Con l’emancipazione economica la violenza sulle donne cambia modalità e target.
Il rapporto appena pubblicato dalla Commissione europea a partire da un’indagine condotta su 40mila donne, spiega come interagiscono violenza e indipendenza economica
articolo di Francesca Bettio e Elisa Ticci
Lotta alla violenza sulle donne. Ne riparliamo in occasione dell’8 marzo perchè questa battaglia riesce a coinvolgere in modo trasversale donne – e uomini – che i mille sentieri dell’emancipazione talvolta avvicinano, talvolta separano. L’emancipazione per l’appunto, soprattutto quella economica. È come se, per le donne, lo sforzo di conquistarla avesse oscurato per decenni la dimensione del “bubbone violenza” nell’illusione mai detta, ma implicita e condivisa, che più ci si integrava nell’economia e se ne traeva indipendenza più il tessuto sano dell’emancipazione avrebbe arginato la piaga. Quando finalmente si è iniziato a catalogare e a “contare” in maniera sistematica le diverse forme di violenza – dal femminicidio alle molestie sessuali – i numeri hanno scosso quest’illusione, riportando al centro della scena l’urgenza di combattere.
Ma davvero l’emancipazione economica non è in grado di incrinare la violenza sulle donne o rischia addirittura di attizzarla? Aver visto cadere qualche illusione in merito non significa avere risposte certe. Cosa sappiamo della relazione fra indipendenza finanziaria ed esposizione alla violenza? Prendiamo, per esempio una donna che lavora fuori casa: è più o meno esposta al rischio di violenza rispetto a una madre casalinga o ad una donna che ha perso il lavoro? Oppure prendiamo donne ben istruite e che magari guadagnano più del compagno: l’aver rotto lo stereotipo del maschio che porta a casa la pagnotta le espone ad una maggiore violenza? O ancora, lasciare un compagno violento è più facile per una donna che dispone di risorse economiche proprie? Parlando di politiche di contrasto, i centri anti-violenza possono assistere le donne nell’interrompere una relazione violenta, ma facilitano la ricollocazione nel mondo del lavoro?
Le domande sono tante e molte hanno trovato spazio in una letteratura che attraversa ambiti disciplinari molto diversi – dalla criminologia all’economia – ma che, finora, ha fornito relativamente poche risposte certe, lasciando molti punti interrogativi. Ciò ha spinto la Commissione europea a ritornare sul tema con uno studio ad hoc, approfittando della prima indagine condotta a livello europeo dalla Fundamental Human Rights Agency (FRA).
Il campione dell’indagine FRA è di tutto rispetto, 40.000 donne accuratamente selezionate per garantire che ogni paese membro fosse rappresentato con numeri non troppo piccoli e una metodologia di rilevazione molto accurata. Per ovvie ragioni, il femminicidio è l’unica forma di violenza non contemplata dal questionario.
Non è facile condensare in poche righe i risultati che lo studio comunitario ha prodotto in risposta alla nutrita batteria di domande con cui sono stati interrogati i dati FRA. Con qualche semplificazione, un messaggio di fondo però c’è, ed è che, con l’emancipazione economica, la violenza sulle donne si sposta e cambia target. Lo spostamento avviene dallo spazio privato della violenza per mano del partner a quello pubblico delle molestie sessuali. Nell’ambito dello spazio privato cambiano i target – il rischio di violenza domestica si attenua, per esempio nei confronti di mogli o compagne che arrivano a guadagnare quanto il partner, ma aumenta per mogli o compagne che rompono gli stereotipi guadagnando più del partner. Un secondo messaggio di fondo è che non si può genericamente parlare di violenza quando se ne studiano i legami con l’indipendenza economica, perché quella fisica si comporta diversamente da quella sessuale o da quella psicologica, per non parlare delle molestie sessuali sul lavoro o in altri luoghi pubblici.
Per approfondire procediamo con esempi scelti, in formato botta e risposta. Nello studio si trova molto di più.
Una donna che lavora è più esposta al rischio di subire violenza?
No, per quanto riguarda la violenza perpetrata dal partner. Sì, nel caso di molestie sessuali da parte di altri maschi. Ma il disagio economico della famiglia fa differenza. A parità di condizioni economiche della famiglia, la probabilità di aver subito molestie sessuali nel corso dei dodici mesi che hanno preceduto l’intervista è maggiore per una donna che ha un’occupazione rispetto a una casalinga, una pensionata o una disoccupata di lungo corso. Non è invece statisticamente diversa nel caso di violenza fisica o sessuale perpetrata dal partner. Se però si rimuove la clausola di parità di condizione economica del nucleo di appartenenza, emerge la possibilità che avere un’occupazione protegga le donne degli strati economicamente meno abbienti. Uno dei risultati più solidi che lo studio registra è che vivere in un nucleo familiare economicamente disagiato accresce notevolmente la probabilità di subire abusi di ogni tipo – violenza fisica sessuale e psicologica dal proprio partner o molestie sessuali da non partner. Perciò lavorare rappresenta un fattore di protezione per lei nella misura in cui il suo reddito permette alla famiglia di mantenersi al di sopra della soglia di povertà.
