COLD WAR – un film che narra il ritorno all’origine – un richiamo fatale di Eros e Thanatos
Dopo l’Oscar per Ida, migliore film straniero del 2015, Pawel Pawlikowski ha ricevuto tre nomination ai premi Oscar 2019 per Cold War, che ha già vinto il Grand Prix dell’ultimo Festival di Cannes. Il regista ambienta le due storie in Polonia, tornando simbolicamente nel paese di origine da cui è andato via all’età di quattordici anni insieme ai genitori. Come in ogni viaggio di ritorno, dall’Odissea in poi, la “terra di origine” è il luogo in cui si palesa ogni verità. Il film Ida racconta, infatti, la storia di due donne – una novizia che sta per diventare suora e sua zia, giudice spietato di sé e degli altri – che hanno bisogno di tornare alle proprie radici per riesumare il passato e disseppellire vissuti ed emozioni. Il ritorno in Cold War è invece richiamo fatale della terra da cui tutto origina, come richiamo è l’eros, “una sorta d’intensità nuda che denuda” (Denis De Rougemont).
Cold War racconta la storia di Wiktor Warski, musicista colto che recupera il repertorio popolare polacco portando al successo la compagnia Mazurek, e di Zula Linchoń, giovane donna, sfrontata e affascinante, con il talento per la danza e il canto. Sullo sfondo del loro amore, si muove un regime politico – quello della Repubblica popolare polacca degli anni cinquanta- che condiziona ogni aspetto della vita. Il Ministro della cultura, complice l’ambizioso Kaczmarek, impone alla compagnia Mazurek canzoni sulle politiche di Stalin, Wiktor fugge verso l’Europa del jazz e della libertà e Zula decide di restare. I due amanti s’inseguiranno nell’arco di quindici anni incontrandosi a Parigi, in Iugoslavia e in altri luoghi fino a tornare nella chiesa polacca, devastata dalla guerra, dove la storia di Cold War inizia.
Pawel Pawlikowski racconta un percorso uroborico ritmato da passionali vicinanze e distacchi ineludibili. La fotografia in bianco e nero di Łukasz Żal sottolinea con eleganza l’essenzialità di un regista attento alla verità dei personaggi; la musica racconta ciò che le parole escludono.
È la Fantasia Improvviso, op. 66 di Chopin a dare “voce” al primo rapimento di Wiktor e Zula. Un turbinio di note si slancia verso l’alto e poi discende per risalire nuovamente in un ciclo senza sosta che prelude al loro amore. Wiktor suona e Zula ascolta estatica guardando verso quell’infinito indicibile che l’attrae e che lei stessa rivela al suo amante attraverso la danza e il canto.
In un’altra scena, è Dwa serduszka una canzone rurale Polacca in versione jazz, a parlare in modo sublime di un “ovest”, mondo estraniante che sofistica ogni cosa, a cui Wiktor sembra aderire mentre Zula si sente respinta. Il distacco ricomincerà l’avvicendamento di Eros e Thanatos spingendo i due amanti verso l’ineluttabile “ritorno”. Tomasz Kot e Joanna Kulig sono bravissimi nei ruoli di Wiktor e Zula.