Adele Bei
Sindaco di Corciano e Maria paola Fiorensoli

Nello splendido complesso di S. Antonio Abate a Corciano, nell’ambito dell’ottava tappa della Mostra 1946: il voto delle donne, il 1° maggio è stato dedicato ad Adele Bei, tra le più significative italiane del Novecento, donna generosa e appassionata che in coerenza con i propri alti ideali ed etiche fin da giovanissima si spese in tutti gli ambiti: familiari, antifascisti, di prigionia (Roma e Perugia) e di confino (Ventotene), partigiani, associativi (Udi), parlamentari Pci) e sindacalisti (Cgil).

S.Scassellati, B.Mischianti, F Taricone

In apertura, sono stati proiettati due filmati: quello gentilmente messo a disposizione da Gabriele Romani e girato da una classe del liceo “Alessi” con interessanti interviste a due corcianesi, maggiorenni nel 1946, una che ha votato repubblica e l’altra monarchia; quello su Ravensbruck- storia di deportate italiane di Ambra Laurenzi, prodotto dall’Aned e dalla Fondazione Memoria della Deportazione. Due momenti di grande impatto e diversamente commoventi, diremmo ineludibili alla divulgazione specie giovanile e scolastica.

Nel suo intervento, Barbara Mischianti (Segretaria Cgil regionale Umbria) ha sottolineato come Adele Bei, abbia “sempre portato avanti battaglie e modi di agire, nel sindacato, caratterizzati da una idealità, coraggio e autonomia. Lei  cominciò a declinare al femminile anche il nome della categoria che guidava e la guidava così d’impeto che riuscì a mettere a rete il movimento delle tabacchine. Lo fece tanto bene che sembrò aderente più ad Adele Bei  che al sindacato. Anche per questo ne fu estromessa”.

“Di lei”, ha aggiunto Mischianti, ringraziando perché l’occasione le ha offerto una rivisitazione di un personaggio alquanto misconosciuto nonostante i meriti, le cariche, gli apporti, “dovremmo fare un esempio per noi stesse; nella vita sindacale e non solo. Lei lottò contro un sindacato escludente in cui ancora oggi, nonostante la norma odierna antidiscriminatoria che permette a tante di esserci, sussistono distanze. Il punto non è dove si arriva ma come si ricopre il ruolo sindacale. Dobbiamo riappropriaci del messaggio che Adele Bei ci ha dato. La frammentazione del mondo del lavoro rischia oggi di isolare nuovamente le donne. C’è una frammentazione dei corpi intermedi; c’è paura nei posti di lavoro e c’è paura di mettersi in contrasto con il mondo del lavoro. Adele Bei ha sempre preso e mantenuto le sue posizioni e non ha temuto il conflitto.”

A sua volta, Giovanna Scassellati (Udi nazionale), nel  ricordare figure di donne (es. Elettra Pollastrini, Elsa Damiani di Spello), costruttrici di pace, libertà e democrazia, ha sottolineato come “..a seguito del voto, quasi 2000 donne entrarono nella politica istituzionale, in realtà in gran parte iscritte al Pci e all’Udi” e come la caratteristica comune del loro impegno nell’antifascismo, nella conquista del voto e nella costruzione della Repubblica, fosse sempre trasversale, “con meno rivalità tra donne e più collaborazione su obiettivi importanti”. Ha anche ricordato che il maggior radicamento dell’Udi in Umbria sia avvenuto nel ternano, una delle zone più industrializzate: “…oggi c’è la necessità di rilanciare l’Unione delle donne in Italia (Udi) in una regione che ha sempre avuto una forte presenza femminile operaia, contadina e nel terziario. Occorre inoltre incrementare le ricerche storiografiche e divulgare il protagonismo delle donne.”

