Corpi come luogo pubblico
Per gentile concessione della rivista Leggendaria pubblichiamo questo intervento di Assunta Sarlo: “Leggi e decreti si abbattono come clave sui più deboli: morenti da tenere in vita, donne di nuovo solo vittime da proteggere, migranti da controllare ad ogni costo”Il sole raro di un inverno freddo illumina piazza Duomo a Milano.
_ Il 21 febbraio la piazza è degli operai senegalesi che arrivano da Brescia, delle badanti sudamericane che stanno con i nostri vecchi, delle tante facce dell’immigrazione che lavora e costruisce futuro.
_ E anche di tutte le italiane e gli italiani che non ci stanno al “noi” e al “loro”, che si trovano qui dopo le settimane che hanno allineato, in una mortificazione civile che ha pochi precedenti, il decreto sicurezza con l’obbligo per il personale sanitario di denunciare gli irregolari, la vicenda che si è compiuta sul corpo ostaggio di Eluana Englaro, l’ennesima cosiddetta emergenza stupri, stavolta tutta colpa dei rumeni e chi ha memoria ricorda che è stata, negli anni, tutta colpa dei maghrebini e prima ancora tutta colpa degli albanesi…
Corpi. Ha scritto {{Stefano Rodotà}}, parlando di Eluana Englaro: i corpi diventano luogo pubblico, e ha ricordato [Barbara Duden->http://www.ibs.it/code/9788833908441/duden-barbara/corpo-della-donna-come.html] e la sua riflessione sul corpo delle donne preda dei poteri. Della medicina come della norma.
Corpi. {{Quello di Eluana, quello delle donne prima vittime di violenza sessuale}} e poi strumento di una campagna che etnicizza lo stupro per non vederne le profonde e domestiche radici di disuguaglianza.
{{Corpi delle e dei migranti oggetti di una campagna che equipara i significati e clandestino suona come criminale}}.
_ Dice Gustavo Zagrebelsky: “con una legge si definisce una categoria di soggetti, li si bolla, li si priva dei diritti fondamentali: è questa l’aberrazione”.
_ Su questi corpi si abbattono come clave le norme e i decreti del governo Berlusconi, su questi corpi – in vita e in morte – si misura la fragilità dei diritti fondamentali. Diceva dal palco di piazza Duomo una donna sudamericana: “Attenti, è una legge contro la povertà, oggi tocca a noi, domani a voi”.
Ha a che fare con i corpi, con il nascere, l’ammalarsi, il guarire, con i significati simbolici che questo comporta nelle diverse culture l’esperienza professionale e umana di {{Graziella Sacchetti}}, ginecologa milanese, membro del consiglio della [Società italiana medicina delle migrazioni->http://www.simmweb.it/], fondatrice di quel centro che dal 2000 ha accolto e curato all’ospedale San Paolo di Milano, con l’aiuto fondamentale delle mediatrici culturali, 4.500 donne straniere e 1.500 neonati.
Ed è perfetta la sintesi di quale mortificazione rappresenti questa deriva xenofoba per lei e per i tanti che da più di un decennio, trasformando il proprio sguardo e la propria pratica clinica, hanno lavorato per costruire salute e accoglienza per i migranti: “Scompare la relazione, l’alleanza medico-paziente, resta il corpo nudo”.
{{Un corpo in balia della norma}} e lo hanno subito capito gli stranieri: “Il giorno dopo il varo al senato del decreto, una donna sudamericana mi ha chiamato per disdire l’appuntamento al San Paolo. Mi ha detto che nella comunità era girata la notizia con il consiglio di restare in casa. Che fatica spiegare che è ancora in vigore la legge di prima, che non denunceremo mai nessuno”.
Ecco come si butta a mare il lavoro di anni: {{sono già diminuiti gli accessi delle donne irregolari al centro del San Paolo}}, in dieci strutture pubbliche {{tra Milano e Roma il calo si misurava, alla fine di febbraio, nel 10-15 per cento}}.
Basta l’annuncio – il decreto sarà legge quando leggerete queste righe – ed ecco la paura: credi ti possa denunciare il medico, l’infermiere, l’addetto allo sportello e non ti bastano i cartelli che al San Paolo e in altri ospedali dicono in tante lingue che nessuno denuncia nessuno, né che l’Ordine dei medici dica no al decreto, decidendo che sanzionerà chi dovesse denunciare i propri pazienti.
