Clara Banya e la lotta all’Hiv in Malawi
Clara Banya ha provato sulla propria pelle cosa significa non avere accesso alle cure per l’Hiv. Un’esperienza che unita al suo temperamento ha fatto sì che diventasse un’attivitsta fondamentale per il Malawi nella lotta per il diritto alla salute.
Clara Banya, coordinatrice per il Malawi della comunità internazionale di donne che vivono con l’Hiv (International Community of Women living with Hiv, ICW) e speaker del network internazionale della società civile a sostegno del Fondo Globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, è nata 37 anni fa in Malawi, dove nel 2004 ha scoperto di aver contratto l’infezione da Hiv. Qui, nelle regioni più colpite, più dell’80 per cento di tutte le nuove infezioni da Hiv tra gli adolescenti riguardano le ragazze. Dopo un’esperienza piena di sofferenza e difficoltà, Clara ha deciso di esporsi in prima persona nella lotta per il diritto alla salute delle donne, diventando un’attivista importante nel suo paese. L’abbiamo intervistata.
Cara Clara, come sei diventata un’attivista nella prevenzione e nella cura dell’Hiv? In che modo questa scelta ha influenzato la tua vita, e viceversa?
Dolore e passione. Ho scoperto di essere sieropositiva nel 2004, in quel periodo c’era molto stigma e discriminazione nei confronti delle persone sieropositive. Da sieropositiva, il messaggio che “sarei morta presto” alimentava la rabbia dentro di me e non potevo accettare il pensiero di lasciare sola la mia bambina. Una combinazione che ha determinato in me un forte desiderio di combattere la morte. Nel frattempo, i medici si rifiutavano di curare l’infezione che avevo e io sentivo di essere allo stremo delle forze, non avevo nemmeno quella di sollevare mia figlia, che allora aveva un anno e quattro mesi. Per fare un test dei miei livelli immunitari ho dovuto viaggiare per 400 km, e venne fuori che erano molto bassi. Da allora ho sviluppato la voglia di aiutare gli altri a evitare il trauma che ho passato e contribuire a fermare ulteriormente la diffusione della malattia e la sofferenza.
Adesso sei la coordinatrice per il Malawi della comunità internazionale delle donne che vivono con l’Hiv (ICW), quando e perché hai deciso di assumere questo ruolo? Che tipo di attività portate avanti con questa organizzazione?
Sono stata eletta coordinatrice nazionale per il ramo dell’ICW in Malawi nel marzo 2013. Ho accettato con tutto il cuore questa responsabilità, e come donna mi sento particolarmente coinvolta nel raggiungimento del benessere delle ragazze e dei diritti delle donne. L’ICW Malawi immagina un paese in cui tutte le donne sieropositive possano vivere libere dall’oppressione di genere, che sia capace di realizzare e sostenere i nostri pieni diritti, inclusi quelli sessuali, riproduttivi, legali, sociali, economici e sanitari. Tutti gli sforzi dell’ICW sono volti a garantire e migliorare la qualità della vita per le donne sieropositive. Lo facciamo attraverso la mobilitazione, organizzando, sostenendo, guidando e accrescendo la consapevolezza sulle questioni che incidono direttamente sui nostri vissuti. Per fare questo abbiamo due strategie chiave: costruire un movimento attivo di donne sieropositive forti e consapevoli, che prendano coscienza e rivendichino i propri diritti a livello individuale e sociale, e definire e contribuire all’evoluzione dell’agenda delle donne sieropositive intraprendendo sforzi di difesa strategica per garantire la realizzazione dei nostri diritti umani.
Il tuo paese, il Malawi, ha un tasso di prevalenza dell’Hiv del 10%, e colpisce in modo sproporzionato le donne. Per questo, dal 2003 il paese riceve dal Fondo globale finanziamenti per la prevenzione e la cura dell’Hiv. Stando alla tua esperienza e tenendo conto della storia del tuo paese, qual è stato il contributo principale da parte del Fondo globale nel contrasto all’Hiv?
Ho deciso di entrare nella rete delle persone sieropositive del Malawi e dell’ICW per combattere lo stigma e la discriminazione e sostenere trattamenti accessibili a tutti, cosa che prima non era possibile perché i trattamenti erano molto costosi. Grazie al sostegno del Fondo globale questi trattamenti sono diventati gratuiti, le persone che vivono con l’Hiv non devono pagare per accedere alle cure. Lo stesso vale per la diagnosi precoce di tubercolosi tra le persone sieropositive, abbiamo spinto anche per questo e per aumentare la consapevolezza attorno alla doppia infezione da Hiv e tubercolosi, e sul fatto che la tubercolosi può essere curata contemporaneamente. Il Malawi è tra i paesi a rischio malaria e la mia famiglia, che ha un sistema immunitario compromesso, non è stata risparmiata dalla malattia, ma la situazione è stata attutita dal fatto che con l’aiuto del Fondo globale sono stati forniti alla popolazione insetticidi per le zanzare e farmaci anti-malaria. Personalmente sono incredibilmente grata per il supporto che il Fondo ha deciso di dare al Malawi, nella mia famiglia ci consideriamo persone fortunate, e nonostante le difficoltà che abbiamo affrontato abbiamo deciso di avere un altro figlio, che è nato sano. E questo è stato possibile solo con il sostegno del Fondo e del suo programma di prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’Hiv.
Quali sono state le sfide e gli obiettivi principali che hanno caratterizzato il tuo attivismo?
Le profonde e radicate pratiche culturali che mettono molte donne a rischio di contrarre l’Hiv, il basso reddito e i bassi livelli di alfabetizzazione tra le donne sono state le sfide principali che ho affrontato e continuano a essere un grande ostacolo nelle nostre campagne di lotta e prevenzione dell’Hiv. Con l’attivismo è stato possibile fare pressione all’assemblea nazionale per avere una commissione specializzata sull’Hiv, ottenere la graduale eliminazione di vecchi farmaci che avevano una serie di effetti collaterali gravi soprattutto per le donne, aumentando lo stigma e la discriminazione, e passare a farmaci di nuova generazione.
Che cosa resta da fare?
Restano ancora molti problemi da risolvere qui in Malawi. Le persone sieropositive che grazie al Fondo globale possono accedere alla terapia antiretrovirale di cui hanno bisogno non sono tutte ma circa la metà. Inoltre, le lunghe distanze da percorrere per raggiungere i centri dove è possibile accedere alle cure sono tra i fattori che contribuiscono in maggior misura all’interruzione di queste cure salvavita da parte di molti, tra questi il numero di donne è alto perché particolarmente svantaggiate dal punto di vista economico. Il programma delle Nazioni Unite per la lotta all’Aids entro il 2020 e le nuove linee guida per la cura dell’Hiv messe a punto dall’Organizzazione mondiale della sanità, dicono che le persone sieropositive dovrebbero accedere alle cure indipendentemente dal loro livello di immunità. Sarà una grande sfida per il Malawi. I numeri aumenteranno, e la domanda di accesso alle cure sarà molto alta. Da quando il virus dell’Hiv ha iniziato a diffondersi, l’infezione è stata considerata con paura e trattata come mortale, ma siamo riusciti ad arginarne le conseguenze per trent’anni, grazie alle risorse messe a disposizione dal Fondo globale e ad altri partner. Spero e credo fortemente che possiamo fermare l’Aids entro il 2030, se continueranno i sostegni internazionali per combattere l’epidemia.
da InGenere