Sui women’s studies, loro finalità e ruolo, presenza in Italia, ruolo delle scuole e delle Università nel comporre e trasmettere una narrazione più equilibrata e veritiera superando discriminazioni, omissioni e mistificazioni su ciò che riguarda il femminile, in tutti i campi, è intervenuta Fiorenza Taricone (docente di Storia delle dottrine politiche Uni. Cassino e Lazio Meridionale-Consigliera di Parità di Frosinone) che ha descritto anche l’impostazione della Mostra caratterizzata da ricerca documentale e fotografica e da testimonianze raccolte nella relazione di volta in volta instaurata con il territorio.

Adele Bei

Ha anche tracciato un profilo delle 21 Madri costituenti e biografato il lungo arco di vita e d’impegno di Adele Bei che nelle sue tante lotte non si dimenticò mai di essere una donna e di lottare per i diritti e la dignità delle donne. Ciò avvenne anche durante la carcerazione, con la formazione di “famiglie” tra le detenute politiche, finalizzate al reciproco sostegno e allo studio in vista di un lontano ma dato per certo futuro migliore, per loro e per le nuove generazioni.

Chi scrive, ha approfondito i sette anni e mezzo di carcere duro trascorsi da Adele Bei nel penitenziario di Perugia e letto brani dei suoi carteggi, tra l’altro costituenti una rara testimonianza del regime carcerario per le “politiche” nelle tre sedi carcerarie (Venezia, Perugia, Trani) del Tribunale Speciale per la Salvezza dello Stato (attivo dal 1923 alla caduta del fascismo). Adele Bei, arrestata e interrogata dall’Ovra, dopo la condanna a 18 anni di pena fu trasferita a Perugia dove ne scontò sette e mezzo prima del confino a Ventotene. La sentenza attenne alle attività clandestine operate all’estero e in Italia contro il regime fascista, ma con tre aggravanti: l’essere una donna che si “impicciava” di politica in contrasto con il ruolo “naturale”, l’unico valorizzato dal fascismo, di moglie fedele e comprensiva e di madre prolifica; aver fatto crescere i figli (Angelina e Ferrero) all’estero, “sottraendoli” all’educazione voluta dal Duce; aver “costretto” con il suo comportamento, non pentito, non remissivo, per i predetti “crimini”, i giudici a “punirla”.

Per i contributi su Adele Bei nella Mostra e nell’incontro del 1° maggio rimandiamo allo “Speciale Adele Bei”, de “il Foglio de il Paese delle donne”, nell’archivio della testata.

Segue la biografia stesa da F. Taricone; l’intervento di B. Mischianti (Cgil), di Giovanna Scassellati Sforzorini (Udi) e di chi scrive.

Ricordiamo che lo Speciale “Adele Bei”, n. 1 2017 de Il Foglio de il Paese delle donne, è nell’archivio della testata.


 

Barbara Mischianti  – Segretaria CGIL regionale Umbria così parla di ADELE BEI, SINDACALISTA DELLA CGIL

Autonomia, grande determinazione e impegno per i diritti delle donne.

Se si vogliono ricercare le caratteristiche distintive della figura di Adele Bei (1904-1976), antifascista, esule e prigioniera politica durante il ventennio, e poi madre costituente, sindacalista nella Cgil e parlamentare nelle file del Pci, è da qui che bisogna partire.

Nella sua attività sindacale al fianco delle lavoratrici tabacchine Adele Bei denunciò con forza le tristi condizioni di lavoro e di vita delle operaie, richiamando costantemente l’attenzione della pubblica opinione e riuscendo a far crescere nelle lavoratrici la consapevolezza dei propri diritti e aiutandole ad emanciparsi in un mondo tutto al maschile. Tuttavia, la sua determinazione nell’assumersi decisioni in totale autonomia, indipendentemente dalle gerarchie interne, le costò l’estromissione dagli organismi dirigenti del sindacato.

Anche la sua forte propensione alla rivendicazione dei diritti delle donne, con l’impegno nella costruzione di una nuova classe dirigente sindacale al femminile (fu la prima ad usare un linguaggio di genere anche rispetto alle categorie sindacali), comportò certamente una difficoltà nei rapporti con i meccanismi di potere dell’epoca.

