Ci vuole un codice di condotta per l’Europa, non per le ong
Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale
— Tra un’ora, Stephane Broch, il vicecoordinatore delle operazioni di soccorso salirà sul ponte di comando della nave Aquarius con un binocolo e comincerà il primo turno di avvistamento. La luce è nitida, il mare leggermente increspato, ci aspettano tre giorni di bel tempo. Intanto la squadra di Sos Méditerranée è a prua: Rocco, Tanguy, Charlie sistemano i giubbotti di salvataggio arancioni dentro dei grossi sacchi di rafia bianca. Mentre Alain, Alessandro e Svenja gonfiano i gommoni.
Bananas, li chiamano. Sono lunghi galleggianti arancioni che vengono lanciati in acqua se qualcuno finisce in mare. “Anche se abbiamo fatto decine, centinaia di soccorsi, ogni volta che saltiamo dentro un gommone per cominciare un’operazione ci prende paura. Nessun soccorso è uguale al precedente, ogni volta è diverso. La paura ci aiuta a tenere l’attenzione alta e a non fare sbagli”, spiega Rocco Aiello, uno dei soccorritori.
Sotto coperta Craig Spencer di Medici senza frontiere tiene una breve lezione per i giornalisti sulla rianimazione cardiopolmonare. “Ci succede così frequentemente che le persone che soccorriamo perdano coscienza che abbiamo deciso che tutti a bordo debbano saper fare la rianimazione, perché in questi casi il tempo è tutto: la tempestività è inversamente proporzionale alla mortalità”, spiega Spencer.
Piegato su un manichino di gomma steso a terra, il medico americano mostra tutte le fasi del soccorso: “Dovete prima accertarvi che la persona non risponda agli stimoli sia verbali sia fisici e che la situazione non comporti pericolo. Poi dovete chiamare i medici con la radio di bordo. Urlate: ‘Medical emergency, medical emergency’ e il punto della nave in cui vi trovate. Quindi dovete controllare il respiro della persona e in caso sia assente procedete con la manovra di rianimazione cardiopolmonare”.
Cento pressioni al minuto, intense, alla base dello sterno, con entrambe le mani una sopra all’altra, ginocchia ben piantate per terra. “Per darvi il ritmo pensate alla canzone Stain’ alive dei Bee Gees, aiuta!”.
Un codice di condotta per le ong
“Quando arriveremo a 25 miglia dalle coste libiche, ridurremo la nostra velocità di crociera e cominceremo a pattugliare quella che viene chiamata in gergo Sar zone (area di ricerca e soccorso)”, afferma Hauke Mack, il coordinatore di Sos Méditerranée sull’Aquarius. È seduto al computer nella sua cabina e controlla le condizioni del tempo. Vive ad Amburgo e ha lavorato nel settore navale per tutta la vita, fino a quando ha letto sul giornale che Sos Méditerranée avrebbe cominciato a salvare i migranti nel Mediterraneo e ha deciso di mettere a disposizione del progetto le sue competenze.
“Io mi sento europeo, anche se so di avere molte identità: sono tedesco, del nord della Germania. Sono molto critico verso l’Unione europea, ma penso che sia stata un grande passo in avanti per tutti, perché ha garantito soprattutto la pace. Questo le persone tendono a dimenticarselo”.
Come previsto dal vertice dei ministri dell’interno europei che si è svolto a Tallinn, il 18 luglio le organizzazioni non governative hanno ricevuto dal governo italiano un codice di condotta in undici punti, e sono state convocate al ministero dell’interno a Roma il 25 luglio per discutere delle nuove norme. Se non lo dovessero sottoscrivere, il governo potrebbe impedire loro di continuare a operare nel Mediterraneo centrale.
Le nuove norme prevedono tra le altre cose che le ong non entrino nelle acque territoriali libiche, che non spengano mai i transponder delle navi e che facciano salire a bordo su richiesta delle autorità degli agenti della polizia giudiziaria contro il traffico di esseri umani.
“La maggior parte di queste norme sono inutili”, afferma Mack. “Perché sono quelle già previste dalla legge che rispettiamo: non entriamo nelle acque territoriali libiche, non spegniamo i transponder. Quello che facciamo nel Mediterraneo è conforme alla legge: soccorriamo imbarcazioni in difficoltà che è un obbligo per qualsiasi nave”.
Nello statuto di queste ong c’è il divieto di cooperare con le forze armate in qualsiasi parte del mondo
Tuttavia c’è un punto problematico nel codice di condotta, quello che prevede che la polizia salga a bordo delle navi umanitarie su richiesta delle autorità. In particolare per le grandi organizzazioni come Medici senza frontiere e Save the children questo punto potrebbe rappresentare un ostacolo: infatti, nello statuto di queste organizzazioni, c’è il divieto di cooperare con le forze armate in qualsiasi parte del mondo per garantire la neutralità degli spazi umanitari in qualunque tipo di situazione.
“Rispettiamo tutte le norme internazionali in merito ai salvataggi in mare, il fatto di imporci un codice di condotta implica che noi stiamo facendo qualcosa di sbagliato”, afferma Marcella Kraay di Medici senza frontiere. “Quello che facciamo qui è salvare vite umane e sulle nostre imbarcazioni ospitiamo persone molto provate e vulnerabili che possono essere interrogate dalla polizia una volta arrivate in Italia, perché mentre sono sulla nave non rischiano di scappare”.
Secondo Marcella Kraay, i leader europei stanno cercando di distrarre l’opinione pubblica da quello che è il vero problema: la mancanza di canali sicuri e legali per le persone che vogliono raggiungere l’Europa. “Le ong in questo momento stanno mettendo in luce con le loro azioni che le istituzioni europee non si stanno prendendo responsabilità, non stanno facendo il loro dovere e per questo sono sotto attacco”. Per gli umanitari impegnati nei soccorsi è molto chiaro che il problema è il sistema che costringe le persone ad affrontare viaggi pericolosi attraverso il deserto e attraverso il mare per raggiungere un paese sicuro dove vivere. “Ci vorrebbe un codice di condotta per l’Europa, che permette ai suoi stati membri di non essere solidali”, afferma Mack.
“Le persone continueranno ad attraversare il Mediterraneo anche se le ong se ne andranno, come facevano già prima che noi arrivassimo”, assicura Mack. “Ho l’impressione che i leader europei vogliano solo chiudere gli occhi di fronte a questa tragedia, non gli conviene vedere quello che sta succedendo qui. Ma è un’illusione pensare che se le ong se ne andranno le persone smetteranno di mettersi su una barca”. Le persone che vengono soccorse spesso non sanno quanto sia grande il Mediterraneo, anche per questo accettano di salire su barche instabili, secondo il coordinatore di Sos Méditerranée. “Pensano che sia un fiume o un lago, perché molti di loro il mare non l’hanno mai visto”, conclude Mack.
Questo articolo fa parte di un diario che racconta la vita a bordo dell’Aquarius, una delle navi impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo centrale.