Come volevasi dimostrare…
Vorrei ritornare, brevemente, all’articolo {Non togliamo le castagne dal fuoco}- suggeritomi dalla lettura di {E se parlassero gli uomini una volta tanto?} di Fulvia Bandoli – per mostrare come e in che misura alcune ipotesi ivi formulate trovino una clamorosa conferma nelle contro-argomentazioni avanzate da un lettore Anonimo.Vorrei ritornare, brevemente, all’articolo [Non togliamo le castagne dal fuoco->3098] – suggeritomi dalla lettura di [E se parlassero gli uomini una volta tanto?->http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=10284] di Fulvia Bandoli – per mostrare come e in che misura alcune ipotesi ivi formulate sulle profonde ragioni del silenzio dei maschi – parlamentari e non – di fronte alla violenza perpetrata dai loro amici di genere contro le donne, trovino una clamorosa conferma nelle contro-argomentazioni avanzate da un [lettore Anonimo->http://presidentblog.splinder.com/post/19316112/violenza+di+genere%2C+se+parlass] – amante dei numeri, delle priorità delle analisi scientifiche, non meglio identificato ma visibilmente risentito – finalizzate, sostanzialmente, alla svalutazione-banalizzazione dell’articolo di Bandoli.
Libera da sospette pratiche di schieramento e di “squadra” di stampo maschile e certa che Fulvia Bandoli non abbia alcun bisogno del mio contributo per ribattere, se vorrà farlo, allo spregiatore Anonimo del suo articolo, mostrerò come le contro-argomentazioni da costui avanzate, rappresentino, al di là delle sue migliori intenzioni, dei clamorosi autogoal.
Ricordo brevemente, per facilitare la comprensione di quanto segue, l’importanza decisiva assegnata, nel mio precedente articolo, al {{concetto di Colpa e al ruolo centrale che la Colpa occupa nella fantasmatica maschile}} e nei comportamenti che ne derivano, costringendo i rappresentanti di questo genere ad attivare potenti strategie di fuga o a perpetuare, in mancanza di vie d’uscita, ostinati e incomprensibili silenzi tutte le volte che, per una ragione o per l’altra, dentro o fuori dal Parlamento, sono costretti a esprimersi e a confrontarsi con il problema della violenza contro le donne.
Ebbene, non è certo un caso che sia proprio la Colpa, più precisamente una colpa nella sua dimensione soggettiva di “mea culpa”, a balzare in primo piano – puntuale come sempre e come inequivocabilmente confermato dalla clinica del maschile – nelle parole enunciate dal nostro Anonimo il quale, senza volerlo e senza saperlo, si intrappola da sé indicando lui stesso, con inimitabile innocenza, quello che per lui, uomo, e per gli uomini tutti, in generale, è il tallone d’Achille, il punto critico di massima fragilità: una Colpa soggettiva (“mea”), una ferita che brucia.
A commento dell’articolo di Bandoli, {{scrive infatti l’Anonimo}}:
“Beh! Come si pretende che gli uomini parlino se a loro si chiedono solo mea culpa?”
Viene così enunciata, senza ambiguità, la ragione per cui gli uomini tacciono. _ Loro non parlano, dunque, e alzano un muro di silenzio a causa di una supposizione del tutto immaginaria: immaginando, per l’appunto, che qualcuno, nella fattispecie le donne, siano lì a domandare, a pretendere qualcosa da loro: una dichiarazione-ammissione individuale, personale, di colpevolezza.
Inutile dire che a far scattare l’Anonimo come una molla, a fargli perdere testa, buone maniere, lucidità di pensiero e obiettività di giudizio, è proprio questa supposizione assai comune e facilmente riscontrabile, del resto, persino nelle più minuscole reazioni comportamentali dei maschi e pur in assenza della benché minima intenzione, da parte di chicchessia, di affibbiare loro una colpa!
Sorge allora il legittimo sospetto che sia forse pretendere troppo, che sia troppo complesso e sofisticato, per la linearità della mente patriarcale, riuscire a distinguere e a connettere.
_ Riuscire a cogliere la differenza profonda che passa fra l’imputazione immaginaria, fantasmatica, di una colpa personale, rivolta al tale o tal altro singolo soggetto maschio in carne e ossa, e una richiesta rivolta ai rappresentanti di genere maschio di Riconoscere una Responsabilità di genere, Storica Simbolica, Etica e Politica nell’aver eliminato dalla storia metà del genere umano.
E’ forse troppo chiedere questo e pretenderlo, una volta raggiunta la consapevolezza che senza un Atto Simbolico di questa portata, {{senza un Atto di riconoscimento che comporta una presa di distanza da un Crimine Simbolico storicamente compiuto contro le donne}}, nessuna trasformazione reale, nessun miglioramento nella relazione fra i sessi sarà possibile non senza conseguenze per la Vita di tutti e di tutte?