Quando lei guadagna di più, aumenta il rischio che lui sia violento nei suoi confronti?
Il rischio tende a crescere sia quando lei guadagna di più che quando lei guadagna decisamente meno di lui. Nel complesso, cioè, la strategia “premiante” sembra essere quella di guadagnare abbastanza ma non troppo. Tuttavia, i risultati variano a seconda del tipo di abuso. Quando lei guadagna di più l’aumento di rischio riguarda l’abuso sessuale, mentre quando lei guadagna meno, cresce anche l’esposizione a violenze di tipo psicologico. Per contro, la violenza di natura fisica sembra rispondere poco alle disparità di reddito all’interno della coppia.
La disoccupazione influisce sulla violenza domestica?
Il problema rispetto alla disoccupazione è che sembra contare solo quando si associa a un improvviso deterioramento di condizioni economiche, una condizione che gli economisti chiamano shock. Per esempio, l’incidenza della violenza domestica è maggiore fra le donne entrate in disoccupazione poco prima dell’intervista, non fra le disoccupate di lungo corso (a parità di altre condizioni, incluse le condizioni economiche del nucleo familiare di appartenenza). Rispetto alle attese sollevate dalla letteratura, però, il dato più sorprendente è che nemmeno la disoccupazione del partner sembra avere un’influenza forte e netta sulla frequenza e sull’intensità della violenza domestica nei confronti della donna. Conta molto, invece, il livello di istruzione: avere un partner poco istruito raddoppia la probabilità che lei abbia subito abusi di carattere fisico o sessuale, nell’anno che precede l’intervista.
Dato che il disagio economico e il deteriorarsi improvviso delle condizioni di reddito si associano a un incremento della violenza, dovremmo aspettarci un trend crescente per gli anni della crisi?
Nel complesso sì, anche se le aspettative rispetto alla crisi non sono univoche perché la relazione fra violenza sulle donne e loro condizioni economiche non è lineare, come indicano i pochi esempi che abbiamo riportato.
L’indagine FRA non è in grado di cogliere gli effetti della crisi, ma da qualche anno l’Eurostat rilascia medie annuali di fonte giudiziaria da cui si possono trarre alcune indicazioni, seppure parziali. I dati coprono solo gli episodi di violenza più gravi, in particolare lo stupro, le molestie sessuali e il femminicidio. Se si mettono a confronto le medie per il triennio 2008-11 con quelle del biennio 2012-14 si scopre che gli stupri sono aumentati in percentuale alla popolazione solo in una minoranza di paesi comunitari ma si tratta di una larga minoranza (8 sui 20 per i quali si dispone della serie temporale). Inoltre, la maggioranza dei paesi comunitari ha registrato una maggiore incidenza di altri tipi di violenza sessuale nell’arco della crisi – ad esempio Spagna, Malta, Lituania, Repubblica Ceca, Norvegia e soprattutto Austria, Regno Unito, Lussemburgo e Irlanda.
Per quanto parziali, dunque, i riscontri di fonte Eurostat sugli anni della crisi non sono tali da smentire i timori sollevati dall’indagine FRA. Ricordiamo però che l’indagine non riguarda il femminicidio, che viene invece rilevato dalle serie Eurostat. Secondo quest’ultima fonte, la prevalenza del femminicidio (casi in rapporto alla popolazione femminile) è scesa negli anni di crisi probabilmente seguendo un percorso di più lunga durata.
Paradossalmente, dunque, la nota di speranza viene principalmente dall’affievolirsi della violenza più efferata, quella che non lascia scampo alle vittime. Ma ciò non può farci dimenticare i danni per chi sopravvive a forme di violenza meno grave, magari convivendoci nel quotidiano. L’analisi sull’indagine FRA offre riscontri empirici molto espliciti in proposito: le donne che mostrano consapevolezza di poter contare su una rete di servizi anti-violenza hanno una maggiore probabilità di interrompere una relazione in cui vengono abusate. L’associazione è empiricamente robusta e spezza una lancia a favore del potenziamento di questi servizi. Qualcuno ascolta a palazzo Chigi?
Note
[1]I dati Eurostat distinguono fra rapes (stupro) e sexual assault (tentativi o atti sessuali indesiderati non pari allo stupro, violenza sessuale con o senza contatto fisico, violenza sessuale facilitata da droga, molestie e minacce di natura sessuale), ma non tutti i paesi seguono questa classificazione e pubblicano quindi i dati solo per “sexual assault” o per “rape”. Il dato di violenza sessuale per l’Italia, per esempio, include anche i casi di stupro denunciati dalle forze di polizia all’ autorità giudiziaria.