Che bello poter dire: «Qui tutto funziona e siamo libere»
Mi è arrivata questa segnalazione da Danila Pellegrini e mi è sembrato importante che le pagine del Paese delle Donne la riprendessero anche se è un servizio scritto più di un anno fa da Davide Illarietti sulle pagine del CorriereSociale.
Racconta la storia di una resistenza creativa contro ogni violenza.
NAIROBI – Maschietti, maschiacci, alla larga. Umoja è un villaggio come tanti, sulle colline del Samburu: vivace, povero, isolato dal mondo come tanti. Tranne che vi abitano solo donne. Aristofanesco, eppure reale: con un capo (una capa) villaggio, il parlamento degli anziani (anziane), e un grande albero al centro di tutto.
Il Guardian ha dedicato un reportage a questo unicum antropologico ai confini della globalizzazione, nel nord del Kenya. Le prime capanne furono realizzate nel 1990 da un gruppo di 15 donne vittime di stupro. Violentate da soldati dell’esercito britannico, ripudiate dalle famiglie, qui si erano costruite un rifugio.
Negli anni, Umoja è cresciuta. Accoglie donne in fuga da matrimoni forzati, vittime di mutilazioni genitali e violenze domestiche: tutte pratiche molto diffuse, purtroppo, tra i Samburu. La “matriarca”, Rebecca Lolosoli, ebbe l’idea di un villaggio di donne dopo aver subito in prima persona un pestaggio di gruppo.
“Avevo bisogno di un luogo protetto – racconta – al riparo dalla violenza fisica e psicologica. Scoprii che era un bisogno condiviso da altre donne”.
In tutto, oggi nel villaggio vivono una cinquantina di donne e 200 bambini. Agricoltura, allevamento, un campeggio per turisti da safari, un laboratorio artigianale, sono le principali attività di sostentamento. Le abitanti hanno anche aperto un centro culturale-scuola, che sensibilizza donne e bambini su temi come violenza di genere e mutilazioni. Vengono anche dai paesi vicini.
“Qui sperimentiamo la libertà” ha raccontato al Guardian Milka, una delle prime arrivate ad Umoja. “Tutto funziona benissimo – spiega – per fare a meno degli uomini abbiamo dovuto imparare cose che normalmente, nella società Samburu, le donne non possono fare. Al contempo, abbiamo riscoperto i nostri diritti”.