Che ne sarà della critica forte a quei luoghi, della constatazione della loro inefficacia portata avanti dalla politica delle donne?
Più che rivoluzione, sarà interessante verificare il modo in cui le nuove elette si atteggeranno rispetto ai problemi aperti dalla crisi, ai diversi interessi in gioco, alla reinvenzione dei rapporti tra i due sessi.Perdindirindina, sarà questa delle prossime elezioni politiche la carica del sesso femminile? La deputata Pdl Lella Golfo ha raccolto quattrocento curriculum rosa da passare ai partiti. Professioniste, manager, imprenditrici – no, operaie e contadine no – aderiscono all’appello bipartisan. Di quale partito si tratti a queste signore e signorine pare importi poco. Fosse un tram sarebbero contente ugualmente. Purché passi.
Anche nel movimento di Snoq sono bipartisan. Cioè trasversali. Nella lettera di Cristina Comenicini e Francesca Izzo in cui annunciavano (su “Repubblica”) la decisione di non correre alle prossime elezioni politiche, hanno richiamata la necessità di “salvaguardare uno dei caratteri distintivi di Se non ora quando?, il suo essere composto da donne di diversi orientamenti politici, culturali, religiosi e di rivolgersi a tutti, donne e uomini, di ogni schieramento politico e di ogni credo”.
Intanto, il tecnico, ora (con delusione di tanti) “totus politicus” Mario Monti, nella sua Agenda, e persino su twitter, ha chiamato in causa le donne. Non è il primo. In fondo, a modo suo, l’ha già fatto Silvio Berlusconi puntando sfacciatamente sull’estetica (ma anche sulla voglia di vincere) più che sulla competenza femminile.
Adesso nel Pd con i ticket e la presenza dei due sessi “non meno di quaranta, non più di sessanta” porte aperte. Sel non si discosta da questo trend che ha coinvolto anche i grillini (nelle primarie sul web). Arrivano pure le femministe. Dunque, le donne saranno molte di più del passato. Vedremo se anche il centro dei cosiddetti eredi dello Scudo crociato dovrà arrendersi all’evidenza: impossibile guardare a liste elettorali composte unicamente da giacche e cravatte. Fatevi più in là voi che avete combinato tanti disastri; adesso nei “luoghi dove si decide” arriviamo noi che siamo serie, oneste, pragmatiche.
Per la verità, l’altra metà del cielo sembra non addentrarsi molto nei meccanismi reali del funzionamento della rappresentanza, di per sé profondamente in crisi. Quanto conta la scelta, la selezione, l’appoggio maschile? Ma che volete, bisogna pur affidarsi a chi nei luoghi della rappresentanza tiene ancora il potere stretto nelle mani. La voglia di esserci è tanta. Dite che legittimiamo il teatrino dei gruppi dirigenti (maschili) dei partiti? State a vedere: lo cambieremo, faremo una vera rivoluzione.
Più che rivoluzione, sarà interessante verificare il modo in cui le nuove elette si atteggeranno rispetto ai problemi aperti dalla crisi, ai diversi interessi in gioco, alla reinvenzione dei rapporti tra i due sessi.
Ma, per tornare al punto, la presenza di più donne corrisponde a una modernizzazione obbligata benché in ritardo sul trend europeo, oppure gli elettori/rici puntano sulle donne dal momento che i maschi hanno perso autorità per il gran numero di pasticci combinati?
Di sicuro, senza il lavoro da “ben scavato, vecchia talpa” e lo slancio di un movimento che viene da lontano, ticket, quote rosa, doppia preferenza di genere e tutti i marchingegni che si possono inventare non sarebbero bastati.
Comunque, pare che arriveranno nei “luoghi dove si decide” giovani e meno giovani, impegnate nell’amministrazione locale, nelle associazioni.
Parlamento visto come un luogo dove si decide? Lungi da noi considerarlo “un’aula sorda e grigia” o un catino di acqua paludosa, tuttavia io penso che lì il margine di decisione sia davvero piccolo a causa del debito che incombe e del contesto economico europeo e mondiale.
In effetti, una volta contestate dal centrosinistra per un verso e dall’altro dal centrodestra le ricette del premier tecnico (in un anno segnato dal ricorso ai voti di fiducia della “strana maggioranza”), non è che siano venute fuori le idee alternative che la radicalità della crisi richiederebbe.
I partiti non spiegano quale progetto e interpretazione hanno dell’Italia; senza ammetterlo, hanno difeso il Porcellum, l’attuale legge elettorale, e seguito una navigazione a vista, mentre le contrapposizioni in campagna elettorale gliele sta dettando la conservazione o la riconquista del proprio elettorato più che i grandi ideali. Tutto questo sotto il controllo occhiuto dell’austerità europea.
Il problema dei luoghi della rappresentanza istituzionale è che, in questa fase, rischiano di mangiarsi l’autorità degli individui. Quando poi si tratta del sesso femminile, il timore è che tutto lo slancio si acquieti nell’essere “dove si decide”.
Che ne sarà della critica forte a quei luoghi, della constatazione della loro inefficacia portata avanti dalla politica delle donne?
Varrebbe la pena di parlarne, di farne elemento di riflessione come era già accaduto a Paestum, in quell’incontro che intendeva spostare lo sguardo sulle relazioni di cura, sull’esserci in prima persona, sul rapporto con gli uomini. Magari le pratiche politiche non sono più sufficienti. O adeguate. La ricerca riguarda un modo di stare nei contesti politici e sociali agendo libertà dagli uomini, e quindi cambiando le relazioni con loro. Per interrogarsi più a fondo anche sul dove e come si decide davvero qualcosa, e forse sul significato stesso della parola decidere.
La rivolta in India contro l’orrore dello stupro ha sollevato un movimento di protesta nel quale si sono visti e continuano a vedersi padri e madri, studenti e studentesse, maschi e femmine, insieme, nelle grandi manifestazioni. Non voglio negare le differenze enormi tra ciò che avviene alle donne quando in India si avventurano nello spazio pubblico e qui, quando siedono su uno scranno. Ma la mentalità patriarcale e l’accettazione passiva di un sistema che perpetua meccanismi di potere nelle stesse mani, sono un problema di tutti e tutte. Da questo problema la politica delle donne dovrebbe ripartire.
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