna al consiglio provinciale”. Una donna qualunque? Indistintamente, una donna di destra o di sinistra che sedesse nel consiglio provinciale risolverebbe il problema della rappresentanza di genere? Non sposiamo l’emancipazione individualistica e le politiche delle donne di destra e dei loro partiti che, anche in Abruzzo e a Teramo, come in Piemonte, Umbria, Marche, con i loro appelli per la famiglia “naturale”, attaccano continuamente le unioni civili e le famiglie delle soggettività LGBT+, i diritti delle donne e il loro diritto fondamentale all’autodeterminazione e alla libera scelta di maternità. Ne è esempio l’ultimo subdolo tentativo della destra che siede in Regione con il suo disegno di legge sulla “sepoltura dei bambini mai nati” di età gestazionale inferiore alle ventotto settimane, a prescindere dal consenso della donna, attraverso l’intervento impositivo delle aziende sanitarie.

 E, per quanto riguarda le donne di sinistra, vogliamo essere rappresentate da donne aperte ad un dialogo consapevole e coerente sulle politiche di genere. Se manca la consapevolezza che le “discriminazioni”, gli innumerevoli “svantaggi” femminili nella vita pubblica dipendono dai ruoli di genere e dalla divisione sessuale del lavoro, ancora considerati “naturali”, le donne, come gli uomini, continueranno meccanicamente a perpetuare il sessismo in tutti i luoghi dove svolgono ruoli, esprimono competenze, esercitano poteri. “Il campo delle relazioni tra i sessi e dei ruoli e delle attribuzioni di genere non si pone più come ‘questione femminile’ da affrontare esclusivamente in termini di politiche di riequilibrio e tutela delle donne (…) La stessa costruzione del potere maschile (…) si è incrinata: sono entrate in crisi le istituzioni maschili che riproducevano privilegio, controllo e autorità, ma si è anche andata esaurendo la capacità di queste di conferire identità, di produrre saperi, di rispondere alla domanda di senso degli stessi uomini (…)  Questo mutamento rende ormai  impossibile per gli uomini stessi pensare il proprio posto nel mondo, la percezione che hanno di sé come dato naturale. Anche il maschile si mostra essere un genere costruito socialmente”, afferma Stefano Ciccone in una delle sue illuminanti analisi.

 Il documento, che opta per una indistinta rappresentanza politica femminile per colmare lo “svantaggio di genere” nell’ istituzione Provincia, e spalanca le porte all’emancipazione individualistica, evidenzia l’abisso tra quest’ultima e l’autonomia di pensiero che sta alla base delle pratiche femministe di liberazione e che bell hooks nel suo libro “Il femminismo è per tutti”, ci consegna con estrema chiarezza:

“Tutte noi sapevamo per esperienza che, in quanto femmine, eravamo state socializzate dal pensiero patriarcale a considerarci inferiori agli uomini, a vederci sempre in concorrenza tra noi per l’approvazione patriarcale, a guardarci l’un l’altra con gelosia, paura e ostilità. (…) Il pensiero femminista ci aiutò a disimparare il disprezzo verso se stesse. Ci consentì di liberarci dalla presa che il pensiero patriarcale aveva sulla nostra coscienza.”

Concludiamo con una lucida e potente riflessione di Lea Melandri, tra le maggiori teoriche e attiviste del femminismo italiano, contenuta nell’articolo apparso su “Il Riformista”del20 Gennaio 2022: “La pratica del femminismo, che ha visto nella visione sessista del mondo interiorizzata forzatamente dalle donne stesse, la prima ragione di una ‘complicità’ col dominatore, a loro danno, e quindi il primo passaggio necessario di presa di coscienza per un cambiamento radicale e rivoluzionario della cultura che abbiamo ereditato, si ripropone oggi più attuale che mai, di fronte alla maggiore richiesta di presenza delle donne in ruoli di potere. Riuscire a pensarsi come un soggetto ‘femminile plurale’, capace di porre la propria individualità senza cancellare ciò che ha significato l’appartenenza a un ‘genere’, è stata la svolta portata dal femminismo alla coscienza storica. E’ solo partendo da sé, dall’esperienza e dalle relazioni personali che si può, affrontando inevitabili conflitti, interrogare e sottoporre a critica le istituzioni, i loro saperi e poteri”.