Questo non le impedì di continuare a condurre la battaglia per il lavoro, non solo quello delle donne, che per lei rappresentò sempre l’elemento fondamentale del suo impegno politico.

Adele affermava che «risolvere i problemi del lavoro significa risolvere tutti i problemi della vita nazionale. Se in una nazione non si risolve il problema del lavoro, la nazione non progredisce.»

Un messaggio certamente di grande attualità che ci piace ricordare oggi celebrando la figura di una delle nostre donne eccezionali.


 

Adele Bei

Scheda di FIORENZA TARICONE   –    Adele Bei, Costituente e Madre della Repubblica, nasce a Cantiano, in provincia di Pesaro, da Angela Broccali e Davide Bei, boscaiolo, terza di 11 figli. Sicuramente la famiglia, di fede socialista, sarà determinante per le sue scelte politiche; partecipa infatti fin da giovanissima a manifestazioni di protesta per una maggiore giustizia sociale.  Nel 1923, sfugge all’arresto del fascismo, da poco al governo del Paese, emigrando in Belgio e Lussemburgo con il marito Domenico Ciufoli, sposato nel 1922. Ciufoli, nel 1921, era uscito dal Partito socialista per fondare con Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Pietro Secchia e Umberto Terracini il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I).

All’estero, dove nascono i due figli, Ferrero e Angela, organizza riunioni clandestine di operai, diffonde stampa comunista e s’impegna nel Soccorso Rosso, organizzazione internazionale per i/le combattenti della rivoluzione creata alla fine del ‘22 per offrire sostegno materiale, giuridico e morale ai detenuti ed emigrati politici e alle loro famiglie. Dal 1925 fa parte dell’organizzazione del Partito Comunista; rientra  clandestinamente più volte in Italia.

Arrestata a Roma nel novembre del 1933, resiste per dieci giorni, in Questura, agli interrogatori dell’Ovra, senza delazioni. Dopo otto mesi di carcere preventivo alle Mantellate di Roma e un processo farsa di venti minuti, è condannata, ‘8 marzo ‘34), dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a 18 anni di reclusione; trasferita, due mesi dopo, nel penitenziario di Perugia, sconta sette anni e mezzo, il primo anno in completo isolamento anche durante l’ora d’aria.

Le detenute “comuni” sono separate dalle “politiche”, una ventina su 600, tra le quali Camilla Ravera; il gruppo forma una famiglia – di cui lei, per anzianità, è la mamma – finalizzata all’aiuto alle malate e al sostegno reciproco nelle dure prove per l’ottenimento di alcuni diritti, quali alcune ore di vita in comune e di studio per “migliorarsi” individualmente e poter un domani, in una nuova Italia, sostenere la loro causa.

Confinata nell’isola di Ventotene, certo oggi difficile da immaginare come luogo di punizione, ha modo di frequentare i dirigenti comunisti Di Vittorio, Terracini, Scoccimarro, Secchia e altri perseguitati politici. Esce due anni e mezzo dopo, con la caduta del Fascismo.

Rientrata fortunosamente a Roma, il 18 agosto del ‘43, sfugge più volte all’arresto dei tedeschi e dei fascisti durante la Resistenza. Partigiana combattente con il grado di Capitano, tiene le relazioni con i gruppi del Lazio e partecipa ai Gruppi di difesa della donna che organizzano anche gli assalti ai forni.

Dopo la Liberazione, nel 1945, è designata dalla CGIL a far parte della Consulta Nazionale, unica donna tra le consultrici a essere designata da un sindacato e non dal partito. Come responsabile della Consulta femminile della CGIL, nell’ottobre del ‘45, guida una delegazione di protesta contro i licenziamenti delle impiegate nell’amministrazione ferroviaria, deciso da Ugo la Malfa, allora Ministro dei Trasporti. Nel Partito Comunista fa parte della Commissione centrale di controllo e del Comitato regionale delle Marche.