_ “Un paziente giunto nei giorni scorsi già molto grave e poi ricoverato in rianimazione per una severa infezione con necrosi quando gli abbiamo chiesto perché non si fosse presentato prima, ha riposto che era clandestino e aveva paura”, racconta Daniele Coen, direttore del pronto soccorso di Niguarda.
“Dal punto di vista simbolico – dice Sacchetti – {{torniamo all’epoca della prima ondata migratoria, quando gli stranieri erano visto come portatori di germi sconosciuti, esotici, pericolosi}}. Invece il lavoro di questi anni – penso alle donne e ai loro bambini – ha funzionato. Ce lo dicono gli indici di salute: più accessi ai consultori e ai servizi, meno mortalità neonatale, meno complicazioni, meno nascite di prematuri.
_ E se il rincorso all’interruzione di gravidanza resta più alto rispetto alle donne italiane, {{venire in ospedale è l’aggancio per una futura contraccezione}}.
Abbiamo capito molte cose, quanto il tipo di progetto migratorio, per esempio, influenzi le scelte di procreazione.
_ Non a caso {{nel primo anno di permanenza in Italia si registra il più alto numero di interruzioni}}: sono sole, smarrite, senza rete.
_ Non a caso ricorrono alla 194 le donne – molte dell’est – che arrivano da sole, con la famiglia lontana, che pensano al tempo in Italia come a un tempo finito.
Ricacciare tutto questo nella clandestinità è drammatico per la salute delle donne che porta sempre con sé quella dei bambini. Basti pensare che, dopo sei mesi dal parto, in quel momento così delicato per ogni donna e tanto più per una migrante, la mamma torna già adesso irregolare.
_ E tante allora rimandano in patria il bambino, con gli esiti di sbandamento e disgregazione che possiamo immaginare.
La società di medicina delle migrazioni da anni chiede che il permesso per salute sia portato ad un anno, in modo che le donne possano cercare un nuovo lavoro e dunque tornare in condizioni di regolarità e forse tenere qui il bambino… E invece siamo qui a combattere contro norme che le destinano a delle relazioni con il loro bambino sempre più insicure.
Tutti gli studi internazionali ci dicono che il primo anno di vita è decisivo per l’integrazione del bambino nella società ospite, per evitare che abbia, al momento della scolarità o dell’adolescenza dei problemi. Sta già succedendo: gli operatori di neuropsichiatria vedono il disagio tra i ragazzi immigrati di seconda generazione e non sanno come affrontarlo. E attenzione: non basterà che non passi l’obbligo di denuncia degli irregolari. Il decreto contiene l’idea della clandestinità come reato e il medico è considerato un pubblico ufficiale. Si apre un problema giuridico, uno deontologico”.
{{Ci sono aspetti di pura schizofrenia nell’Italia del 2009}}: e così accade che, mentre il Senato vara l’obbligo di denuncia, la Regione Lombardia, che pure non si è distinta in percorsi di salute per gli irregolari, in una circolare alle strutture sanitarie, indichi la possibilità di collaborare con il volontariato per evitare situazioni di “disagio sanitario” tra chi non è in regola.
Può capitare, è capitato a Graziella Sacchetti, di partecipare a un convegno internazionale all’università cattolica di Milano in cui si sosteneva che la relazione che si stabilisce tra l’istituzione e la famiglia migrante al momento del parto è uno dei perni perché quella famiglia costruisca un rapporto non conflittuale con la società ospitante.
_ “Lo dicevano agli studenti, ai medici, a quelli che se la dovranno vedere con le nuove norme. Ascoltavo e mi chiedevo: ma sono nello stesso posto, nello stesso paese? Io lo sento dilacerante. Per questo reagisco con tutte le me forze, ma mi fa paura vedere che si chiudono porte aperte con un lavoro lungo e collettivo. Lo avevi fatto per te, per gli altri, per quelli che venivano dopo. Dovevano trovarle, erano solo delle porte, ma erano aperte. Mai avrei pensato che ce le avrebbero sbattute in faccia”.
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