Nulla mi autorizza a parlare in nome delle donne ma è certo che, come donna, questo chiedo e pretendo.
_ Non dovrebbe essere semplice, logico e normale, per degli uomini sani e dotati di Logos, amanti della Vita e interessati alla sopravvivenza della specie, attivarsi e prendere, loro per primi, la distanza simbolica necessaria per Differenzirsii da quei simili che praticano la violenza ogni giorno?
_ Che cosa impedisce loro di farlo?
_ O condividono, forse, il pensiero dell’Anonimo che, incapace di contenere il suo risentimento, scrive:
“del femminismo nessuno può dire nulla nonostante che di cretinate ne abbia dette e ne continui a dire”.
In verità, del “femminismo” troppo s’è detto, utilizzando questa parola come un discrimine – risultato di uno dei tanti antagonismi alimentati dal patriarcato – fra donna e donna fra le “femministe” e le altre.
_ Non risultando, inoltre, che qualche “femminista” abbia mai avviato dei processi di beatificazione delle donne, non è affatto escluso, certo, che anche il genere femmina abbia la sua parte di cretineria, ma è altrettanto sicuro che a insanguinare la Terra non è stata la cretineria delle donne ma la Ratio insensata degli uomini.
L’andamento involutivo del pensiero e della critica del nostro Anonimo, procede poi all’insegna della verità e della fedeltà alla medesima e ben nota logica dell’opposizione dicotomica e antagonista: evita, riduce, ridimensiona la violenza di genere contrapponendole – grazie al ricorso oppositivo grande o piccolo, superiore o inferiore – gli incidenti stradali, gli infortuni domestici, gli incidenti sul lavoro.
_ Leggiamo:
“vogliamo dire la verità? Beh, diciamola allora: gli incidenti stradali, gli infortuni domestici, gli incidenti sul lavoro sono un problema di almeno un ordine di grandezza superiore alla violenza di genere (che non riguarda solo quella “maschile” sul femminile”).”
Il fatto è che il nostro Anonimo, nel fare questa brillante operazione, non si accorge che estendendo i confini del campo della violenza a “un problema di almeno un ordine di grandezza superiore alla violenza di genere”, nel maldestro tentativo di ridurre e ridimensionare – per via della Colpa – la violenza del maschio sulla femmina, finisce per fotografare lui stesso, come meglio non si potrebbe, non un’”ideologia” ma la realtà esistente: {{una violenza maschile generalizzata}} che, ben lungi dall’esplicarsi solo nei riguardi delle donne, investe ogni ambito della vita e della società civile assumendo un carattere universale.
Sono note, infatti, e statisticamente documentate, le responsabilità dei maschi al volante negli incidenti stradali, così come conosciamo bene quegli {incidenti domestici} che, come gli uxoricidi, riguardano ben altro che inciampi o scottature e non è un mistero che i Padroni responsabili delle Aziende in cui si verificano gli incidenti sul lavoro non sono delle Padrone.
_ Sappiamo persino – e a ricordarcelo è l’Anonimo stesso – che le violenze aumentano per le categorie di persone da lui correttamente indicate con l’articolo rigorosamente maschile plurale: pregiudicati, tossicodipendenti, alcolizzati, immigrati.
_ E dunque?
Come non essere d’accordo con il nostro Anonimo sulla dimensione spaventosa delle cifre relative alla violenza maschile in generale, sia essa esercitata contro le donne o no? E’ questo è il punto, proprio questo.
E che cosa – se non l’andamento lineare del suo pensiero incapace di contenere più di una sola cosa alla volta – gli fa credere che la protesta delle donne contro la violenza di genere sia il prodotto di un pensiero identico e assimilabile al suo, di un pensiero che scinde e separa, incapace, come il suo, di cogliere le connessioni (che le donne sono invece perfettamente in grado di cogliere), fra la violenza di genere e la serie infinita delle possibili declinazioni della violenza maschile?
Ebbene, per evitare che altre menti allenate a scissioni e separazioni possano fare della protesta delle donne contro la violenza di genere il più distorto degli usi possibili riducendola – com’è sempre avvenuto – a una guerra di “contrapposizione” delle donne contro l’uomo, c’è un solo modo: restituire antagonismi e contrapposizioni di genere al legittimo proprietario, il Patriarcato, dimostrando che alla mente patriarcale e NON alle donne questa contrapposizione si deve.
{{Solo l’abbandono definitivo della coppia vittima-carnefice}} – dicotomia su cui il pensiero maschile ha incrementato la sua fortuna contribuendo all’arresto della crescita del movimento delle donne e alla sua stasi, {{può assicurarne la Ripresa}}.
Ma temo che nessuna crescita, nessuna Ripresa, nessuna possibilità di nuove aggregazioni di donne sarà possibile se il femminismo – o, se si preferisce – i femminismi non saranno in grado, senza rinnegarsi, di transvalutarsi, uscendo da se stessi.
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