Nell’Unione Donne Italiane, di cui è una delle componenti del consiglio direttivo, si batte per una vita decente nelle campagne, rivendicando assistenza medica, formazione scolastica e patti agrari uguali per uomini e donne. Sostiene dagli esordi e diventa Segretaria del sindacato nazionale delle combattive Tabacchine.

Eletta alla Costituente, nella prima legislatura, è senatrice: come si autodefiniva, antesignana del linguaggio non sessista. Senatrice, peraltro, lo era di diritto, in base alla III Disposizione transitoria della Costituzione che prevedeva la nomina senatoriale, con decreto del Presidente della Repubblica, per i/le deputati/e dell’Assemblea Costituente in possesso dei requisiti di legge e che avessero scontato più di 5 anni di reclusione a seguito di condanna. Rieletta nella seconda e terza legislatura, fa parte di numerose Commissioni occupandosi di Lavoro, Emigrazione, Cooperazione, Previdenza, Assistenza, Finanze e Tesoro.

Muore a Roma dopo aver lottato una vita  per l’emancipazione femminile, il progresso della società, la libertà, la democrazia.

Il Comune di Roma ha dedicato ad Adele Bei e ad altre 6 partigiane, la pista ciclopedonale che da Ponte Milvio raggiunge Castel Giubileo.


 

 

Annalisa Lizzi Custodi

GIOVANNA SCASSELLATI SFORZOLINI  dell’ Unione Donne in Italia è intervenuta dicendo: Sono onorata di essere stata invitata in una giornata cosi importante, la festa dei lavoratori; essere qui  con voi a ricordare Adele Bei antifascista, madre della costituente come tante altre donne che hanno sofferto l’esilio, la prigione e il confino durante il fascismo, poi partigiane e nei Gruppi di Difesa della Donna (GDD) hanno partecipato alla costruzione della pace.  In Umbria, l’Unione Donne Italiane (oggi Unione Donne in Italia) conta tra le maggiori esponenti del dopoguerra, Anna Lizzi Custodi, una pioniera della politica che si conquistò un posto nella sfera pubblica come responsabile dell’Udi di Terni ed, esponente del Pci, fu Consigliera comunale, provinciale e regionale. Sindacalista a Terni, aprì una scuola di cucito che servì ad altre donne, mogli degli operai o contadini, ad uscire dalla fame; fece scuola politica anche tra le contadine orvietane contro la legge truffa e l’8 marzo del 1954 fu denunciata e processata per aver distribuito mimose (intervista di Daniela Carpissassi, Con le donne e non solo, Thyrus, 2001).

Anna Lizzi Custodi insegnò alle donne autonomia e l’importanza di avere un reddito.

Oggi il problema del lavoro è grave in un paese dove l’occupazione femminile non supera il 24 %, con differenze enormi fra nord e sud. Soprattutto, le donne sono perdenti nel non avere una laedership; superare il tetto di cristallo rimane una lotta quotidiana e disumana.

Dobbiamo alzare la voce e cercare di costruire più Europa, quella che è stata pensata a Ventotene.

In Africa le donne sono portatici di pace. Il futuro del pianeta dipende dal dare a tutte le bambine la possibilità di studiare e di esprimersi. «Alle donne spetta il compito più arduo e costruttivo per inventare la pace» (L. Montalcini), e per lottare, come tutte noi, per la loro libertà e autonomia.

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 Scheda di  MARIA PAOLA FIORENSOLI   Presidente Il Paese delle donne su  Il Tribunale Speciale per antifasciste/i (1928-1943)

(Lapide sulla cinta muraria del carcere femminile di Perugia posta l’8 ottobre 1979)

 Sacrificando liberà e affetti / le condannate del Tribunale Speciale / qui rinserrate / nel gelido silenzio di queste mura tenebrose / contribuirono  a riconquistare all’Italia / contro l’odiosa dittatura fascista / democrazia e indipendenza / assicurando insieme alle sue donne / buon titolo alla parità dei diritti / da sempre loro negata / per susseguirsi di epoche e di civiltà / i cittadini democratici di Perugia / riconoscenti / ne affidano la memoria e l’insegnamento alle giovani generazioni.

Vittorio Emanuele III di Savoia e Benito Mussolini istituirono un Tribunale Speciale per la salvezza dello Stato, strumento elettivo di repressione politica per sradicare qualsiasi opposizione al Regime da parte di singoli/e, enti, aggregazioni della vita civile e religiosa (Legge n. 2008 del 25 novembre 1926, G. U. 6.12.1926, n. 281)

La Legge previde la condanna a morte per ogni fatto «diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del Re o del Reggente” (art. 1), “della Regina, del Principe ereditario e del Capo del Governo» (art. 2); dai 15 a 30 anni di carcere per chi «promuoveva ed organizzava simili azioni»; dai 5 a 15 anni per chi ne facesse «apologia sia a voce che a mezzo stampa» (art. 3); dai 3 a 10 anni per chiunque «ricostituisse sotto qualsiasi forma e nome, associazioni, organizzazioni, sindacati o partiti disciolti per ordine della pubblica autorità […] e da 2 a 5 anni per i/le loro associati/e» (art. 4); dai 5 ai 10 anni per chiunque, fuoriuscito/a o esiliato/a, «dall’estero criticasse la patria e le sue autorità»; la pena, in contumacia, riguardava la perdita della cittadinanza, la confisca o il sequestro dei beni, l’interdizione dai pubblici uffici (art. 5), come in tutti gli articoli precedenti.

La nuova e funesta istituzione «segnò l’apice dell’istituzionalizzazione dell’arbitrio e della violenza fascista», come si legge nella ricerca documentale di M. Mammuccari e A. Miserocchi , Le donne condannate dal Tribunale speciale recluse nel carcere di Perugia (La Pietra, 1980) sulle sentenze emesse contro le donne e incarcerate dal Tribunale Speciale a Perugia. Sentenze che «non prevedevano il ricorso, solo la revisione».

Il Tribunale Speciale era presieduto da un Ufficiale del Regno d’Italia scelto tra i suoi membri, rappresentanti l’esercito, la marina, l’areonautica e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, tutti con diritto di voto mentre mancava del voto il Relatore scelto tra il personale della giustizia militare.

Dal 1926 al 1943 – quando fu sciolto nella prima riunione del governo Badoglio (29 luglio 1943, D. L. n. 668) – il Tribunale Speciale emise circa 5000 sentenze, quasi tutte per antifascisti/e di fede socialista o comunista, molti/e di loro rimasti/e senza nome o non sopravvissuti/e alla prigionia.

Tra i più antifascisti esaminati dai quei Giudici, anche Sandro Pertini (7° Presidente della Repubblica Italiana), arrestato dopo l’esilio in Francia e confinato a S. Giorgio.

La ricerca documentale di M. Mammuccari e A. Miserocchi riguarda 150 sentenze emesse dal Tribunale Speciale contro le antifasciste inviate nel carcere perugino, 26 delle quali furono assolte, 38/39 rinviate ad altro giudizio, le restanti condannate a pene dai 2 ai 18 anni.

Le prime condannate vi entrarono, fra Novembre e Dicembre del ’27: Giorgina Rossetti di Novara, Lucia Minon di Trieste e Zaira Cianchi di Firenze.

Molte antifasciste che non avevano ancora finito di scontare la pena, alla chiusura del Tribunale Speciale furono condannate al confino di Polizia, soprattutto nelle isole maggiori o minori, senza neppure avere il tempo di un saluto ai familiari, tra loro:

 Clara Balboni, Anna Bazzini, Adele Bei, Maria Bernetich, Anna Bessone, Francesca Vera Ciceri Invernizzi, Cesira Fiori, Lea Giaccaglia, Ergenite Gili, Lucia Gobetto, Antonia Logar, Rosa Messina, Lucia Olivo, Marcellina Oriani, Anna Pavignano, Maria Maddalena Pizzato, Anita Pusterla, Camilla Ravera, Giorgina Rossetti, Albe Spina, Carmelina Succio, Iside Viana, Valeria Wachenhusen.